Come è noto, per un certo numero di secoli prima dell’avvento delle “armi da fuoco”, le forme di combattimento bellico ravvicinato, ovvero “uomo contro uomo”, erano sostanzialmente basate sull’impiego:
- del proprio corpo come arma, usando “tecniche percuotenti” (impiegando principalmente testa, braccia e gambe per colpire ed abbattere) e/o “tecniche avvinghianti” (facendo ricorso a tecniche di lotta per atterrare, bloccare, immobilizzare, fratturare, strangolare);
- di “armi bianche”, sfruttando, a seconda del tipo di arma, lo specifico effetto tagliante, perforante, fratturante, strappante …o sfruttandone un “effetto misto” per troncare, recidere, sfondare.
La bravura nel combattere “corpo a corpo”, intesa come capacità letale, era quindi determinata dalla sommatoria della destrezza con cui si sapeva combattere disarmati, ovvero “a mani nude”, combinata alla destrezza e capacità di maneggiare le armi bianche, lunghe o corte che fossero.
La successiva evoluzione delle armi da fuoco, peraltro considerate “più umanitarie” rispetto alle armi bianche (in ragione delle tipologie di ferite inferte), aveva necessariamente portato il combattimento a distanze sempre più lontane, mettendo così in secondo piano lo scontro fisico diretto.
Dopo la Seconda Guerra Mondiale un certo numero di eserciti occidentali, ritenendo che la guerra tecnologica a grandi distanze avrebbe completamente cancellato lo scontro fisico, hanno trascurato il metodico e rigoroso addestramento dei propri soldati al combattimento fisico. Negli ultimi anni, tuttavia, con le nuove tipologie di minacce e le nuove tipologie di interventi militari, è riemersa la necessità per alcune Forze Armate e Forze di Polizia di riorganizzarsi, a dovere e rapidamente, per curare nuovamente l’aspetto del “combattimento individuale corpo a corpo”.
Molte Nazioni occidentali sono state in grado negli anni, ovviamente alcune molto più di altre, di coltivare e sviluppare i propri sistemi di combattimento implementandoli, necessariamente, con quelle discipline di combattimento che, da sempre, hanno garantito soluzioni tecniche ad alto livello di letalità, sia per un impiego prettamente bellico che di polizia, e che sono le cosiddette “Arti Marziali” (ovvero “le arti della guerra”) e più specificatamente quelle estremo-orientali. I popoli estremo-orientali, infatti, non hanno mai abbandonato lo sviluppo delle proprie arti di combattimento individuale. È tuttavia necessario precisare che quando si parla genericamente di Arti Marziali, forse a causa di una eccessiva globalizzazione, vengono inglobate discipline molto diverse tra di loro e che non forniscono un apporto significativo all’arte del combattimento, o comunque non sono idonee ad un impiego specificatamente militare: si trovano infatti delle “arti”, o loro “interpretazioni”, che risultano valide principalmente in una palestra o in una gara sportiva (con regolamentazioni che snaturano un combattimento reale) oppure, viceversa, interpretazioni che spaziano da combattimenti particolarmente spettacolari da funamboli, da saltimbanchi a combattimenti eccessivamente crudeli da “gabbionata clandestina”. Insomma, cose estranee al combattimento da guerra, seppur anch’esso violento e con molte poche regole cavalleresche a cui sottostare.
Fornita questa premessa, l’appartenenza ad una determinata “Scuola di combattimento” di una determinata “Disciplina di combattimento” assume una grande importanza, soprattutto nella fase iniziale, quando si devono apprendere le basi. Quando si apprende una lingua si studia su una grammatica che molto difficilmente sarà la stessa su cui ha studiato il proprio interlocutore, ma si riesce a parlare bene ugualmente… l’importante è saper comunicare. Analogamente avviene per lo studio del combattimento: a prescindere dalla disciplina che si impiega… l’importante è saper combattere! Di fatto, non esiste una disciplina migliore di un’altra, esisterà semmai una disciplina maggiormente idonea al combattimento reale, svincolato da qualsiasi regola formale, ma sarà poi sempre e solamente l’individuo che la impiega a renderla effettivamente letale.
