C'è poco da dire, il brevetto da paracadutista è ambito da ogni militare e in ogni forza armata. Non è infatti assolutamente raro vederli brillare anche sulle divise dell'Arma o della Marina. Ma mentre ci si sofferma ad ammirare un lancio da un C-130, si riflette mai abbastanza sul pezzo di tela e la storia che ha permesso a Leonardo da Vinci di veder realizzato uno dei suoi progetti: "ognuno si potrà gittare da qualsiasi altezza senza alcun rischio"?
Poche settimane addietro l'esercito statunitense ha svolto test sui paracadute di riserva per eliminare rischi di aperture premature. Incuriositi dalla singolare sperimentazione abbiamo colto l'occasione per chiedere all'ufficio stampa dell'Esercito di approfondire l'argomento intervistando due professionisti di riferimento.
In brevissimo tempo ("tempi Folgore") siamo stati messi in contatto con il colonnello Cristiano Maria Dechigi, il vice comandante della brigata paracadutisti, ed il sergente maggiore Umberto Arcella, sottufficiale "Ripiegatore" del battaglione AVIO - compagnia Aviolanci e Manutenzione.
Il colonnello Dechigi ha 40 anni di carriera alle spalle e con malcelata ammirazione mi viene descritto come la "memoria storica" del paracadutismo militare italiano. Rivolgiamo a lui le prime domande...
Colonnello, cos’è un paracadute?
Tecnicamente il paracadute è un dispositivo che ha lo scopo di ridurre la velocità di discesa di un grave al quale è vincolato. Per noi militari ciò si traduce in un dispositivo da utilizzare quale mezzo di trasporto con il fine di raggiungere l’area da dove poi inizierà la nostra missione.
Come è fatto un paracadute?
Un paracadute è composto da una calotta dalla quale diparte un gruppo di funi di sospensione. Queste ultime vanno a collegarsi ad una imbracatura che sosterrà dunque il nostro paracadutista.
Entrando un po’ più nello specifico, potremmo suddividere il nostro paracadute in tre sottoassiemi principali, ovvero la calotta con il gruppo funi di sospensione, l’imbracatura ed infine il congegno di sicurezza per l’apertura del paracadute di riserva.
Quando è stato introdotto il paracadute in campo militare in Italia?
Il primo impiegato per scopi militari e non solo salva vita, quale comunque era, è un paracadute inglese ancora conservato a Udine presso il Museo della brigata alpina Julia. Venne impiegato nel 1918 da un nucleo di Arditi infiltrati in territorio italiano occupato dagli austriaci.
Il paracadute fino a quel momento era lo strumento di salvataggio per gli osservatori d’artiglieria innalzati sui palloni aerostatici a controllare le linee nemiche in cerca di obiettivi.
Nel corso degli anni venti e trenta fu la Regia Aeronautica a condurre esperimenti di lancio anche di più uomini. I limiti tecnologici di allora, al di là della qualità dei materiali aviolancistici risiedevano anche nella capacità di carico e trasporto dei velivoli.
Sicuramente quindi il paracadute entrò in servizio nel Regio Esercito e successivamente nella Regia Aeronautica come materiale di sicurezza per tutti coloro che iniziavano in qualche modo la conquista del cielo e della terza dimensione agli inizi del novecento.
Quanti modelli si sono succeduti fino ai nostri giorni? Quali differenze e caratteristiche?
Il primo reparto militare costituito per l’ingresso in combattimento per mezzo del paracadute fu il battaglione libico “Fanti dell’Aria” composto da militari del Regio Corpo Truppe Coloniali in Libia. L’esperimento voluto dal governatore generale della Libia ebbe fine con lo scoppio della seconda guerra mondiale e la destinazione di tutte le risorse alla scuola di Tarquinia, vera culla del Paracadutismo militare italiano.
