Mandrakata: "Trovata ingegnosa che permette di risolvere una situazione difficile"
Al lettore attento non sarà passato inosservato l’uso frequente del termine “dual use” in molti documenti e comunicati stampa della Difesa. Ma perché questo termine viene considerato così importante e cosa comporta in termini capacitivi? È veramente una novità o è l’ennesima “scoperta dell’acqua calda”? Cerchiamo di scoprirlo insieme.
Prima di entrare nel vivo dell’argomento, occorre evidenziare che il termine “dual use” viene normalmente utilizzato in ambito internazionale con riferimento ai beni e alle tecnologie1. Questa classificazione ha lo scopo di consentire sia un più facile controllo in ambito esportazione dei materiali d’armamento e assimilati sia delle tecnologie emergenti (e non) che vengono sviluppate e impiegate in ambito militare e civile. Quest’ultima categoria va assumendo un’importanza sempre maggiore in campo militare dove molte tecnologie vengono prese dall’ambito civile e impiegate con adattamenti minimi. Mentre sino agli anni ‘80 dello scorso secolo, le tecnologie di punta venivano sviluppate in ambito militare per poi essere impiegate in ambito civile, in tempi più recenti si assiste ad una vera e propria inversione di “flusso” dovuta anche alle ingenti risorse investire nel campo della ricerca e tecnologia per usi civili. Le sinergie discendenti consentono un più proficuo utilizzo delle scarse risorse esistenti in ambito Difesa, senza perdere di vista le condizioni e le finalità di impiego del materiale di armamento.
Il problema sorge quando ad una metodologia oramai universalmente riconosciuta (materiali e tecnologie dual use) si cominciano a dare altri significati, quali quelli diffusi in tempi recenti dal Ministero della Difesa e cioè l’uso sistemico (in realtà sistematico) di capacità militari per compiti non militari2.
Non si vuole mettere in discussione la possibilità, peraltro già ampiamente regolamentata dal legislatore, di impiegare le Forze Armate in “concorso alla salvaguardia delle libere istituzioni e per lo svolgimento di compiti specifici in circostanze di pubblica calamità ed in altri casi di straordinaria necessità ed urgenza”, ciò che ci vede fermamente contrari è l’affermazione che alla luce dei nuovi scenari operativi l’impiego della componente militare nazionale vede e vedrà soprattutto un impiego per compiti non militari con la conseguente necessità di adattare anche l’innovazione e l’ammodernamento in tal senso.
Chiunque conosca la storia militare può portare un elenco quasi infinito di casi in cui i militari, anche quelli italiani, sono intervenuti a sostegno delle libere istituzioni e in soccorso alle popolazioni colpite da calamità naturali e non. Il presupposto fondamentale è, però, quello che esista una condizione di necessità ed urgenza e non che le capacità militari vengano impiegate per rafforzare le carenze evidenziatesi in altre istituzioni nazionali a causa di una errata pianificazione/finanziamento. Se non si rispetta questo presupposto fondamentale, lo strumento militare nazionale diventa un bacino di forza lavoro a relativo basso costo, con conseguente snaturamento delle funzioni e delle reali capacità di intervento in compiti militari.
Per essere ancora più chiari, l’intervento in pubbliche calamità così come la sorveglianza di obiettivi strategici (ad esempio) rientra nei compiti militari ancorché a supporto di altri dicasteri. L’attività però, deve essere correlata ad un evento ben particolare e, quindi, essere limitata nel tempo. Non può in alcun modo divenire un provvedimento “organico”, trasferendo, cioè, effettivi militari in altri dicasteri, attraverso una sorta di vincolo di impiego per l’assolvimento di compiti “di routine” di organizzazioni non militari.
Il razionale del dettato legislativo è molto semplice, attribuendo alle F.A. un compito di supporto, in via emergenziale, agli altri dicasteri, si è voluta premiare la possibilità di realizzare un approccio nazionale omnicomprensivo in caso di necessità. Tale aspetto, però, non deve in alcun modo inficiare la capacità dello strumento militare di essere in grado di assolvere le missioni principali che gli sono state conferite e cioè la difesa dello stato, degli spazi euro-atlantici e il contributo alla realizzazione della pace e della sicurezza internazionale.
