Nello scorso mese di giugno il quotidiano economico francese “Les Echos” ha pubblicato una vignetta in cui la difesa europea veniva rappresentata con l’immagine di una tartaruga. In fondo il paragone non è poi così negativo se si considera che (come insegna un celebre racconto), la tartaruga simboleggia la capacità di avanzare lentamente ma inesorabilmente.
Nella favola attribuita ad Esopo però la tartaruga riesce a beffare la lepre perché quest’ultima si ferma a fare un sonnellino (e infatti notoriamente la morale è che non bisogna sottovalutare l’avversario), elemento su cui non sembra poter contare il Vecchio Continente dato che come si è visto, anche se nessuno si è dimostrato del tutto immune dagli effetti della crisi economico-finanziaria che si è aperta nel 2008, gli altri competitori internazionali non stanno certo dormendo, sia per quel che riguarda l’economia che la politica con annesso adeguamento del proprio complesso militare-industriale.
Fuor di metafora è sicuramente vero che la costruzione di una difesa europea procede a rilento sia rispetto a quanto richiederebbe la situazione internazionale, sia nel confronto con i primi della classe a stelle e strisce. Resta il fatto che l’immobilismo è stato scongiurato e dei passi in avanti, anche significativi, sono stati fatti.
Programmi di collaborazione e varie cooperazioni di una certa importanza per l’industria militare dei paesi europei si rilevano già nei primi anni Sessanta. Alcuni esempi sono i progetti dei sistemi missilistici anticarro Milan, Hot e superificie-aria Roland di realizzazione franco-tedesca così come l’aereo bimotore a getto Alpha Jet prodotto da Dassault-Breguet e Dornier. Nato nel 1969 dal matrimonio tra le esigenze francesi per un addestratore e quelle tedesche per un cacciabombardiere leggero, l’Alpha Jet ha effettuato il primo volo il 26 0ttobre 1973 ed è entrato in servizio presso l’Armée de l’air e la Luftwaffe tra il 1977 e il 1978.
Anche sulle sponde della Manica si cercava di smuovere le acque con l’intesa per forniture reciproche relative agli elicotteri Gazelle, Puma (di fabbricazione francese) e Lynx (prodotto dalla britannica Westland), e con la conclusione di un accordo franco-inglese per un velivolo da addestramento avanzato e attacco basato sul Breguet 121 denominato poi Jaguar (foto). BAC (ex English Electric) e Breguet costituirono una società mista per la progettazione e lo sviluppo del progetto nota come SEPECAT: Société Européenne de Production de l’Avion d’Ecole de Combat et d’Appui Tactique. Il Jaguar effettuò il primo volo il 23 marzo 1969 e ne furono costruiti quasi 600 esemplari.
Quello che può essere considerato il primo grande progetto di cooperazione aeronautica europea si è concretizzato nella produzione del cacciabombardiere bimotore a reazione MRCA (Multi-Role Combat Aircraft), poi battezzato PA.200 Tornado. Il prototipo P.01 effettuò il primo volo il 14 agosto 1974 e gli esemplari di preserie iniziarono a volare nel 1977 mentre il primo velivolo di serie del modello IDS (Interdiction and Strike) venne consegnato nel giugno 1979 alla Royal Air Force. I 100 Tornado IDS dell’Aeronautica Militare Italiana verranno introdotti in servizio a partire dal 1982.
Ulteriori versioni sviluppate sono state la ADV (Air Defence Variant) per soddisfare le esigenze inglesi per un velivolo intercettore da pattugliamento e l’ECR (Electronic Combat Reconnaissance) dedicata alla soppressione delle difese contraeree. In totale il consorzio anglo-tedesco-italiano Panavia (guidato da BAC, MBB e Aeritalia) ha venduto circa 1.000 Tornado.
A partire dagli anni ’90 il processo di concentrazione nell’industria militare americana ha prodotto veri e propri colossi industriali pronti a sostenere quella che è una sorta di guerra commerciale sul mercato mondiale. Pur vantando tra i propri prodotti alcuni gioielli tecnologici, i gruppi europei hanno dovuto tentare l’inseguimento unendosi, ristrutturandosi, e costruendo alleanze strategiche nell’ambito dell’industria militare per dotarsi di una dimensione sufficiente a sostenere i combattimenti che si annunciavano.