Il reparto impiegò paracadute del modello/serie Salvador (foto), cioè paracadute di salvataggio e non strumenti nati per impiegare unità armate. Gli stessi materiali equipaggeranno fino al 1941 le neonate unità paracadutisti del Regio Esercito.
Proprio nel 1941 verrà prodotto in Italia un paracadute simile a quello tedesco dell’epoca, studiato per gli aviolanci militari e non come strumento salvavita. Denominato IFSP41 (clicca qui) resterà in servizio fino alla fine degli anni ’40, sostituito ben dopo la guerra da un modello transitorio denominato 4 BI che ai primi anni cinquanta lasciò la scena al CMP53 (nella foto seguente a sx) e poi al CMP55 (nella foto seguente a dx), paracadute studiati e realizzati in Italia su disegno del Centro Militare di Paracadutismo.
Il CMP 55 anche nella variante a fenditura e nel modello a discesa variabile Lisi, giunge fino a metà anni 80 quando verrà rimpiazzato dal paracadute Irvin 80 e successivamente dal T10 ancora in uso.
A tutti i modelli indicati si affiancano, dal 4BI in avanti, dei paracadute d’emergenza introdotti dagli americani nel corso della seconda guerra mondiale. Nel corso di questi passaggi di materiali si svilupparono le tecniche di costruzione e dalla seta, corda e canapa dei primi modelli, si è arrivati al tessuto in nylon delle calotte a porosità controllata ed all’impiego del materiale sintetico per la realizzazione delle funicelle di sospensione come dei nastri delle imbragature.
Anche il colore delle velature, inizialmente candido, è divenuto mimetico ed oggi è normalmente verde oliva.
Nelle grandi operazioni di aviolancio condotte di giorno ad inizio della guerra dai tedeschi vi erano paracadute colorati secondo un codice colore per lanciare i rifornimenti di armi, munizioni, viveri, materiale sanitario.
Iniziate le operazioni di lancio notturne, l’esigenza di calotte colorate è venuta meno.
Quando sono stati introdotti i primi paracadute direzionali?
I paracadute “direzionali” per scopi militari sono cresciuti “tecnologicamente” nelle caratteristiche e nelle capacità dagli anni sessanta in avanti. Hanno iniziato ad equipaggiare le unità che operavano in piccoli gruppi e con la necessità di atterrare in spazi ristretti o al seguito di un carico pesante da impiegare.
Fin dagli anni ottanta questi materiali sono stati rivoluzionati nel disegno che da calotta emisferica con più spicchi ed aperture, che consentivano una manovrabilità relativa, si sono trasformati in profili alari composti da “cassoni” in grado ti trasformare l’aria in entrata per effetto della discesa verticale in spinta lineare con il risultato di consentire la vera “navigazione” a paracadute aperto per distanze decisamente considerevoli.
Il paracadute è uno strumento statisticamente “sicuro”?
Molto più di quanto si sia portati a credere. L’incidenza degli incidenti per malfunzionamento del materiale è bassissima.
Più spesso è l’uomo che semmai non segue le procedure nell’affrontare il lancio, che rimane una prova per molti, ma non per tutti, fatta di autocontrollo, preparazione fisica e prontezza di riflessi.
Quali e quante sono le tecniche di lancio?
Le tecniche di lancio sono sostanzialmente racchiudibili in 2 macroaree differenti:
- Tramite un “nastro di vincolo” che si diparte dal paracadute e viene agganciato al velivolo. Durante l’uscita del paracadutista dal vettore aereo il nostro nastro di vincolo raggiungerà la sua massima estensione oltre la quale aprirà automaticamente la sacca contenente il paracadute permettendogli così di dispiegarsi.
- La “caduta libera” è una tecnica di lancio dove il paracadute indossato dal paracadutista non è vincolato al velivolo, bensì il suo dispiegamento avverrà tramite azione manuale e diretta del paracadutista su di una maniglia che lui stesso azionerà appena raggiunta la quota idonea.
Gli eserciti alleati utilizzano dotazioni identiche o simili alle nostre?
