Principalmente riguarderanno il ponte di volo, il quale dovrà essere allungato per consentire il decollo degli aeromobili, ed il rivestimento che sarà implementato con un materiale resistente al calore emesso dall’apparato propulsivo F136.
Questo, di fatto, conclude la diatriba sull’acquisto del caccia di fabbricazione statunitense, dove compartecipano, al secondo livello produttivo, le industrie italiane con investimenti pari ad oltre 2 miliardi di dollari.
L’F-35, dai primi test, sembra sia vulnerabile ai fulmini e questo lo degraderebbe operativamente, relegandolo non più a caccia ognitempo. Di seguito il Pentagono ha denunciato una gravissima malfunzione al display del casco, il quale non indicherebbe l’esatto orizzonte artificiale ed in alcuni casi l’immagine addirittura sarebbe scomparsa. Ma dispone di un sistema di navigazione unico nel genere: È chiamato “sensor fusion”, una serie di telecamere, poste in vari punti della fusoliera del velivolo, interagiscono con altri come l’IRST o gli ESM, e trasmettono al pilota una totale consapevolezza dell’ambiente esterno.
Resta valido, dunque un compromesso sul numero degli F-35 da acquistare, naturalmente con la consapevolezza che devono essere resi operativi, limitandoli pertanto al quantitativo necessario per sostituire gli Harrier, nella speranza che siano sufficienti a soddisfare gli impegni italiani in campo internazionale, aumentando la proiezione di forza e garantendo la copertura dei militari comandati nelle operazioni a terra.
In conclusione, in un quadro di alleanze strategiche e dinamiche economiche a livello globale, l’F-35, benché pieno di difetti, sembra essere l’unica soluzione per recuperare il terreno perso dall’Aviazione di Marina negli impegni presenti e futuri della compagine militare italiana a garanzia e sostegno della democrazia e libertà nel mondo.
Giovanni Caprara
(foto: Lockheed Martin)