Il mistero dell'ARA San Juan

(di Marco Pasquali)
31/01/18

Il 15 novembre 2017 il sottomarino ARA San Juan della Marina argentina perde i contatti con la base navale di Ushuaia, in Mar del Plata. Da quel momento inizia una frenetica ricerca del battello, ostacolata dalle proibitive condizioni meteo nel sud Atlantico. È una serie di false tracce, dichiarazioni contraddittorie e speranze mal riposte, finché la dura realtà emerge il 28 novembre, quando la Marina argentina rivela la causa della scomparsa del battello.

L'ultimo messaggio inviato dal San Juan il 15 novembre avvertiva: "Acqua è entrata dallo snorkel nella sala delle batterie elettriche e questo ha causato un cortocircuito e un principio di incendio. Procediamo in immersione con metà potenza. Vi terremo aggiornati". Ma è l'Organizzazione del Trattato di proibizione totale dei test nucleari (Ctbto), integrata nel sistema dell'Onu, a riferire di aver rilevato un segnale insolito nei pressi dell'ultima posizione nota del sottomarino scomparso. Due stazioni idroacustiche della Ctbto, riferisce questo organismo dell'Onu in una breve dichiarazione, hanno rilevato "un evento impulsivo subacqueo avvenuto alle 13.51 GMT del 15 novembre" a una latitudine di -46,12 gradi e longitudine di -59,69 gradi.

L'ultima localizzazione del sottomarino è la zona del Golfo San Jorge, a 268,5 miglia dalla costa argentina, 30 miglia dall’ultima posizione nota. Nel suo breve comunicato, di appena tre paragrafi, la Ctbto mette i suoi dati a disposizione delle autorità argentine per appoggiare le operazioni di ricerca in corso (1). Di sicuro dopo quel messaggio del 15 novembre non saprà più nulla del battello e dei 44 militari dell’equipaggio, tra cui la prima donna nella storia della Marina argentina, Eliana Maria Krawczyk.
Questa la cronaca.

In questo articolo ora cercheremo di capire cosa può essere successo, valendoci di diverse fonti specializzate. Intanto il battello: classe TR-1700, varato in Germania nel 1983 ed entrato in servizio nel 1985 per la Marina argentina (ARA) con la sigla S-42, il San Juan era un classico battello a propulsione mista diesel/elettrica, 66 metri di lunghezza, 2116 tonnellate di dislocamento, 2264 in immersione (2). I motori diesel vengono usati normalmente in emersione, mentre il motore elettrico, non consumando aria, assicura la propulsione in immersione. Gli accumulatori vengono ricaricati dai motori diesel, in modo analogo alle attuali macchine a motore ibrido. Nel 2011, a metà vita operativa, il San Juan era stato soggetto a revisione completa, che tra l’altro comprendeva la sostituzione completa degli accumulatori. Ma su questo torneremo.
Intanto, quel giorno il San Juan navigava sicuramente in immersione, le condizioni del mare in superficie essendo proibitive: vento oltre i 45 nodi e onde anche di 9 mt. In realtà il moto ondoso oceanico dipende molto dalla lunghezza d’onda e poco dall’altezza, per cui l’effetto si fa sentire fino a metà della lunghezza d’onda, cioè dai 5 ai 50 mt., il moto ondoso decrescendo in modo esponenziale con la profondità. Dunque, non c’era motivo per navigare in superficie e subire sollecitazioni di ogni tipo. E infatti il contatto radio è possibile solo se l'unità naviga in superficie o comunque con l'antenna impiegata per le comunicazioni, oltre il pelo dell'acqua.

Ma torniamo all’ultimo messaggio: “l’acqua è entrata dallo snorkel nella sala delle batterie elettriche e questo ha causato un cortocircuito e un principio di incendio. Procediamo in immersione con metà potenza".

