Se doveste chiedere ai vostri figli come descriverebbero un militare, sicuramente vi diranno: molto forte, muscoloso, armati e senza paura.
Nella Storia e dunque anche nella società moderna, i soldati rimangono ancorati ad uno stereotipo piuttosto crudele: macchine da guerra pronte ad uccidere chiunque senza sentimenti, automi senza paura.
Grazie allo sviluppo crescente della psicologia e alla sempre maggiore attenzione verso i soldati, ora possiamo domandarci: ma nella mente di un soldato quali meccanismi scattano quando è in combattimento?
Nel nostro splendido Paese, già per discutere di qualcosa afferente alla sfera militare, bisogna armarsi di grande pazienza, figurarsi mescolare due tabù come psicologia e guerra.
L'Italia basa l'impiego dei suoi uomini su uno stereotipo millenario ormai sorpassato, ovunque e chiunque ha capito che per avere il meglio dai soldati è necessario innanzitutto proteggere gli uomini e le donne che ci sono dentro una divisa.
Nemmeno a dirlo, negli Stati Uniti il soldato e le sue capacità psicofisiche sono tenute in enorme considerazione.
Vengono condotte ricerche approfondite, aperti centri di supporto e vi è persino un filone di ricerca piuttosto importante nelle università.
Sicuramente il fenomeno militare americano è di una portata diversa rispetto a quello nostrano, ci sono numeri diversi e operazioni diverse, tuttavia, la fisiologia umana è la stessa.
Il colonnello dei Ranger Dave Grossman è uno dei più importanti studiosi di fama mondiale nel campo dell'aggressività umana e della criminalità violenta.
Dalla sua penna e dalle sue ricerche si è aperta una nuova scienza definita Killology dove si tenta di dare comprensione all'atto di uccidere in combattimento, dei costi psicologici della guerra, delle radici del crimine violento e del processo di guarigione delle vittime di violenza.
Dave Grossman viene chiamato a collaborare con le accademie militari di tutto il paese per preparare ed istruire gli uomini in armi a quello che è il risvolto peggiore della guerra: uccidere ed essere uccisi.
Il suo non è un compito facile, quello che ha da dire non è sempre piacevole anzi, il più delle volte rompe quello stereotipo che ci eravamo fatti del soldato "tutto muscoli e violenza".
Nelle sue ricerche mette a nudo le debolezze del corpo umano davanti alla paura della morte e del combattimento, non per sminuire o umiliare ma per capire e accettare che anche un soldato può non essere perfetto.
Grazie ai suoi successi in campo editoriale ed accademico, il colonnello ha potuto aiutare moltissimi soldati ad avere maggiore consapevolezza del funzionamento del loro corpo durante il combattimento e ne ha salvati diversi dall'oblio del disturbo post-traumatico da stress.
Per comprendere al meglio quando esposto dal colonnello Grossman nei suoi studi è importante partire da un concetto che ha più affinità con la psichiatria che non il mondo militare: la Fobia Umana Universale.
Questo concetto da un nome ad un fenomeno che tutti noi conosciamo: la paura che un altro essere umano ci aggredisca.
La fobia è quella paura irrazionale, opprimente ed incontrollabile nei confronti di uno specifico oggetto od evento. Tutti noi abbiamo delle fobie, alcune più razionali di altre.
La Fobia Umana Universale è quel terrore che ci assale quando un altro essere umano ci aggredisce fisicamente. Portiamo un esempio pratico.
Immaginiamo di trovarci in una sala d'attesa gremita di persone, tutte intende ad aspettare il proprio turno, se un soggetto armato facesse irruzione in questa stanza e iniziasse a sparare sulla folla la reazione di tutti i presenti sarebbe fobica.
Chiunque inizierebbe ad accalcarsi verso le porte d'emergenza, cercherebbe riparo, vorrebbe salva la vita.
Quando il fattore che causa lo stress è di natura umana il trauma è più severo rispetto ad un evento naturale o casuale. Quando è un altro essere umano a crearci paura e sofferenza allora la nostra mente reagisce in modo più intenso e distruttivo.
La nostra reazione quando sentiamo degli spari o in una situazione di estremo pericolo è quella di allontanarci il più possibile dalla minaccia. Andare incontro alla situazione di pericolo è un concetto assolutamente contro natura, eppure è questo quello che chiediamo ai nostri uomini e alle nostre donne in divisa.
La società chiede ai soldati (poliziotti compresi) di lanciarsi verso la Fobia Universale Umana e di combatterla, se a noi crea stress acuto quando possiamo scappare, immaginiamo cosa succede nella mente di chi la deve affrontare quotidianamente.