Il ruolo di apripista in tal senso è stato svolto, sotto la regia dello stato, dalla francese Thomson-CSF filiale del gruppo americano Thomson Houston International Corporation, approdata in Francia nel 1892 che deve il suo nome alla fusione del 1968 con la Compagnie Générale de Télégraphie sans fil (CSF). Nazionalizzata in virtù della legge di stabilizzazione dell’ 11 febbraio 1982, sotto la presidenza di François Mitterrand, focalizzerà le proprie attività nell’elettronica di consumo e nella difesa.
Il gruppo seguirà una strategia di crescita per linee esterne, anche con operazioni transfrontaliere, acquisendo le Fonderie di Zeebrugge in Belgio nel 1988 e le attività del gruppo olandese Philips nel 1989. Le acquisizioni si concentreranno soprattutto nel mondo anglosassone, in particolare con le acquisizioni totali o in partecipazione di: MEL Communications Division, Link Miles e Pilkington Optronics nel 1990, di Ferranti-Sysec, Hugues Rediffusion Simulation, Redifon SPT nel 1994, e della divisione di elettronica per missili di Thorn EMI nel 1995. Nel 1997 il governo francese annuncia la sua intenzione di acquisire nel perimetro di Thomson-CSF le attività spaziali e di elettronica per la difesa di Alcatel, Dassault Electronique ed anche la divisione satelliti di Aérospatiale. Questo ulteriore importante allargamento farà da preludio alla (ri)privatizzazione del gruppo annunciata il 22 giugno 1998 e sulla quale la presidenza Chirac si era impegnata dal febbraio 1996. Dal 6 dicembre 2000 la società leader dell’elettronica europea si chiamerà Thales (cfr. Chiara Bonaiuti-Achille Lodovisi, a cura di, “Sicurezza, controllo e finanza”, Jaca Book, dicembre 2009).
L’11 marzo 2000 l’avallo della Commissione Europea renderà ufficiale l’unione di Aérospatiale-Matra, Daimler-Chrysler Aerospace (DASA, la divisione aerospaziale del gruppo Daimler-Benz) e il gruppo aeronautico spagnolo Costrucciones Aeronàuticas SA (CASA). Il consiglio di amministrazione della futura European Aeronautic Defense and Space Company (EADS), si riunisce la prima volta ad Amsterdam il 7 luglio 2000. Il debutto simultaneo nelle borse di Francoforte, Madrid e Parigi avviene il 10 luglio dello stesso anno e presenta un gruppo che alla sua creazione conta circa 100.000 addetti, ripartiti su più di 70 siti produttivi.
Nel gennaio 1999 si è celebrato l’acquisto della Marconi Electronic System (ceduta dal gruppo inglese General Electric Company), da parte di British Aerospace (Bae) per 12,8 MLD di dollari. Un’operazione che per dimensioni finanziarie richiama la fusione Boeing-McDonnell Douglas, mentre sotto il profilo qualitativo ricalca la fusione tra Lockheed e Martin-Marietta: anche nel caso inglese si uniscono un produttore di piattaforme ed una società specializzata nel campo dell’elettronica da difesa, dando vita ad una integrazione di tipo verticale.
Quindi tra la fine degli anni ’90 e gli inizi del 2000 si assiste alla nascita di due grandi gruppi dell’Europa continentale, EADS (dall’inizio del 2014 ha assunto la denominazione di Airbus Group strutturato su 3 divisioni: difesa, aviazione civile, elicotteri) e Thales, a cui si è affiancata l’italiana Finmeccanica, e di un colosso britannico nato da una concentrazione verticale, Bae Systems.
Figura 1: le principali concentrazioni nell’industria militare dell’Unione Europea
Fonte: Chiara Bonaiuti-Debora Dameri-Achille Lodovisi, a cura di, “L’industria militare e la difesa europea”, Jaca Book 2008.
Tra i raggruppamenti originati da questi protagonisti merita una menzione quello a cui si è dato inizio con l’accordo di principio siglato il 20 ottobre 1999, che vede la futura EADS, Bae Systems e Finmeccanica mettere in comune le loro attività missilistiche. L’effettiva fusione sarà annunciata il 19 dicembre 2001, dando vita a una società europea integrata dotata di una struttura organizzativa unica e di un unico centro direttivo, con il nome di MBDA, i cui interessi sono ripartiti congiuntamente fra Bae Systems, EADS con il 37,5% ciascuno e Finmeccanica con il 25%.