Lo snorkel è il sistema che mediante un lungo tubo di presa d’aria dall’esterno, assicura, quando il sottomarino si trova sotto il pelo dell’acqua e il tubo viene sollevato e vengono aperte delle apposite valvole, il ricambio dell’aria interna, ma soprattutto l’ingresso dell’aria per il funzionamento dei motori diesel, che dell’aria non possono fare a meno. Quando lo snorkel non viene impiegato, ovvero durante la navigazione in immersione, il tubo dello snorkel è allagato fino allo scafo resistente.

A sentire i tecnici, l’acqua può anche entrare nello snorkel, ma mai con effetti devastanti. Lo snorkel ha infatti almeno tre valvole: una in testa della canna (head valve) per prevenire l'ingresso delle ondate, e due in prossimità dello scafo resistente per resistere alla massima quota, essendo la canna snorkel allagata quando il sottomarino è in immersione. Dopo la canna in genere c'è un sistema di raccolta per prevenire che l'acqua eventualmente entrata possa iniziare a scorrere lungo le condotte, sistema che dovrebbe avere delle sicurezze di alto livello che fanno chiudere le valvole resistenti. Una volta sollevato lo snorkel, tra i controlli previsti prima dell’effettivo ingresso dell’aria, si prova la valvola di testa, che ha due contatti elettrici (24 volt, AC), che in acqua vanno in corto e chiudono automaticamente la valvola. Cura dell’ufficiale di guardia è controllare dunque i contatti e la tenuta delle guarnizioni prima di attivare lo snorkel. E se il battello scende sotto la quota di snorkel, ovviamente la valvola di testa si chiude e a bordo se ne accorgono subito: il diesel in funzione aspirerà l’aria dall’interno del battello, creando un’improvvisa depressione, che se permane a lungo, porta all’arresto del motore. Poca acqua può anche entrare se il mare è in tempesta, ma viene raccolta in un apposito pozzetto che poi viene esaurito con pompe di drenaggio o per semplice travaso in apposite casse presenti a bordo. Ma se la valvola di testa ha un difetto meccanico o elettromeccanico, allora di acqua ne entra tanta e rapidamente, come avvenne all’USS Squalus nel 1939 (3).

Nel caso del San Juan la reazione dell’equipaggio può non essere stata rapida, e l’acqua potrebbe esser penetrata nel vano batterie. Il messaggio radio parlava chiaro: l'acqua è passata dallo snorkel ed è entrata nella sottobatteria nr 3. I tedeschi numerano da poppa a prora, per cui è la centrale prodiera, quella più vicina allo snorkel, provocando un principio di incendio. Non è chiaro se l'incendio si è sviluppato nel locale o sugli interruttori di sicurezza della sottobatteria nr.3. E soprattutto, non è chiaro se le batterie avessero perso di potenza prima ancora di andare in corto a contatto dell’acqua salata. Perché mai risalire a quota snorkel con quel mare se non per dover ricaricare gli accumulatori coi motori diesel?

Un portavoce della Marina Argentina (Enrique Balbi) riferisce che la causa dell'avaria è stato l'ingresso di acqua attraverso lo snorkel, questo ha causato il cortocircuito di una delle batterie. L’avrebbero isolata e, nonostante il problema, avrebbero continuato il viaggio in immersione verso Mar del Plata, utilizzando le sottobatterie 1 e 2 e cercando di riparare il guasto, piuttosto che farsi sballottare navigando in emersione. Credevano dunque di aver arginato il problema, poi qualcosa è andato storto. Ma va anche detto che il vano batterie è per ovvii motivi ben isolato e la possibilità che vi entri acqua è relativa. Quindi suggerirei l’ipotesi di una progressiva perdita di potenza o un’avaria grave alle batterie precedente alla manovra di risalita e all’ingresso dell’acqua dallo snorkel, che ha mandato tutto in corto producendo gas tossici (cloro, idrogeno). Combustione senza fiamma, ma tossica. Questo potrebbe aver paralizzato la reazione dell’equipaggio: anche un’avaria al quadro di propulsione (che smista l'energia elettrica delle batterie e dei generatori) doveva comunque permettere l'emersione di emergenza (con un sistema a idrazina) (4). Non solo: ogni battello è dotato di più di un dispositivo di sicurezza capace di comunicare in caso di avarie posizione o comunque lanciare un SOS: boe radiotelefoni sottomarini, comunicazioni radio a bassa frequenza, ed è verosimile che queste dotazioni fossero in efficienza, altrimenti il San Juan non l’avrebbero fatto salpare per un viaggio così lungo. Pare comunque che non ci fosse la boa EPIRB (si stacca automaticamente e lancia un segnale satellitare di soccorso). Quanto alle trasmissioni aeree, potrebbero non aver avuto la portata necessaria a raggiungere i 400 Km dalla costa e oltre dalle basi della Marina.

