Il ruolo della fortuna, più o meno casuale (serendipity) od orientata dalle competenze non è appannaggio solo del gioco o di tutte quelle azioni umane o sociali in qualche modo ad esso collegate. Lo stesso dicasi per quanto riguarda l'informazione e la fama soprattutto se correlate con il Potere.
Anche in ambito scientifico, spesso, la più brillante competenza nella ricerca, pure dimostrata dalle scoperte conseguite, nulla può, nonostante i migliori risultati, contro l'oblio generato dalla ignoranza o superficialità dei contesti accademici o dalla insignificanza relativa delle Istituzioni o dei Paesi in cui le scoperte stesse vengono conseguite e segnalate. Così i ricercatori e i loro lavori rimangono ignoti al grande pubblico, e addirittura alla comunità scientifica. Così le loro fatiche non solo non vengono premiate, ma non hanno nemmeno le positive ricadute che pure avrebbero dovuto avere, talora per tutta l'umanità.
È questa la sorte, neanche a dirlo, di un brillane medico e biochimico italiano che fu, anche, ufficiale medico della Regia Marina: Vincenzo Tiberio. Egli nacque a Sepino in Molise il 1° maggio 1869 e dopo brillanti studi classici si iscrisse alla Facoltà di Medicina nella R. Università di Napoli. Prima ancora di laurearsi si dedicò con passione alla ricerca microbiologica nell'ambito dell'Igiene e della Microbiologia che continuò per tutta la vita.
Nel 1895, sulla Rivista scientifica “Annali d'Igiene sperimentale dell'Università di Roma”, pubblicò un articolo con il titolo “Sugli estratti di alcune muffe” come resoconto del suo lavoro in cui individuò per la prima volta il potere battericida di alcune particolari muffe: “L’autore ha osservata l’azione degli estratti acquosi [di vari tipi di muffe] su alcuni [microrganismi] patogeni... trovandoli forniti... di notevole potere battericida... Le proprietà di queste muffe sono di forte ostacolo per la vita e per la propagazione dei batteri patogeni.”
Nonostante la estrema esattezza e replicabilità della ricerca ed i suoi evidenti risultati terapeutici, la scoperta non ebbe alcuna diffusione né seguito in ambito universitario. Deluso nelle sue aspirazioni accademiche e cliniche, entrò nel 1896 nella Regia Marina come ufficiale medico.
Fu imbarcato su diverse regie navi e prese parte a numerose missioni, anche in mari lontani. Nel corso di queste operazioni ebbe modo di studiare, curare e risolvere diverse problematiche di natura infettivologia ed igienica.
Nel 1905 sposò la cugina, Amalia Teresa Graniero dalla quale ebbe tre figlie.
Durante le attività di soccorso alle popolazioni colpite dal terremoto di Messina (1908) il suo impegno gli fece meritare la menzione d'onore “per essersi segnalato in operosità, coraggio e filantropia”.
Nel gennaio 1913 fu inviato a Tobruk, nella Libia appena conquistata, come direttore della locale infermeria della Regia Marina. Sulla pubblicazione “Patologia libica e vaccinazione antitifica” riportò i risultati ottenuti con la sua lotta antitifica e l'uso della vaccinazione: in tutto il 1913 nella base di Tobruk ci furono solo due casi di paratifo di lieve entità. Per questo ricevette un elogio dalla Direzione della Sanità militare e la promozione a maggiore. Venne trasferito alla fine del 1914 a Napoli come direttore del Gabinetto di Igiene e Batteriologia dell'Ospedale della Marina. Sperava di riprendere gli studi sulle muffe, a cui, durante gli anni di servizio nella Marina Militare, non aveva potuto dedicarsi in maniera costante e prolungata, ma non ebbe il tempo di farlo poiché un infarto cardiaco lo stroncò il 7 gennaio del 1915, all'età di soli 45 anni.