Questa operazione era il coronamento di un lungo percorso e metteva insieme le joint ventures incrociate costituite in precedenza dai poli europei, creando un gruppo di rilievo mondiale secondo solo all’americana Raytheon. MBDA poteva così assumere il ruolo di fornitore privilegiato di missili per la difesa europea a partire dall’aria-aria Meteor (foto a sx), nella dotazione standard dei caccia EFA 2000, Rafale e Gripen dal 2005.
Non è secondario ricordare che le ristrutturazioni industriali non sono indolore e passano anche attraverso dismissioni, cessioni e snellimento degli impianti per far fronte ai ciclici eccessi di capacità produttiva conseguenti all’alternanza di fasi di sviluppo e crisi dei mercati, nonché all’innalzamento della produttività del lavoro legata all’introduzione di innovazioni tecnologiche e ai miglioramenti organizzativi dei processi di produzione, e questo non può non avere un forte impatto sul tessuto sociale: l’industria della difesa non fa eccezione.
Tra il 1991 e il 2000 limitandoci ai maggiori produttori di armi europei, si sono persi più di 200.000 posti di lavoro. François Heisbourg – già consigliere del ministro della difesa di Mitterrand, Charles Hernu, poi dirigente della Thomson International e direttore dell’Istituto Internazionale di Studi Strategici di Londra, in seguito consigliere della Matra – ha paragonato questa ristrutturazione ad una chirurgia pesante senza anestesia.
La pluralità di aziende che compongono il tessuto imprenditoriale di un dato “sistema paese”, si rapporta con il mercato mondiale attraverso la mediazione dell’apparato politico-statale di riferimento e la capacità della sua architettura istituzionale di definire e rappresentare l’interesse generale.
Il settore capitalistico si inscrive in una cornice politica precisa. Specificamente, negli ultimi 400 anni esso ha richiesto l’esistenza di Stati sovrani legati tra loro in un sistema interstatale. L’assetto così creato è stato indispensabile per il funzionamento del sistema capitalistico. Il sistema basato sullo stato garantisce sicurezza attraverso la proprietà. Tiene a bada le pretese del lavoratore combinando repressione e concessioni. Consente che i costi vengano esternalizzati e li paga. Crea rendite di monopolio che, pur se parziali o temporanee, assicurano guadagni cospicui. Se non fosse per un simile scudo politico protettivo, sarebbe difficile capire come gli imprenditori possano accumulare capitale (Immanuel Wallerstein, “Dimensione dell’economia di mercato”, in Pierluigi Ciocca, a cura di, “L’economia mondiale nel Novecento”, il Mulino 1998).
In effetti si è soliti sottolineare l’insufficienza delle istituzioni nazionali invocandone l’adeguamento dimensionale al livello dell’attività di imprese sempre più globali, solo in funzione delle necessità di controllo e vigilanza, in particolar modo fiscale. Indubbiamente questo è un aspetto fondamentale ma la dimensione “sovranazionale” è necessaria anche per accompagnare l’espansione dei grandi gruppi economici a livello internazionale sostenendoli nella lotta per aggiudicarsi mercati di sbocco attraverso la preparazione di un terreno favorevole basato sulla rete delle relazioni politico-diplomatiche.
L’andamento ciclico di sviluppo, consolidamento, crisi e ristrutturazione che interessa ogni settore industriale, nel caso della difesa vede un costante intreccio tra la dimensione politica e quella economica e questo non vale soltanto per la capacità di “sponsorizzazione” che i governi devono esprimere in favore delle imprese indigene. Le commesse assegnate da uno stato alla propria industria militare devono essere tali da consentire il raggiungimento delle necessarie economie di scala.
La parabola discendente delle spese militari degli anni ’90 aveva già acceso il dibattito sulla necessità per i principali produttori di armi di puntare maggiormente sulle esportazioni. La grande crisi innescata dallo scoppio della bolla immobiliare tra il 2007 e il 2008 che ha messo in tensione i bilanci pubblici delle grandi potenze a seguito degli interventi di sostegno all’economia, ha spinto ulteriormente a guardare in quella direzione.
In particolare a fare gola erano (e sono tuttora, nonostante le incertezze legate alle recenti fibrillazioni finanziarie asiatiche e soprattutto alle possibili ripercussioni sul ciclo economico mondiale del rallentamento cinese), le commesse dei paesi emergenti su cui i giganti degli armamenti puntano per accrescere la propria massa critica e questo non poteva che inasprire la competizione per accaparrarsele. Rimane il fatto che i grandi gruppi della difesa devono innanzitutto poter contare su un mercato nazionale di riferimento che permetta di conseguire la necessaria efficienza produttiva per proiettarsi a livello internazionale.