Un altro apparato che doveva essere presente è un trasmettitore subacqueo di emergenza, che si attiva manualmente o automaticamente e funziona a batteria anche per 10 giorni. Ma qui interviene la fisica del suono in acqua e la portata potrebbe non arrivare a 100 Km. Con condizioni meteo avverse come quelle in zona, il rumore di fondo potrebbe coprire l'emissione del trasmettitore subacqueo. Ma il vero problema è che il battello, ormai senza energia elettrica e/o appesantito dall’acqua entrata, e un’aria interna degradata da gas, fumo e fiamme, a quel punto è andato a fondo con tutto l’equipaggio.

Gli impianti di risalita di emergenza (RESUS, Rescue Systems for Submarines) sono progettati per funzionare in condizioni di estrema emergenza, anche in assenza di alimentazione e/o attivazione manuale. L’attivazione automatica è prevista in base alla quota (come sul nostro U212A) o manuale come ridondanza al mancato funzionamento elettrico (come sul nostro Sauro). Quanto è successo a bordo dell’ARA San Juan è stato quindi anomalo e improvviso.

Non esiste mai una sola causa, ma la somma porta alla tragedia. I nostri sommergibilisti sono addestrati in modo ripetitivo e maniacale agli interventi di emergenza, in modo da sviluppare precisi automatismi comportamentali. L'emersione rapida qui sarebbe stata possibile – anche senza un intervento manuale per l’esaurimento rapido delle casse zavorra – se non fossero intervenuti altri danni. Quasi certamente è mancata la propulsione, un grande aiuto per tornare verso la superficie, forse per i danni dell'incendio o forse per l'allagamento delle altre sottobatterie. Forse l'esplosione in batteria ha danneggiato qualche tubo della refrigerazione generale, un circuito alla stessa pressione dell'esterno che potrebbe essere non semplice da intercettare, creando un ulteriore forte allagamento dopo l'incendio.

La rotta era al limite della piattaforma continentale, ma l'implosione è avvenuta a una profondità nettamente inferiore a quella teorica di collasso, causando la morte istantanea di tutto l’equipaggio fino a quel momento sopravvissuto. Secondo il dottor Bruce Rule, un esperto di analisi acustiche che per 42 anni è stato capo-analista presso l’Office of Naval Intelligence (ONI), cioè i servizi d’informazione della Marina americana, l’implosione è avvenuta a una profondità di 388 mt. Questo in sunto quanto scrive il Rule:

1) L’evento in questione, verificatosi alle 1358Z (GMT) del 15 novembre 2017 nel punto con coordinate geografiche 46° 10’ S-59° 42’W, è stato prodotto dall’implosione dello scafo resistente del sottomarino San Juan a una profondità di circa 1275 piedi (circa 388 metri), alla quale la pressione del mare è pari a circa 570 psi (libbre per piede quadrato), cioè 39,3 bar;

2) l’implosione ha generato un’energia cinetica equivalente a quella prodotta dalla detonazione di circa 12.500 libbre (circa 5.700 kg) di tritolo;

3) la frequenza dell’evento è stata di 4,4 hertz;

4) la velocità della colonna d’acqua penetrata nello scafo del sottomarino dopo l’implosione è stata pari a circa 1800 miglia terrestri orarie, cioè circa 2.900 km/h;

5) lo scafo del San Juan è collassato in circa 40 millisecondi, (1/25 di secondo), pari a circa la metà del tempo minimo richiesto ai sensi umani per il riconoscimento cognitivo di un evento;

5) i resti del San Juan sono affondati verticalmente a una velocità stimata compresa tra i 10 e i 13 nodi;

6) l’impatto di tali resti sul fondo dell’oceano non ha prodotto ulteriori eventi acustici rilevabili a lungo raggio;

7) qualora il relitto sia ritrovato e venga deciso di recuperarne delle parti, si suggerisce di concentrare le analisi sul sistema di batterie del sottomarino.