Conseguentemente, il legislatore ha previsto che le missioni concorsuali non debbano “modellare” lo strumento militare che partecipa a tali tipi di missioni nei limiti della capacità militari esistenti. Il principio possiede un grande rigore logico. Infatti se è logico che in caso di necessità ed urgenza tutti gli apparati dello stato contribuiscano allo sforzo collettivo, è altrettanto logico che lo facciano adattando in termini di impiego le loro capacità e non costruendo capacità e approvvigionando materiali per l’assolvimento di missioni primarie di altri organi dello stato. Altrimenti, le duplicazioni capacitive e la sovrapposizione di competenze non potrebbero che generare sprechi e caos istituzionale.
In sintesi, possiamo affermare che:
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È un bene che la Difesa consideri fondamentale operare secondo il concetto di comprehensive approach non solo a livello internazionale ma anche in caso di crisi nazionali. Il tutto è, però, largamente regolamentato, da anni, sia in ambito nazionale (sistema per la gestione delle crisi) sia in ambito internazionale (NATO e EU). Si tratta, quindi, di una volontà politica di applicare la metodologia, piuttosto che di mancanze organizzative e procedurali. È bene, quindi, chiamarle con il giusto nome (mancanza di cultura politica in materia) piuttosto che coniare nuovi acronimi o neologismi. Del resto, l’approccio “multi-dimensionale” risale in epoca moderna alla dottrina Lyautey3 ed è stato implementato, pur con molti limiti, sia in Iraq (Antica Babilonia) sia in Afghanistan. A meno che non si sia ancora compreso il significato di “Framework Nation” a livello strategico e di struttura di missione, ma allora è bene cambiare mestiere!
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Le F.A. hanno anche compiti concorsuali e compiti specifici previsti per legge. Si preparano ad assolverli con impegno e abnegazione, “modellando”, però lo strumento per le missioni di diretta responsabilità. Del resto, qualsiasi cittadino di un Paese NATO o EU si aspetta che in caso di difesa dello stato e/o degli spazi euro-atlantici, così come per l’assolvimento di missioni Capitolo VII dell’ONU, le F.A. siano pronte, senza se e senza ma. Così come ci si aspetta che la Protezione Civile o il Ministero dell’Interno, ad esempio, siano pronti ad assolvere le loro missioni primarie.
Ciò significa che la Difesa continuerà ad avere una serie di capacità impiegabili anche a supporto di altri dicasteri, in caso di necessità, ma costruite intorno ad esigenze prettamente militari.
Chiunque abbia presente cosa succede in un Teatro Operativo ad alta intensità sa che le unità militari debbono avere capacità che vanno dall’organizzazione e gestione di porti/aeroporti, passando per l’organizzazione della circolazione stradale e la realizzazione/messa in sicurezza di itinerari stradali, il trasporto logistico e tattico di personale, mezzi e materiali nelle tre dimensioni, la bonifica del territorio (EOD e CBRN4), l’approvvigionamento e distribuzione di acqua potabile e energia elettrica, il soccorso sanitario e il servizio antincendio sino alla ricerca di persone o cose anche in edifici distrutti. Il tutto, però, con mezzi, procedure e tecniche compatibili con le situazioni conflittuali in corso.
Molto di quanto detto è trasponibile sul territorio nazionale, ma alcune cose non lo sono per questioni legate alla diversa legislazione applicabile e alla scala degli eventi accaduti/ipotizzati. Il contrario, però, non è possibile. Una squadra antisabotaggio delle forze di polizia non è in grado di operare in sicurezza in un Teatro Operativo (concetto valido per tutti i Paesi), così come un team CBRN dei Vigili del Fuoco non può operare in un contesto di “force on force” o con la presenza di attività di contrasto.
Pensare che l’impiego sistematico, prolungato e sistemico di capacità militari per compiti di altri dicasteri possa favorire l’addestramento militare (cioè ai compiti di competenza esclusiva delle F.A.) è un altro grave errore concettuale.
Se si crede, o si vuol far credere, che i militari impiegati nell’Operazione Strade Sicure si stiano addestrando anche ai loro compiti militari si è quantomeno “naif”. I militari, e l’opinione pubblica, cominceranno a pensare che tra le F.A. e le Forze di polizia non vi sono poi delle differenze così sostanziali. Riterranno che le operazioni militari sono delle attività di polizia internazionale. Che gli equipaggiamenti possono essere gli stessi, o quantomeno simili, e che anche le procedure di impiego debbano essere le medesime (stesso compito), per non parlare delle modalità di svolgimento del servizio e modalità di sviluppo del processo decisionale (compresa la “compartecipazione” della rappresentanza sindacale). Nulla di più sbagliato!