Nel prosieguo, non saranno volutamente usati termini tecnici per due motivi ben precisi: per non appesantire la lettura e per non dare l’impressione di voler inquadrare il discorso attraverso una unica e specifica disciplina. Peraltro le moderne forme di combattimento militare si presentano generalmente come un vero e proprio miscuglio di tecniche quasi sempre provenienti da differenti discipline, se non addirittura provenienti da differenti stili nell’ambito di una stessa disciplina. Per tale motivo tali forme di combattimento vengono chiamate “Sistemi di combattimento”. Per inciso e quale esempio, basti pensare all’antico “Pancrazio” greco, che era un misto di pugilato e lotta, od al “Bugei” giapponese (versione guerriera del “Budo”), che era un misto di karate, ju-jitsu e maneggio di diverse armi bianche.
Coloro che provengono dal mondo delle arti marziali estremo-orientali non potranno non accorgersi dell’approccio sistemico di natura “karateistica”… ma il fatto di per se stesso, nel contesto più generale, risulterà poi abbastanza irrilevante (del resto da qualche parte bisognava pur iniziare!).
A premessa di qualsiasi ulteriore disquisizione, occorre fare tre precisazioni che andranno a stigmatizzare quello che sarà l’approccio mentale al combattimento:
- esistono delle droghe sotto l’effetto delle quali chi le ha assunte sviluppa immediatamente un certo livello di ferocia ed è in grado di non avvertire alcun tipo di dolore, il che significa che per fermare un eventuale attacco da parte di questi individui sono richieste tecniche che li possano subito abbattere “biomeccanicamente”, non usando quindi quelle tecniche che producono unicamente dolore;
- esistono energumeni violenti e senza scrupoli, con il buio ancestrale negli occhi, dotati di una forza rozza e preistorica, dei veri Gargoyle semoventi, in grado di colpire con calci e pugni duri come il cemento… che possono essere contrastati e abbattuti solo possedendo un adeguato condizionamento del fisico e possedendo la piena padronanza di una adeguata tecnica di combattimento portata all’estremo della potenza;
- la società attuale è molto restìa a riconoscere il livello di violenza e di malvagità che è facilmente riscontrabile nei continui fatti di cronaca quotidiana. Tale atteggiamento promosso naturalmente anche da molti qualificati opinionisti, che parlano ancora con le briciole dei biscotti sulla giacca, porta ad un generale e pericoloso ”abbassamento di percezione della minaccia”.
Andando ora nello specifico, l’obiettivo finale è quello di stabilire quali requisiti e quali prerogative debba possedere un “Sistema di combattimento” che si voglia definire “militare”.
In linea di massima, dopo un severo addestramento formativo, i soldati operativi, per una serie di varie circostanze, non potranno più avere a disposizione tutto quel tempo necessario per mantenere un regolare programma di allenamento. Deve tuttavia permanere la loro capacità potenziale di poter esprimere, sempre e comunque, una determinata letalità. Per tale motivo un “Sistema di combattimento” deve necessariamente selezionare e stabilire quali tecniche possano essere impiegate in diversi contesti tattici, quali possano mantenere la loro letalità a fronte della scarsa possibilità di allenamento e rispondano maggiormente a criteri di applicabilità ed efficacia in contesti diversificati con diversi indumenti, con diverso equipaggiamento e con diverso armamento al seguito. Nell’ambito della selezione delle tecniche, devono sicuramente trovare collocazione delle “tecniche di attacco all’arma bianca” e “tecniche di difesa e disarmo” che siano tecnicamente efficaci e realmente attuabili in differenti contesti operativi (evitando quelle tecniche difensive particolarmente complesse, azzardate e pericolose che si vedono insegnare in talune palestre).
Come per qualsiasi disciplina in cui ci si voglia cimentare, è necessario possedere e coltivare tutte quelle facoltà e qualità individuali che consentono di conseguire risultati significativi, ovvero: disciplina, determinazione, volontà, energia, impegno, dedizione, costanza, perseveranza, spirito di sacrificio e coraggio.