Per inciso, Bruce Rule è anche il coordinatore di: “Why the USS Scorpion (SSN 589) was lost: the death of a submarine in the North Atlantic” (rist. 2011), relativo alla perdita del sottomarino nucleare americano Scorpion (foto), disperso al largo delle Azzorre nel maggio 1968 con 99 uomini a bordo. E anche qui c’erano di mezzo le batterie (5).

Ma passiamo dunque alle batterie e alla loro presunta combustione senza fiamma. Un'indagine del ministero della Difesa argentino ha dimostrato che la Marina del Paese ha commesso violazioni nelle regole per l'acquisto delle batterie per la scomparsa del sottomarino San Juan, riporta l'edizione di Nacion, riferendosi ai documenti interni del ministero. Come osserva il giornale, l'indagine condotta dal ministero nel 2015 e 2016 ha rivelato che i rappresentanti della Marina potrebbero non aver seguito le norme regolamentari per la riparazione del sottomarino e la sostituzione delle batterie, e che l'acquisto delle batterie potrebbe essere stato gestito nell'interesse di alcuni fornitori.

"Le informazioni raccolte permettono di affermare che il contratto non solo non corrisponde al procedimento amministrativo, ma anche che i responsabili dei contratti, probabilmente, hanno commesso azioni illegali, nell'interesse delle aziende Hawker Gmbh e Ferrostaal AG", dice il giornale citando i documenti del ministero. I risultati di questa indagine coincidono con i dati della Gestione generale del controllore dell'Argentina, che conferma la presenza di irregolarità. Anche i tecnici di controllo hanno scoperto che, a causa del ritardo del processo di acquisto, sono state acquistate batterie scadute. In sostanza, due produttori tedeschi si sarebbero accaparrati la fornitura delle batterie in maniera opaca. Secondo informazioni dei portali tedeschi BR Recherche e ARD-Studio Südamerika, due aziende tedesche si sarebbero accaparrate la sostituzione dei dispositivi pagando delle tangenti e avrebbero installato dei prodotti di qualità scadente per risparmiare. In occasione di una revisione completa del “San Juan” conclusasi nel 2011, la Ferrostaal e la EnerSys-Hawker avevano ottenuto un contratto per la consegna di 964 celle per un importo di 5,1 milioni di euro. Secondo quanto indicato alle testate da alcuni politici argentini, è praticamente certo che le due aziende tedesche abbiano pagato delle tangenti per ottenere quella commessa. Un’accusa depositata nel 2010 in tal senso era finita in un insabbiamento.

Riguardo alla qualità della merce consegnata, Schmidt-Liermann commentava: "Sussiste il sospetto che le batterie non fossero, in parte o per niente, della qualità che avrebbero dovuto essere … non sappiamo nemmeno da dove venissero, se dalla Germania o da un altro Paese".