Gli eserciti alleati utilizzano dotazioni molto simili alle nostre. È chiaro che sul mercato internazionale del paracadutismo esistono molte aziende, pertanto, le scelte del “sistema” paracadute possono ricadere su differenti aziende e differenti tipologie che ogni Stato può decidere in autonomia; ma comunque i “Requisiti Operativi Preliminari” restano i medesimi per tutti.
Parapendio “militari” sono o sono mai stati utilizzati/valutati nel nostro paese?
È difficile immaginare la validità “militare” di un oggetto che è stato studiato per stare in aria il maggior tempo possibile partendo da un punto per il lancio che non è un aeromobile. Per sua caratteristica il lancio militare avviene o alla minima quota possibile, per ridurre al minimo, appunto, il tempo di esposizione all’offesa dell’uomo che appeso al paracadute non può difendersi ed è la condizione del lancio di massa. Al contrario il lancio e l’apertura del paracadute a quote altissime consente di navigare ed effettuare una infiltrazione in territorio nemico tenendo nascosto o in zona sicura il velivolo che trasporta. Esperimenti sono stati condotti con deltaplani/paracadute a motore ma che non hanno ottenuto grande seguito da noi.
Ringraziato il colonnello Dechigi per l'esaustività delle risposte, ascoltiamo il serg. magg. Umberto Arcella (foto), sottufficiale "Ripiegatore", i cui insegnamenti ed esperienza - e magari qualche cazziatone... - devono essere considerati "sacri e benedetti" da ogni allievo.
Quali sono gli imprevisti che possono avvenire durante un lancio relativamente al principale ed al secondario?
Gli imprevisti che possono interessare il paracadute principale e/o quello di riserva possono essere sostanzialmente molto simili poiché sia con la tecnica di lancio “Fune di Vincolo” che con la tecnica di lancio “Caduta Libera”, i 2 paracadute sono simili tra loro od anche identici.
Possiamo comunque parlare di malfunzionamenti “parziali” e malfunzionamenti “totali”.
I primi riguardano un non corretto dispiegamento o come dice la stessa parola un dispiegamento parziale del paracadute. Mentre per quanto riguarda la seconda tipologia di malfunzionamento andiamo incontro appunto ad una totale assenza del dispiegamento della calotta del paracadute.
La corretta piegatura di un paracadute viene mai sottovalutata - come avviene in altri campi - proprio da chi si sente troppo esperto?
Il ripiegamento di un paracadute rientra in quelle operazioni che un paracadutista mette in atto con il massimo della professionalità ed attenzione che lo contraddistinguono.
Può avvenire che il paracadutista esperto si accinga al ripiegamento del paracadute con maggior velocità e disinvoltura, questo sì, ma l’operazione non viene mai, in nessun caso, sottovalutata.
Un ricordo particolare nella sua carriera che porta ancora con sé?
Diciassette anni fa ho avuto il primo “contatto” con il paracadutismo militare, e fino ad allora avevo soltanto visto qualche paracadute nell’ambito civile del paracadutismo sportivo.
Mi è successo, in ambito militare, di assistere per la prima volta alle operazioni di “ripiegamento” di un paracadute da parte dei “Ripiegatori”. Da neo-assegnato alle aviotruppe sono rimasto sbalordito dalla meticolosità con la quale venivano eseguite tutte le procedure.
Al termine del ripiegamento chiesi, in cuor mio solamente per conferma, se quello appena ripiegato fosse un paracadute di riserva, ovvero l’“ultima chance”.
Proprio lì fui gelato da una risposta secca e decisa: mi spiegarono che per i Ripiegatori la differenza tra paracadute principale e paracadute di riserva è solamente nelle procedure tecniche di ripiegamento, ma l’attenzione e la meticolosità con cui viene effettuato lo stesso è massima sempre.
Foto: Esercito Italiano / U.S. Army National Guard / U.S. DoD