È il tardo pomeriggio di un lunedì festivo quando, al numero 16 di Princes Gate, sede dell’ambasciata iraniana a Londra, alcune esplosioni e il crepitio delle armi automatiche segnano il momento culminante di un assedio che ha tenuto con il fiato sospeso, per sei giorni, il governo britannico, le forze di sicurezza e l’opinione pubblica.
Per un momento si teme che i terroristi, asserragliati all’interno, decidano di far saltare in aria l’ambasciata, trucidando tutti gli ostaggi (26 persone). Tuttavia, pochi istanti dopo, sul balcone della casa a fianco, appaiono delle sagome scure, che si fanno strada con delle cariche esplosive attraverso una finestra dell’ambasciata.
Gli uomini – vestiti completamente di nero – si introducono all’interno attraverso una nuvola di denso fumo nero. Per i curiosi, assiepati li davanti, è la prima (e probabilmente l’ultima) volta in cui vedono in azione il 22° Reggimento dello Special Air Service (SAS).
Il modo di affrontare l’assedio di uomini armati con ostaggi, non può mai essere stabilito da un manuale. Caso per caso, invece, debbono essere valutate centinaia di variabili: chi sono i terroristi; cosa vogliono; di quali appoggi dispongono; di quale armamento sono dotati; e soprattutto quali probabilità esistono che gli ostaggi vengano uccisi, qualora le loro richieste non fossero accettate.
In molti casi le forze di sicurezza scelgono la linea delle trattative, secondo procedure ormai collaudate da anni. L’ipotesi di un assalto frontale è sempre tenuta in considerazione, tuttavia negli ultimi anni le forze di sicurezza sono state indotte alla cautela dal ricordo del massacro avvenuto nel corso delle olimpiadi di Monaco nel 1972. In quell’occasione la polizia della Repubblica Federale di Germania attaccò i terroristi sulla pista dell’aeroporto, ma il prezzo dell’operazione fu la morte di tutti gli ostaggi – nove atleti israeliani – uccisi dai loro sequestratori palestinesi a colpi di bombe a mano.
La polizia britannica ha ormai una grande esperienza nel trattare con gruppi terroristici. L’assedio al ristorante italiano Spaghetti House nel 1975, per esempio, si concluse senza spargimento di sangue; e poco tempo dopo, un commando di terroristi dell’IRA si arrese in un appartamento di Balcombe Street, senza fare alcun male all’anziana coppia di coniugi che avevano preso in ostaggio. Nell’assedio di Balcombe Street si pensa che i terroristi siano stati indotti ad arrendersi dalla notizia, diffusa dalla BBC, di un imminente intervento del SAS.
A Pinces Gate, tuttavia, la situazione è molto più complessa e infinitamente più pericolosa.
Alle 11.32 di mercoledì 30 aprile, un gruppo di uomini armati non identificati aveva fatto irruzione nell’ambasciata iraniana, dopo aver crivellato di colpi le porte a vetri esterne.
Nei cinque piani del palazzo, oltre ai diciannove funzionari dell’ambasciata, si trovavano anche sette estranei, compresi due operatori della BBC e il poliziotto Trevor Lock, distaccato sul posto dal Gruppo protezione diplomatica di Scotland Yard. Le auto della polizia arrivarono sulla scena nel giro di pochi minuti, in quanto l’agente Lock era riuscito a dare l’allarme a Scotland Yard prima di essere sopraffatto. Poco più tardi sopraggiunsero anche alcuni reparti specializzati: il D 11 – composto da tiratori scelti della polizia - il quale prese posizione intorno al palazzo; il C 13, reparto antiterrorismo e gli uomini del Reparto di supporto tecnico, il C 7. Quest’ultimi sono esperti tecnici elettronici, con apparecchiature destinate a controllare quanto accadeva all’interno dell’ambasciata.
Gli operatori dello Special Air Service giunsero a metà pomeriggio, in borghese e con la massima discrezione.
La polizia ricevette per telefono le prime richieste da parte dei terroristi verso le 14.30, quando ormai l’ambasciata era stata completamente circondata.
I terroristi si qualificarono come Gruppi dei Martiri. Dissero di essere nemici della rivoluzione islamica dell’Ayatollah Khomeini nonché in lotta per la liberazione del Khũzestãn, un ricco distretto petrolifero dell’Iran sudoccidentale, popolato da arabi, già teatro di numerose rivolte contro la dominazione iraniana.
Le loro richieste comprendevano il rilascio di 91 arabi prigionieri in Iran e il loro trasferimento a Londra, con sollecitazione alle ambasciate degli Stati arabi perché esercitassero opera di mediazione presso le autorità britanniche.