A questo punto, è opportuno concentrarsi sui lunghi e complessi lavori di ammodernamento che il San Juan aveva subito tra il 2008 e il 2014. Tali lavori erano stati eseguiti dai cantieri argentini Cinar (Complejo Industrial y Naval Argentino) di Buenos Aires, azienda statale risultante dalla fusione tra i due cantieri Domecq Garcia e Tandanor. I Domecq Garcia sono i cantieri che avevano iniziato, sotto la supervisione tedesca, la costruzione dei quattro gemelli del San Juan e del Santa Cruz (che furono entrambi realizzati in Germania), cioè il Santa Fe e il Santiago del Estero, mai completati (gli scafi sono tuttora sugli scali da più di un ventennio in attesa di decisioni) al pari di altre due unità che non vennero nemmeno iniziate. Le quattro unità sarebbero state, in assoluto, le prime mai realizzate in Argentina. In altre parole, nessun sottomarino costruito in Argentina ha mai realmente navigato. Dopo la privatizzazione e la successiva dissoluzione dei cantieri, ormai in bancarotta per la grave crisi economica che il Paese sudamericano ha subito negli anni ‘90, il governo Kirchner decise di riorganizzare la cantieristica nazionale cercando di recuperare le competenze e parte delle maestranze qualificate necessarie alla realizzazione e alla manutenzione di unità complesse come quelle subacquee. Nel frattempo, per il refitting del Santa Cruz, il gemello del San Juan che aveva necessità di importanti interventi di adeguamento e manutenzione, la Marina argentina fu costretta a ricorrere all’aiuto del Brasile (un Paese che, in Sudamerica, quanto a competenze nel settore è più avanzato). Il Santa Cruz fu sottoposto quindi, tra il 1999 e il 2001, a grandi lavori di modernizzazione presso l’Arsenal de Marinha di Rio de Janeiro. Riorganizzati i cantieri nazionali, simili lavori vennero programmati anche per il San Juan, ma vennero effettuati direttamente in Argentina dal 2008 al 2014. Va sottolineato, a riprova delle difficoltà incontrate nei cantieri nazionali, che sul Santa Cruz i brasiliani impiegarono per i lavori circa tre anni, mentre per interventi simili sul San Juan servì, in Argentina, un periodo pressoché doppio. Furono sbarcati e revisionati completamente o sostituiti i quattro motori diesel, il motore elettrico di propulsione e i 960 elementi delle batterie, pesanti complessivamente circa 550 tonnellate. Oltre all’imbarco di nuovi sensori acustici e di un sistema di combattimento aggiornato, furono sostituiti circa 9 km di tubolature di vario genere e oltre 25 km di cavi elettrici, mentre furono smontate e revisionate le quasi 1300 valvole necessarie ai vari servizi di bordo.

Lo scafo dei sottomarini classe TR 1700 è realizzato in acciaio HY 80, un acciaio speciale a basso tenore di carbonio (utilizzato anche per i sottomarini italiani classe Sauro) che vanta una caratteristica preziosa per un sottomarino: è piuttosto elastico, ma molto resistente, con un elevato limite di snervamento (High Yeld, cioè HY) pari a 80.000 libbre per pollice quadrato (36.287,3896 kg. / 6,4516 cmq.). Tuttavia, tale materiale richiede particolari tecniche di saldatura. Per permettere lo sbarco degli elementi di grandi dimensioni che non potevano passare dai due portelli d’imbarco esistenti a bordo, durante i lavori fu necessario tagliare letteralmente in due lo scafo del San Juan che venne poi nuovamente saldato. Come si può facilmente immaginare trattandosi di unità subacquee che in servizio sopportano sollecitazioni importanti, dovute alla pressione del mare in quota, e in presenza dell’acciaio HY 80 già menzionato, questa è un’operazione estremamente delicata che richiede un’attenzione particolare, apparecchiature e procedure adeguate e maestranze decisamente molto qualificate e appositamente certificate, che devono essere costantemente addestrate per mantenerne inalterate le capacità. In tutto il mondo non sono poi molti i cantieri in grado di eseguire tali attività in piena sicurezza e il fatto che i lavori sul San Juan siano stati affidati a cantieri interessati da vicende aziendali travagliate, che per anni non hanno operato nel settore e in un Paese afflitto oltretutto da una lunga e devastante crisi economica è da considerare un’area di rischio da non sottovalutare. Certamente non potranno essere sottovalutate dagli inquirenti che dovranno investigare sulle cause della sciagura.

