Diritti digitali, sicurezza e impatti sociali

(di Carlo Mauceli)
15/05/19

La scienza e la tecnologia sono ingredienti essenziali della vita quotidiana.

L’evoluzione della specie umana può essere vista anche in termini di evoluzione tecnologica e non solo secondo la legge di Darwin.

Come il motore a vapore che ha dato inizio alla prima rivoluzione industriale, anche le nuove tecnologie come l’intelligenza artificiale stanno cambiano la società, il modo in cui viviamo e lavoriamo. E come le ferrovie alimentate a vapore, così anche queste nuove “invenzioni” hanno bisogno di essere gestite e, infine, regolamentate dalla società.

Per farlo ci vuole una società forte, una società che metta al centro il cittadino, una società che si occupi di proteggere i diritti umani, andando oltre i proclami e concentrandosi sui fatti, sulla concretezza.

Ogni nuova tecnologia dal vasto impatto sociale, infatti, richiederà nuove leggi. La tecnologia, d’altra parte, è uno strumento che ha un impatto profondo sulle persone in modo sia positivo che negativo. Più lo strumento è potente, più è grande il beneficio o il danno che può recare.

Per far sì che le persone credano e abbiano fiducia nella tecnologia, dobbiamo pensare oltre la tecnologia stessa e affrontare la necessità di principi etici più forti, l’evoluzione delle leggi, l’importanza di formare le persone con nuove competenze e perfino le riforme del mercato del lavoro. Se vogliamo trarre il massimo da ciò che tecnologie così potenti offrono, tutte queste cose devono essere messe a sistema.

Quando una rivoluzione arriva, ha conseguenze dirette e indirette sull’economia e si hanno due strade per affrontarla: combatterla o gestirla.

Quello a cui si sta assistendo, troppo spesso, quando non si conoscono le opportunità insite nel cambiamento, è la volontà di combattere tutto ciò che è nuovo nascondendosi dietro falsi miti ed ideologie. Tra questi i più frequenti nelle conversazioni di questi ultimi mesi sono:

  • la sovranità dei dati in un contesto europeo (dove invece i dati dovrebbero circolare liberamente);
  • un nazionalismo sempre più spinto;
  • la garanzia della localizzazione dei dati stessi anche se, poi, assistiamo ad una escalation dei cyber attacchi che colpiscono proprio coloro che i dati li tengono in casa propria, senza esser in grado di gestirli correttamente.

Nelle mani sbagliate ogni strumento può diventare un’arma.

A Ginevra, nel lontano 1949, è stata firmata la convenzione sulla protezione delle persone civili in tempo di guerra. Ora, sembra che non si sia capito che siamo nel bel mezzo di un nuovo conflitto, quello cibernetico; un conflitto che ha ribaltato le parti in gioco e in cui, attraverso gli hacker, vi sono Stati che attaccano i civili anche in tempo di pace.

Per questo è importante l’appello per la pace digitale firmato a Parigi, che ha come obiettivo la fiducia e la stabilità nello spazio cibernetico e che insiste proprio sulla protezione dei diritti nell’ambito digitale.

L’esperienza insegna che gli hacker mettono sotto attacco le democrazie nel momento in cui queste sono più deboli, interferendo, ad esempio, nelle elezioni politiche di una nazione o manipolandone i voti. Di fronte a questa minaccia serve un’azione collettiva che provenga sia dalle aziende che dai governi.

Occorre formare esperti di cybersecurity di cui c’è carenza, occorre avere persone competenti nei ruoli chiave, occorre investire in sicurezza e non minimizzare l’accaduto ogni qualvolta si verifica un attacco. L’Italia, al momento, purtroppo, è uno dei Paesi europei con il più alto divario tra le competenze richieste dal mercato del lavoro e quelle realmente disponibili; è uno dei Paesi dove sembra che il tema “cybersecurity” non venga affrontato in maniera seria da nessuno.

Il 12 Maggio 2019, il Garante per la privacy, Antonello Soro, nel suo discorso di presentazione della Relazione al Parlamento, affermava: “Nel 2018 i cyber attacchi in ambito sanitario sono aumentati del 99%. La carente sicurezza dei dati e dei sistemi che li ospitano può rappresentare, in altri termini, una causa di malasanità. La violazione delle regole essenziali di protezione dei dati può avere effetti deleteri nei processi medici, tanto più gravi ove quei processi incidano su aspetti qualificanti l’esistenza individuale: la nascita, la morte, la genitorialità. Specularmente, la protezione dei dati è un fattore determinante di efficienza sanitaria, funzionale anche alla correttezza del processo analitico fondato su big data. Dall’esattezza dei dati utilizzati nel processo algoritmico dipende, infatti, l’“intelligenza” delle loro scelte, che tanto più in ambito diagnostico non possono tollerare errori”.

Tutto vero. Lo sappiamo bene e, su queste pagine, tante volte abbiamo alzato il grido di allarme e di dolore, molto spesso venendo anche additati come “eretici”.

Pertanto, di fronte a quanto accaduto nei giorni scorsi, ossia la rivendicazione da parte del collettivo hacker LulzSecIta, dell’attacco al sito del Garante della Privacy, rimaniamo perplessi.

Certamente si è trattato di un’azione dimostrativa ma con un obiettivo di tutto rilievo: il Garante della Privacy.

Poche ore prima, lo stesso garante era intervenuto sul caso dell’hackeraggio delle email di migliaia di avvocati romani ad opera di Anonymous puntando il dito sulle misure di sicurezza definendole “inadeguate”.

È altresì vero che, tornando all’attacco di LulzSecIta, dai primi accertamenti, ad essere stato violato non sarebbe tecnicamente il sito, bensì un’applicazione esterna, ovvero il vecchio registro dei trattamenti, quello dove chi iniziava un trattamento di dati, fino all’entrata in vigore del nuovo regolamento, nel maggio 2018, era tenuto a notificarlo. Dati, quindi, già di dominio pubblico. Ma non è questo il fatto. A mio parere, la cosa importante è che ancora una volta non ci si protegge nel modo corretto, non si fa prevenzione, non si ragiona in linea con gli scenari clamorosamente cambiati.

Ho grande stima di Antonello Soro e penso che questo episodio possa essere la scintilla perché in futuro l’autorità garante faccia tutto ciò che è necessario per imporre che le aziende, pubbliche e private, alzino i propri livelli di sicurezza.

Foto: U.S. Air Force / Quirinale