Tabella 1: giro d’affari dei produttori di grandi sistemi d’arma. Valori in MLD di dollari
|
2005 |
2006 |
2011 |
2012 |
2013 |
Vendite di armi totali |
386,8 |
316,0 |
552,4 |
534,9 |
527,2 |
Di cui esportazioni |
26,2 |
27,0 |
43,0 |
58,0 |
76,0 |
Fonte: elaborazione dell’autore su dati SIPRI, Defense News
Non si può certo sottovalutare l’importanza dell’attività di import-export di armamenti dato che vendere all’estero aerei, navi, radar o missili, specie in tempi di oculatezza dei bilanci pubblici, aiuta a raggiungere quelle economie di scala che facilitano il contenimento dei costi di tecnologie sempre più complesse. Da questo punto di vista gli ordini arrivati nei mesi scorsi, dopo non poco penare, per 84 Rafale (che potrebbero arrivare attorno ai 100 se avrà un seguito concreto l’interesse manifestato a inizio settembre dal governo della Malesia) da parte di Egitto (24), India (36) e Qatar (24) sono una manna per la Dassault.
Ciononostante i dati disponibili dimostrano (pur con tutte le cautele del caso di cui si è detto in altra occasione) che, anche se il bazar mondiale mostra una tendenza alla crescita, quella degli armamenti si conferma prima di tutto un’industria “di stato” che in massima parte lavora per rifornire il mercato domestico ed è condizionata dalla politica delle alleanze.
Si capisce bene quanto pesi sull’industria della difesa europea il fatto di non poter contare su un “mercato interno” effettivamente integrato a causa di un processo di unificazione continentale che è ancora in corso, che non sarà breve e che oltretutto (a dispetto di una certa concezione romantica), non può avanzare in modo lineare e armonioso essendo caratterizzato da un percorso di cessione di sovranità, a poteri federali per la maggior parte in via di definizione o consolidamento, da parte di stati nazionali che hanno una storia plurisecolare.
Secondo un rapporto dell’IRIS (Institut de Relations Internationales et Stratégiques), il mercato degli armamenti dell’Unione Europea nel 2013 valeva 96 MLD di euro e rappresentava 400.000 posti di lavoro. In termini di giro d’affari si tratta di un valore che è la metà di quello del mercato americano ma sono comunque numeri di tutto rispetto e l’Europa è pur sempre il secondo produttore di armi al mondo. Il problema è rappresentato dalla dispersione di forze dovuta al procedere in ordine sparso dei partners europei su alcuni aspetti cruciali.
A questo proposito sulla stampa europea (il “Financial Times” in particolare ha richiamato in più di un’occasione la questione), si è sottolineato che ad esempio per quel che riguarda il mercato dei caccia, in tutte le principali gare internazionali gli sforzi diplomatici della UE si suddividono nell’appoggio di tre diversi aerei: Eurofighter Typhoon, Rafale (foto a sx) e Gripen (foto sotto), uno in più persino della tipica offerta americana.
Il direttore aggiunto dell’IRIS Jean-Pierre Maulny a questo proposito sottolinea che: oggi la questione non riguarda più solamente il sapere quale sia il cuore della base industriale e tecnologica della difesa a carattere strategico ma si tratta di individuarne il carattere di fondo che sia accettato da tutti. Le misure che dovranno essere prese in questa direzione necessitano innanzitutto di: una visione condivisa di cosa s’intende per impresa europea strategica della difesa affinché possano essere applicate in maniera coordinata dagli stati membri (“Pour une définition de l’entreprise stratégique de défense européenne”, dicembre 2014).
La mancata fusione tra EADS e Bae Systems, che era stata ventilata nel 2012, è emblematica della delicatezza degli equilibri e delle resistenze con cui il processo di unificazione europea si deve misurare (non solo in ambito militare), nella definizione di un apparato industriale continentale. Evidentemente il quanto, il dove ed il come investire in questa direzione si fondono insieme nell’accidentato cammino che deve fornire i mezzi adeguati di attacco e difesa all’Unione Europea.
(foto: RAF, web, Eurofighter Jagdflugzeug GmbH, Armée de l'air, SAAB)