L’applicazione del Diritto Internazionale Umanitario alle condotte di guerra cyber: ancora difformità interpretative

12/11/24

A proposito di nuove tecnologie e Diritto Umanitario Internazionale sono quattro le questioni che continuano a preoccupare la comunità internazionale: operazioni cibernetiche, sistemi d’arma autonomi, applicazione dell’intelligenza artificiale nei contesti di guerra e nei relativi processi decisionali, ed infine operazioni militari nello spazio. È quanto emerge dalla pubblicazione della nuova edizione, la sesta in ordine di tempo, del report che il Comitato Internazionale della Croce Rossa ha rilasciato a proposito degli attuali conflitti armati e delle sfide che essi portano al Diritto Umanitario Internazionale1.

In particolare, il capitolo V del documento rilasciato lo scorso settembre è dedicato all’applicazione delle nuove tecnologie negli odierni teatri di guerra.

La considerazione del largo impatto che le tecnologie digitali hanno oramai nella quotidianità di tutti, e di come non sia più possibile escluderne l’uso per applicazioni militari, genera tutta una serie di preoccupazioni risalenti alla possibile inefficacia dell’attuale assetto normativo nel prevenire e reprimere condotte di guerra illegali.

Vediamo ad esempio il caso delle operazioni cibernetiche in guerra ed alla questione della applicabilità del Diritto Internazionale Umanitario alla dimensione digitale. Ben sappiamo, infatti, che tale diritto fissa limiti chiari in termini di proporzionalità e necessità nonché divieti, specie con riferimento agli attacchi a obiettivi cosiddetti civili.

Ma si applicano questi limiti quando l’attacco è di natura non convenzionale e non è finalizzato ad avere effetti cinetici su un obiettivo civile? Ad esempio, un attacco cyber finalizzato a interrompere la continuità operativa del sistema informativo di un ospedale cittadino di per sé non ha effetti cinetici di danno fisico sulla popolazione civile, ma lo stesso si traduce in sofferenza e morte per i civili. Si applica il diritto umanitario internazionale a questo caso? E l’attaccante, cioè il tecnico informatico che non spara proiettili ma invia pacchetti di dati da una sala da caffè cittadina, è un belligerante? A lui si applica la Convenzione di Ginevra?
E poi, cosa si intende per attacco nella dimensione digitale? Un attacco cibernetico è equiparabile ad un attacco armato convenzionale?

Le interpretazioni a livello internazionale di queste questioni giuridiche non sono tutte concordi nel senso. L’Italia ha espresso posizioni molto chiare e garantiste, in linea con il suo ruolo da protagonista a livello internazionale nella protezione dei più vulnerabili.

Netta, ad esempio, è la posizione del nostro Paese sulla relazione tra attacchi cibernetici e uso della forza, sottolineando la necessità di “replicare nella dimensione digitale il sistema di tutele e le limitazioni che sono state individuate nel corso degli anni con riferimento alle dinamiche belliche ‘analogiche’”Secondo l’Italia, infatti, i principi generali del diritto umanitario vanno applicati - senza sé e senza ma - anche allo spazio cibernetico al fine di limitare la condotta dei belligeranti a tutela di obiettivi civili. Ed è convinzione del nostro Paese che, per attacco cibernetico, bisogna intendere “qualsiasi condotta la cui dimensione ed i cui effetti possono essere equiparati ad attacchi armati convenzionali che provocano il ferimento e/o la morte di esseri umani, danni fisici rilevanti alle proprietà, o interruzioni nel funzionamento di infrastrutture critiche”3.

Si supera, in sostanza, con la posizione italiana, l’accezione che guarda agli effetti cinetici, di danno materiale della condotta, per ricomprendere invece anche gli effetti immateriali sulla popolazione civile e sui non belligeranti.

In conclusione, il Diritto Umanitario Internazionale è uno strumento in mano della politica: il suo continuo perfezionamento per assicurarne l’aderenza ai nuovi scenari di guerra ed all’uso di nuove tecnologie, nonché la sua efficace applicazione dipendono sempre da quanto la politica degli Stati se ne vuole avvalere. E questo, se vale in modo significativo per gli aspetti legati all’uso della forza in ambiente digitale, assume un significato ancora più importante nel settore aerospaziale dove i Paesi detentori di tecnologie innovative sono una nicchia minoritaria. Si considerino a tal riguardo i pochi Paesi che hanno tecnologia adeguata ad avere accesso allo Spazio: dipenderà proprio da loro la efficace applicazion delle Convenzioni dell’Aja e di Ginevra ai conflitti che hanno effetti sull’ambiente spaziale.

Per altro verso non bisogna neanche però demonizzare l’applicazione delle nuove tecnologie ai conflitti armati perché il loro utilizzo – comparato all’utilizzo delle armi di vecchia generazione e/o ai sistemi d’arma “analogici” – mitiga di molto il rischio dei cosiddetti “danni collaterali” ed assicura un miglior tracciamento dei fatti e la investigazione delle responsabilità umane legate alle violazioni del Diritto Umanitario Internazionale.

Orazio Danilo Russo (Senior Security Manager)

1https://www.icrc.org/sites/default/files/media_file/2024-10/4810_002_CH%...

2https://www.esteri.it/mae/resource/doc/2021/11/italian_position_paper_on...

3https://cri.it/wp-content/uploads/2024/02/Rapporto-volontario-nazionale-...