L’ultimatum sarebbe scaduto alle ore 12 del giorno dopo: se le richieste non fossero state accolte, i terroristi minacciavano di uccidere gli ostaggi e far saltare in aria l’ambasciata.
Al cosiddetto Controllo Zulu – il comando di polizia sistemato a poca distanza da Princes Gate – si cominciarono a valutare i vari aspetti della situazione.
Negli assedi della Spaghetti House (foto) e di Balcombe Street, i precedenti dei terroristi si erano rivelati preziosi per logorarne la resistenza. Il Gruppo dei Martiri, invece, era sconosciuto.
I negoziati cominciarono quasi subito e le autorità, vista la situazione, decisero di procedere con la massima cautela. Tuttavia, gli operatori del SAS stanno già preparandosi ad intervenire. Infatti, nella caserma di Regent’s Park viene costruito un modello in scala dell’ambasciata, in modo tale da permettere la familiarizzazione degli uomini con la pianta dell’edificio, nell’eventualità che il fallimento delle trattative renda necessario un attacco di sorpresa.
Il SAS è pronto da tempo a emergenze di questo tipo. Sino dagli inizi degli anni ’70, infatti, le sue procedure di addestramento si sono concentrate sulla guerra controrivoluzionaria e sulla lotta al terrorismo internazionale. Il massacro di Monaco aveva dimostrato la necessità di reparti perfettamente addestrati e pronti ad intervenire in qualsiasi luogo del pianeta, con un brevissimo preavviso. Tra le emergenze previste – oltre ai dirottamenti di aerei, navi e treni – c’è naturalmente il caso di dell’occupazione di edifici con cattura di ostaggi.
Al Quartiere generale del SAS di Bradbury Lines (Hereford) è stata costruita un’area per l’addestramento al CQB (Close Quarter Battle), ovvero al combattimento ravvicinato con armi leggere in ambiente chiuso. Gli operatori del SAS sono stati così addestrati a far irruzione in una stanza, riconoscere immediatamente gli obiettivi e abbatterli, senza dargli il tempo di reagire.
La velocità di riflessi e la capacità di sparare con la massima precisione, mentre si sta rotolando sul pavimento, sono infatti i fattori principali del successo in questo tipo di operazione. Prima di entrare in azione, però, occorre arrivare nella stanza dove sono tenuti gli ostaggi. Per questo l’addestramento prevede anche scalate – come in alta montagna – e pratica nell’uso degli esplosivi, per aprire dei varchi.
Nel corso dell’operazione Nimrod – nome in codice dell’attacco all’ambasciata iraniana – vengono utilizzate cariche al plastico per frantumare i vetri antiproiettile delle finestre. L’esplosivo, confezionato in fogli, viene fatto aderire al vetro per far saltare d’un colpo l’intera finestra; poi vengono lanciate all’interno bombe a mano flash-bang (questo tipo di granate produce solo un lampo accecante e un boato assordante). Gli operatori del SAS devono intervenire un attimo dopo l’esplosione, quando i terroristi sono ancora accecati dal lampo e storditi dal frastuono.
A Princes Gate, per facilitare l’attacco, il C 7 di Scotland Yard installa numerosi microfoni nelle canne fumarie e sui muri dell’ambasciata, in modo da localizzare le posizioni precise dei terroristi. Per coprire i rumori dell’installazione vengono disposti scavi in una strada adiacente, facendo credere che l’azienda del gas sia stata chiamata per riparare una fuga dalle condutture.
In modo discreto viene anche aperto un varco nel muro divisorio fra l’ambasciata e una casa a fianco. I mattoni vengono tolti uno a uno, silenziosamente, lasciando intatto solo un sottile strato di intonaco, da sfondare poi di sorpresa all’ultimo momento.
La polizia aveva ottenuto il rilascio di alcuni ostaggi in cambio di cibo e sigarette; due ultimatum erano scaduti senza incidenti. La sera del 1° maggio – secondo giorno dell’assedio – i terroristi avevano lasciato cadere la richiesta di rilascio dei 91 prigionieri, sperando che la mediazione degli Stati arabi potesse far loro ottenere un salvacondotto per lasciare l’Iran.
La mattina del sesto giorno, lunedì 5 maggio, la situazione si aggrava bruscamente: il Governo aveva deciso di evitare qualsiasi nuova concessione e la polizia aveva esaurito i suoi margini di contrattazione, mentre i terroristi stavano diventando sempre più nervosi.
All’interno dell’edificio la tensione comincia a salire. I terroristi sono ormai pessimisti circa le loro probabilità di scampo e un’accesa discussione politica con alcuni ostaggi iraniani, la sera prima, aveva fatto sfiorare una catastrofe.