Nell'ultima decade dell'800 in cui Tiberio frequentò la Facoltà di Medicina e Chirurgia a Napoli, questo Ateneo non era solo luogo di istruzione, ma anche e soprattutto di ricerca, specie in campo batteriologico. In quel periodo, infatti, il professor Eugenio Fazio pubblicava un lavoro sulla Concorrenza vitale tra i batteri della putrefazione e quelli del carbonchio e del tifo e il professor Arnaldo Cantani sperimentava una terapia per la tubercolosi, applicando il principio dell'antagonismo di Louis Pasteur, e ottenendo interessanti risultati.
In questo ambiente, Tiberio, ancora studente in Medicina, iniziò a frequentare i laboratori di Igiene, per verificare alcune sue intuizioni. Nel cortile della casa di Arzano, dove viveva, vi era una cisterna per l'acqua piovana utilizzata anche per bere. Sul bordo della cisterna crescevano muffe che venivano, per ovvi motivi igienici, periodicamente eliminate. Ebbene, Tiberio notò che quando le muffe non c'erano si manifestavano infezioni gastrointestinali a carico degli utilizzatori dell'acqua, quando invece c'erano l'uso dell'acqua era innocuo. Egli intuì un collegamento tra la presenza delle muffe e la crescita di batteri patogeni per l'organismo umano. Sottoposta a verifica sperimentale tale intuizione, Tiberio riuscì a dimostrare come l'azione terapeutica delle muffe fosse legata ad alcune sostanze presenti in esse. Riuscì inoltre ad isolare alcune di queste sostanze ed a sperimentarne l'effetto benefico fino ad arrivare alla preparazione di una sostanza con effetti antibiotici.
I risultati della sua ricerca, raccolti nella già citata pubblicazione, gli consentirono di osservare che: “Nella sostanza cellulare delle muffe esaminate sono contenuti dei principi solubili in acqua, forniti di azione battericida.” Nel lavoro suddetto sono descritti il metodo di preparazione del terreno di coltura e di prelevamento del liquido dalle piastre, le caratteristiche chimiche ed organolettiche del liquido e le tecniche di studio. La capacità di stimolare la risposta dei Globuli bianchi alle infezioni (chemiotassi), e il potere battericida di vari ceppi della muffa Aspergillus sul bacillo del tifo furono successivamente confermati da diversi ricercatori. Quasi contemporaneamente anche Bartolomeo Gosio, a Roma, in una specie di muffa, scoprì una metabolita con delle proprietà antibiotiche, e la purificò. L'acido micofenolico (MPA) è stato il primo vero antibiotico della storia!
L'attività scientifica di Tiberio, che completò, alla fine dell'800, l'intero ciclo sperimentale dall'osservazione, alla verifica dell'ipotesi iniziale, fino alla preparazione delle sostanza antibiotica, era assai più progredita di quella di Alexander Fleming nel 1928/29. Quest'ultimo, conosceva probabilmente le ricerche di Tiberio e sicuramente quelle di Gosio nonostante la scarsa diffusione delle stesse al di fuori d'Italia, e arrivò alla scoperta della penicillina, come egli stesso riferì, a causa di un errore: “la contaminazione involontaria di una capsula contenente colonie di Staphilococcus aureus con colonie fungine”, che aveva poi prodotto “un'inibizione della crescita batterica nelle colonie di Staphilococcus aureus”. Tuttavia, Fleming non riuscì poi a preparare sperimentalmente il farmaco, non chiudendo così il ciclo di ricerca, come avevano invece fatto a Napoli, Tiberio ed a Roma, Gosio.
Nel 1947, due anni dopo il conferimento del Premio Nobel ad Alexander Fleming, venne ritrovato il fascicolo degli Annali di Igiene sperimentale dell'Università di Roma del 1895, in cui era stato pubblicato il lavoro Sugli estratti di alcune muffe.
I risultati e le metodiche della ricerca furono diffusi su riviste scientifiche nazionali, ma, ovviamente, non ebbero la risonanza meritata.
Oggi la verità è ben nota, ma la fama di Tiberio è, nonostante tutto, conosciuta solo dai cultori appassionati della Storia della Medicina ed ignorata dai più.
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