Ma allora perché i guerrieri (poliziotti, soldati e tutti gli operatori in aree di crisi) vanno in contro alla loro paura più grande?
A questa domande cerca di rispondere lo psicologo Abrahm Maslow con la sua Scala dei Bisogni.
Secondo Maslow l'uomo deve soddisfare i propri bisogni con una scala di priorità che parte dai bisogni fondamentali su cui poi si basano quelli meno importanti. Alla base di tutto si trova la necessità di un ambiente sicuro e al riparo da pericoli.
I guerrieri, in tutte le loro sfaccettature, tendono a creare il fondamentale bisogno di sicurezza su cui si fonda la base della società umana, senza di loro, la società crolla.
Descritte le basi psicologiche e comportamentali con cui quotidianamente gli operatori della sicurezza si confrontano, Grossman passa ad analizzare quali sono i cambiamenti fisiologico che un corpo può subire in combattimento o subito dopo.
Il Sistema Nervoso Autonomo (SNA) compre il sistema nervoso simpatico (SNS) e quello parasimpatico (SNP).
Il SNS è quella parte del sistema nervoso che è direttamente associato alle reazioni allo stress, quando noi decidiamo se davanti ad un pericolo dobbiamo scappare o attaccare a lavorare è lui.
In qualsiasi delle due direzioni andiamo - scappiamo o attacchiamo - il nostro corpo attiverà dei meccanismi che gli permetteranno di far fronte alla situazione, tutto viene orientato alla sopravvivenza.
In questa chiave deve essere letta la prima risposta del corpo al combattimento: la perdita di controllo su vescica e sfinteri.
Il risultato lo possiamo immaginare tutti.
Per usare un'espressione più sofisticata mutueremo un detto greco "gli intestini si tramutano in acqua" oppure il termine medico "colon spastico".
Il corpo, proiettato ad avere la massima energia e concentrazione, permette al corpo di "lavorare più in fretta" evacuando il superfluo e rilassando i muscoli inutili. La mobilitazione generale ha inizio proprio da qui.
Certo questa è l'ultima cosa che vorreste raccontare dopo uno scontro a fuoco e infatti per secoli e secoli coloro che avevano subito tale condizione si sono sentiti diversi o in difetto.
Ci sono molti casi in cui questa situazione non si verifica e non perché il nostro guerriero è un superuomo, ma solo perché le sue viscere erano già state evacuate naturalmente prima dell'attivazione.
Abbiamo già accennato all'importanza dello stato psicofisico del guerriero prima del combattimento, ma cosa accade al suo corpo quando è in corso lo scontro vero è proprio?
Il corpo umano vive la sua vita in base alla percezione che ha del mondo che lo circonda, l'attivazione del corpo in caso di stress è divisibile in cinque condizioni classificate per codice colore.
La prima condizione è quella Bianca, il pericolo è lontano, siamo al sicuro.
Condizione Gialla il livello di allerta è basilare, si è psicologicamente pronti a rispondere al combattimento.
Questa è la condizione in cui i guerrieri dovrebbero vivere quando stanno svolgendo il loro lavoro, non dovrebbero mai abbassare il livello di guardia oltre un certo limite.
La condizione rossa è la condizione ottimale in cui un guerriero può svolgere il suo lavoro.
La frequenza cardiaca oscilla tra i 115 e i 145 bpm (battiti per minuto) le abilità motorie complesse sono ai massimi livelli e i tempi di reazione visuale e cognitiva hanno tempi brevissimi.
Oltre questa soglia le prestazioni del guerriero si deteriorano, avvicinandosi sempre di più ad uno stato di totale alterazione.
E' inutile pensare che "ai veri guerrieri questo non succede" perché può capitare a chiunque e per qualsiasi ragione di sfociare nella condizione nera, perdendo così il controllo.
La condizione nera, appunto, è quella in cui si superano i 175 bpm (frequenta cardiaca altissima) e le capacità motorie e di reazione si spengono. La paura ha preso il sopravvento e la parte del cervello che comanda il nostro agire non è più il proencefalo ma il mesencefalo, in sostanza smettete di pensare e inizierete a comportarvi secondo il vostro istinto primordiale.
Quando il corpo è sotto stress tende a spegnere alcuni sensi tranne uno, affinché si eviti il sovraccarico percettivo, cioè affinché non si crei confusione mentale.
Le così dette, distorsioni percettive, sono una modificazione di come il guerriero percepisce il mondo intorno a lui durante il combattimento. Gli eventi vengono registrati nella sua mente in modo diverso rispetto a come si sono svolti realmente.
I primi fenomeni di questo tipo che Grossman individua sono l'esclusione o l'intensificazione uditiva.