Alle 11.40 l’agente Lock si affaccia a una finestra per comunicare che i terroristi avrebbero cominciato a uccidere gli ostaggi, se non fossero arrivate presto notizie positive circa la mediazione araba. Per guadagnare tempo la polizia persuade i terroristi ad attendere sino al bollettino BBC di mezzogiorno: ma le notizie non sono granché rassicuranti e alle 13.31, tre spari risuonano all’interno dell’ambasciata.
A questo punto la resa è ormai diventata l’unica via d’uscita per i terroristi: invece, le loro condizioni vengono confermate, e alle 18.50 si odono altri tre spari.
Pochi minuti dopo la porta dell’ambasciata viene aperta e il corpo di un addetto stampa viene scaricato su marciapiede.
Non resta altro che intervenire. La polizia si mette nuovamente in contatto con il capo dei terroristi, offrendogli un salvacondotto e un aereo per portare i suoi uomini fuori dalla Gran Bretagna. La discussione sui dettagli del trasporto in pullman sino all’aeroporto, tuttavia, ha il solo scopo di rendere possibile l’esatta localizzazione del commando all’interno dell’edificio.
La squadra SAS entra in azione alle 19.23. Con il volto coperto dalle maschere antigas gli uomini delle forze speciali di Sua Maestà attaccano l’ambasciata da tre lati.
Due operatori raggiungono la terrazza posteriore, calandosi dal tetto con delle funi, ma non possono far detonare le cariche al plastico, in quanto un loro compagno è rimasto impigliato nelle funi proprio sopra le finestre.
Altri due operatori si calano sino al balcone posteriore del primo piano e si aprono la strada con l’esplosivo attraverso i vetri antiproiettile. Una granata flash-bang viene lanciata e i membri del SAS si dirigono verso la sala telex, al secondo piano, dove sanno – grazie alle informazioni fornite dagli uomini del C 7 – che sono custoditi numerosi ostaggi.
Il capo dei terroristi si trova sul pianerottolo del primo piano, insieme con l’agente Lock; quando vede un operatore del SAS inquadrato nella finestra, solleva l’arma per sparare. Lock, però, gli si getta addosso, dando così modo ai due membri delle forze speciali di entrare nell’edificio.
Nel frattempo altri uomini del SAS si aprono la strada attraverso le finestre del balcone anteriore del primo piano, in piena vista delle telecamere. Una bomba a mano viene lanciata all’interno e pochi istanti dopo, attraverso la spessa coltre di fumo, fa la sua apparizione, illeso, uno degli ostaggi, l’operatore della BBC Sim Harris.
Nello stesso momento una terza squadra fa irruzione all’interno dell’ambasciata, dopo aver sfondato il sottile strato di intonaco del muro. Di corsa, gli operatori del SAS si dirigono verso la sala telex. La sentinella di guardia agli ostaggi apre il fuoco uccidendo un membro della squadra e ferendone altri due.
Quando successivamente gli uomini del SAS entrano nella stanza, la sentinella e altri due terroristi si sono mescolati tra gli ostaggi, sdraiati sul pavimento.
La sala telex è piena di fumo e la reale sequenza degli avvenimenti non è mai stata stabilita con certezza. La versione ufficiale del SAS parla solo di una sparatoria. Alcuni ostaggi, invece, hanno affermato che i terroristi cercarono di arrendersi prima che gli operatori del SAS aprissero il fuoco.
Dopo l’attacco vengono portati fuori i cadaveri di cinque terroristi, su sei. Due vengono trovati nella sala telex, uno in un ufficio sul retro, uno al primo piano, e l’ultimo nell’atrio, vicino al portone d’ingresso. Tutti sono stati uccisi da colpi d’arma da fuoco al petto e alla testa. Uno solo degli ostaggi è stato colpito a morte dai terroristi durante lo scontro a fuoco finale.
Gli uomini del SAS abbandonano immediatamente il teatro della loro azione, in due furgoni chiusi.
L’assedio ha rappresentato il debutto in pubblico per lo Special Air Service. I negoziati intavolati dalla polizia sono serviti a evitare la strage degli ostaggi, tuttavia sono stati gli uomini delle forze speciali che li hanno materialmente liberati, con un’azione fulminea durata complessivamente solo 17 minuti.
L’operazione di Princes Gate è stata condotta con precisione quasi chirurgica, e sebbene uno degli ostaggi è rimasto ucciso nella sparatoria conclusiva, si è avuta la prova che, le tecniche antiterrorismo sviluppate dagli operatori del SAS, sono efficaci.
(foto: web / fotogrammi film "6 Days")