Un’altra area di rischio ben conosciuta da chi si occupa di sottomarini è costituita dalle cosiddette “camolature” (o “vaiolature”), cioè i fenomeni di corrosione puntiforme, dette anche “pitting” con terminologia anglosassone, che possono assottigliare lo spessore dell’acciaio e quindi indebolirne la resistenza. Il “pitting” è un fenomeno molto insidioso ed è particolarmente favorito proprio dall’acqua di mare, che costituisce l’ambiente ideale per il suo sviluppo a causa dell’elevata concentrazione di ioni di cloruro di sodio e di altri sali. Durante le soste in cantiere di un sottomarino, i tecnici prestano particolare attenzione alla ricerca del “pitting” e, dove necessario, intervengono apponendo sullo scafo dei “fazzoletti” di lamiera adeguatamente saldati che servono a ricostituire lo spessore originario e a ripristinare le caratteristiche di resistenza di progetto. Ovviamente i fenomeni di “pitting” non identificati e non opportunamente contrastati costituiscono un pericolo potenzialmente mortale per uno scafo destinato a sopportare pressioni elevatissime.

Lo scafo dei sottomarini classe TR 1700 era progettato per operare a una quota di 270 metri (300 metri, secondo altre fonti) con un coefficiente di sicurezza pari presumibilmente a 2. Il coefficiente di sicurezza è quel numero utile a determinare la profondità di collasso, cioè quella massima sopportabile prima che uno scafo ceda. Un sottomarino progettato per una quota operativa di 270 metri con coefficiente di sicurezza 2 resisterà fino a 540 metri di profondità (270x2), uno con 300 metri di quota operativa resisterà fino a 600 metri (300x2) e così via. Anche ipotizzando per il San Juan un coefficiente di sicurezza di progetto più prudenziale, pari a solo 1,5, si avrebbero, rispettivamente, una profondità di collasso di 405 oppure di 450 metri, comunque superiori a 388 metri ai quali lo scafo ha ceduto. Se il San Juan è collassato a una profondità più modesta rispetto a quella che avrebbe dovuto sopportare, è perché era stato verisimilmente declassato quanto a profondità operativa, visti i suoi 25 anni di servizio.

 

NOTE

(1) https://www.ctbto.org/press-centre/media-advisories/2017/media-advisory-... . Per l'analisi dell'anomalia acustica fatta da un tecnico, vedi : https://youtu.be/bc39NVy1v20

(2) https://it.wikipedia.org/wiki/ARA_San_Juan_(S-42)

(3) Testimonianza di Charles Green, USN Submarine Service (Ret.)

(4) I contenitori di idrazina a contatto col mare sviluppano gas. Il contatto avviene elettricamente con batterie dedicate e i pulsanti di azionamento sono in ogni locale del battello. Per i sistemi RESUS (Rescue Systems for Submarines) , vedi: http://www.space-propulsion.com/resus/index.html

(5) Cito: In their official report of 29 January 1970, the SCORPION Structural Analysis Group (SAG), which included the Navy's leading experts in submarine design, submarine structures, and the effect of underwater explosions, advised the Navy Court of Inquiry (COI) that the US nuclear submarine SCORPION was lost on 22 May 1968 because of the violent explosion of the main storage battery. The COI disregarded that assessment and concluded SCORPION was lost because of the "explosion of (a) large charge weight external to the submarine's pressure hull." That erroneous conclusion which, by default, has become the Navy's explanation for the tragedy, contributed to the conspiracy theory that SCORPION was sunk by a Soviet torpedo. This book includes six letters sent to the Navy from 2009 to 2011. These letters provide the results of the first reanalysis in 40 years of acoustic detections of the loss of SCORPION. This reanalysis confirms the 1970 SAG battery-explosion assessment and provides important new information on the loss of SCORPION. The author was the lead acoustic analyst at the Office of Naval Intelligence (ONI) for 42 years, ending in 2007. ONI did not receive any SCORPION acoustic data until the author provided it in October 2009. The book includes a prologue signed by 96 members of the Scorpion families asking the Navy to bring forth further information on the causes of the tragedy.

(foto: web / MoD Argentina / U.S. Navy)