Evidenziato così il giusto approccio individuale, il “Sistema di combattimento” deve plasmare il futuro combattente, deve sostanzialmente “forgiare la futura lama”.
Nel merito, si devono praticare due differenti metodi di “condizionamento fisico”:
- condizionamento generico: si tratta di un allenamento fisico finalizzato a sollecitare ed irrobustire in modo corretto tutti i muscoli, le ossa, i nervi ed i tendini al fine di poter affrontare e sostenere quegli esercizi e quelle attività motorie e neuromuscolari che verranno richieste dall’addestramento alle tecniche di combattimento. Si aumentano la forza, la potenza e l’agilità;
- condizionamento specifico: si tratta di un allenamento fisico finalizzato ad abituare gli arti, le giunture, i nervi, i tendini ed i muscoli ad effettuare quegli specifici movimenti e quei particolari sforzi che saranno richiesti per l’acquisizione e la corretta esecuzione delle varie tecniche di combattimento, tecniche di caduta comprese. In tale fase si curano inoltre l’agilità di movimento, la resistenza alle leve articolari, la velocità di schivata, la velocità e la potenza esplosiva dei singoli colpi ed inoltre può essere previsto anche il condizionamento degli arti al duro impatto su materiali di varia natura e consistenza.
Si passa quindi allo studio delle tecniche del “Sistema di combattimento”, alla loro acquisizione e, soprattutto, alla loro padronanza in diverse situazioni e con differenti concatenazioni sequenziali. In tale fase vengono particolarmente curati i seguenti aspetti: concentrazione, movimento e cambi di direzione, equilibrio, stabilità, respirazione, contrazione muscolare, capacità di reazione immediata, resistenza nel tempo, percezione dello spazio e della distanza, accuratezza e precisione dei colpi (o delle mosse), tempismo, riflessi e ritmo di combattimento. Di fatto, durante l’applicazione delle tecniche ad alta velocità, si attiva una forma di “Condizionamento fisico-mentale” che, proprio attraverso un elevatissimo numero di veloci ripetizioni delle tecniche, consentirà azioni e reazioni velocissime ed “automatiche”. Per inciso, tale condizionamento mentale, non deve essere confuso con l’”Indottrinamento mentale” che presenta aspetti di disciplina, di consapevolezza interiore e di formazione quasi ascetica tipici di un certo numero di scuole di combattimento estremo-orientali.
L’addestramento passa quindi ad una fase avanzata in cui, attraverso diverse tipologie di combattimento, si sviluppano e si combinano le tecniche disarmate con quelle armate e si testano diverse situazioni di combattimento per avere confidenza in differenti contesti operativi: con diversi assetti di equipaggiamento, con terreno sconnesso, con scarsa visibilità, in ambienti ristretti.
In tale contesto, andando ad analizzare un certo numero di “Sistemi” attualmente in uso presso diverse Forze Armate, si può ragionevolmente ritenere che un ciclo completo per ottenere un soldato che possegga la cosiddetta “prontezza operativa al combattimento corpo a corpo”, ovvero che abbia conseguito una certa forma fisica orientata al combattimento e sia in grado di padroneggiare bene almeno una trentina di tecniche, si aggiri su una durata media di un anno. Un anno strutturato in modo tale da poter garantire due sessioni di addestramento alla settimana, ciascuna delle quali della durata auspicabile di circa due ore (prevedendo mezz’ora dedicata al combattimento).
Come detto, un certo numero di “Sistemi di Combattimento” presentano al proprio interno una selezione di tecniche provenienti da diverse discipline. Ogni istruttore responsabile di un determinato “Sistema” tenderà giustamente, in ragione delle proprie esperienze personali e professionali, ad attuare quella scelta di tecniche che ritiene possano essere le migliori o perlomeno le più idonee “all’assolvimento della missione assegnata”. Del resto, proprio così nacquero in passato i differenti “stili” di combattimento.
A chiusura, una piccola nota goliardica: il famosissimo 22° reggimento S.A.S. inglese ha ironicamente e simpaticamente chiamato il proprio Sistema… “I cinque schiaffi giapponesi”
Marco Bandioli (Karate Renshi)
(foto: web / U.S. DoD)