Letteralmente nel primo caso, il guerriero non sente la sua pistola che spara, pensa che la sua arma sia difettosa e in alcuni casi l'abbandona pensandola inutile.
Nel secondo caso invece abbiamo il fenomeno contrario, gli spari vengono amplificati fino ad essere assordati.
Un altro senso spesso distorto è la vista, la così definita "visione a tunnel" crea nel soggetto problemi di mira e difficoltà nell'uso degli strumenti ottici.
Immaginate di dover sparare ad un vostro antagonista e di dover compiere questa operazione guardando attraverso un tubo, la vostra vista sarà ridotta, sfocata e distorta.
Nella stessa ottica si collocano fenomeni come: l'ammutolimento completo o una forma di dislessia molto forte; la paralisi momentanea degli arti; la distorsione di ciò che ricordiamo e distorsione di come passa il tempo.
Questi fenomeni a dir poco straordinari sono frutto di un'intensa concentrazione che il guerriero adopera per il suo lavoro ma non solo, sono fenomeni fisiologici complessissimi e alterazioni biomeccaniche a carico degli organi sensoriali.
Oltre ad essere fenomeno medici di indubbio interesse è necessario sottolineare come possono essere anche fenomeni estremamente pericolosi per chi lavora in zone e situazioni ad alto rischio.
Ma allora come dobbiamo abituare il nostro corpo a comportarsi in un certo modo?
La risposta è tutta nel corretto addestramento.
Soprattutto in Italia è opinione diffusa che le esercitazioni siano solo un'inutile spreco di denaro, ahimè sarebbe bene chiarire che le dottrine da sole non fanno il guerriero.
L'addestramento è quell'esercizio sì fisico ma anche e soprattutto mentale alla base dell'efficienza operativa di ogni guerriero.
Chiedereste mai ad un chirurgo di operare di meno durante il suo periodo di formazione? Non credo proprio. Invece chiediamo agli operatori della sicurezza di rinunciare a qualcosa che non solo salverà la nostra vita ma anche la loro.
L'addestramento - per non essere davvero uno spreco di denaro - deve essere mirato e fatto nel miglior modo possibile.
Poligoni di tiro e simulazioni il più realistiche possibile sono alla base di tutto.
Le moderne tecnologie di simulazione del campo di battaglia permetteranno al guerriero di formarsi in modo automatico affinchè quando dovrà ripetere tali azioni in combattimento non abbia nessun dubbio su cosa fare.
L'esempio più comune sono i tanto angoscianti "compiti a casa" che ci davano a scuola. Più esercizi facevi, meglio andavi nel compito in classe, più ripetevi la lezione più sapevi esporla al docente.
Nelle stesse condizioni deve operare il guerriero.
Far addestrare corpi estremamente selezionati in simulazioni al limite del ridicolo, rischia di mettere in serio pericolo la loro vita e quelli degli altri operatori sul campo.
Spendere soldi in addestramento altamente formativo e realistico non è una perdita di tempo o di soldi, semmai la vera perdita di denaro è quella che ci ritroviamo adesso.
Pochi poligoni, poche munizioni sparate, armi vecchie ed luoghi surreali.
Il nostro Esercito e nemmeno a dirlo anche le nostre forze di polizia e pubblica sicurezza sono addestrate in modo sommario ad affrontare tutto quello che il corpo fa quando è sotto stress.
Grazie al colonnello Grossman e alle sue ricerche migliaia di soldati, hanno compreso cosa accade ai loro corpi quando sono in combattimento. Molti hanno capito che le reazioni che loro credevano extraordinarie in realtà sono il metodo (talvolta poco ortodosso) che il nostro corpo ha di salvarci la vita.
Ma soprattutto il colonnello ha sdoganato uno stereotipo lungo migliaia di anni e che ha apportato un miglioramento concreto nella vita di molti soldati.
La speranza è di vedere questo approccio scientifico alla guerra anche nel nostro paese, un cambiamento soprattutto legato a come l'opinione pubblica deciderà di vedere i suoi "guerrieri" in futuro.
In attesa di essere risvegliati da questo sonno letargico in cui verte la disquisizione sulla fisiologia del combattimento, cerchiamo di aprire uno spiraglio di conoscenza su questa disciplina e sui disturbi ad essa collegata.
La prossima volta che vedrete una divisa o che sperate di indossarne una, ricordatevi soprattutto del sacrificio personale che questi uomini e queste donne compiono quotidianamente.
Uno sforzo letteralmente "contro natura" li attende e noi almeno gli dobbiamo l'onestà di parlare nella loro condizione in modo professionale e privo di retorica.
(Clicca qui per la seconda parte: "post-combat analysis")
(foto: US DoD / US Army / Arma dei Carabinieri)