Se servono più poliziotti è giusto aumentare gli organici della Polizia o dei Carabinieri. Il militare, così, come dice lo spirito della norma e la costituzione, deve essere impiegato, eventualmente, nella difesa di obiettivi strategici vitali per la salvaguardia delle libere istituzioni (quanti obiettivi di Strade Sicure entrano in questa classificazione?), con assetti e tattiche/procedure tipiche delle forze militari. Si tratta, infatti, di un impiego eccezionale che lo Stato mette in atto a fronte di una minaccia interna non sostenibile con le sole Forze di Polizia.
Se invece si vuole una persona in divisa, con armamento quanto più leggero possibile e relegato a compiti propri degli Istituti di vigilanza, allora la soluzione passa per quelli che in ambito internazionale si chiamano “contractors”. Anche questo istituto esiste in ambito nazionale e viene utilizzato ogni qualvolta serve una figura privata che rivesta la funzione di “incaricato di pubblico servizio”.
In conclusione, è positivo che il Ministero della Difesa pungoli la Presidenza del Consiglio dei Ministri ad assumere una guida diretta e più stringente delle crisi internazionali (anche quelle potenziali) attraverso un approccio multi-dimensionale nazionale. Anzi guardando a ciò che accade in Libia e nel vicino e medio oriente, questa azione di “stimolo” dovrebbe essere sicuramente più energica, almeno a giudicare dai risultati prodotti.
Per quanto riguarda il dual use delle capacità militari, questo concetto è stato applicato in maniera ininterrotta da migliaia di anni, senza snaturare le Forze Armate e/o sottraendo risorse dalle missioni primarie. Tutti coloro che l’hanno applicato con successo, però, si sono preparati a vincere i conflitti, pianificando anche la pacificazione/stabilizzazione.
Proprio nel documento di “Integrazione Concettuale delle Linee programmatiche del dicastero” il Ministero della Difesa cita la capacità delle legioni romane di pacificare i territori conquistati con attività di supporto al territorio e alla popolazione. Bene! Ma si è omesso di dire che le legioni romane erano una potentissima macchina bellica che faceva della preparazione al combattimento, della disciplina e dello sviluppo della tattica dei veri e propri pilastri portanti. Mai si sono viste delle Forze Armate prepararsi ai soli compiti post-bellici o concorsuali “modellando” su tali aspetti lo strumento militare. Ciò, tra l’altro in un periodo contraddistinto da gravi carenze finanziarie nei settori dell’ammodernamento e del mantenimento (-13% nel periodo 2011 – 2018, a valore costante)5.
Speriamo, quindi, che le esigenze operative e addestrative dei nostri soldati, marinai e avieri continuino ad essere imbastite sul “worst case” che notoriamente è quello conflittuale. Saranno sicuramente pronti ad aiutare il Paese, gli Italiani e anche le popolazioni più lontane in caso di necessità ed urgenza, ma senza dimenticare la loro ragion d’essere: “la difesa in armi del Paese quale sacro dovere”.
Se l’attenzione del Ministero della Difesa non si pone, finalmente, sul supporto alle missioni primarie delle F.A. e al loro sostegno finanziario, il nostro strumento militare sarà incapace di compiere qualsivoglia missione militare e non, ma, forse, questo è lo scopo ultimo di una certa compagine politica. Si abbia allora il coraggio di dirlo chiaramente piuttosto che inventarsi un’altra Mandrakata!
Qui desiderat pacem, praeparet bellum
1Sono considerati beni e tecnologie duali quelli utilizzabili in applicazioni civili ma anche nella produzione, sviluppo e utilizzo di beni militari, si differenziano dai materiali d’armamento in quanto non sono appositamente progettati per uso militare.
4Abbreviazione di: chemical, bacteriological, radiological, or nuclear
5 https://www.nato.int/nato_static_fl2014/assets/pdf/pdf_2018_07/20180709_180710-pr2018-91-en.pdf
Immagini: Esercito Italiano / Marina Militare / web