C'erano (una volta) gli "embedded"

(di Frank Montana)
21/02/17

Secondo Aldous Huxley ci sono tre tipi di intelligenza: l'intelligenza umana, l'intelligenza animale e l'intelligenza militare. Ma da qualche anno ne esiste una quarta: l'intelligenza embedded.

Gli embedded sono dei giornalisti specializzati in materie particolari, che seguono i militari nelle loro missioni nei teatri operativi e nelle esercitazioni. Sono al loro seguito. Viaggiano, vivono e mangiano con loro. Non sono dei parassiti, ma osservatori con capacità analitiche e giornalistiche ad alta specializzazione.

Gli embedded non percepiscono un soldo dalle forze armate. La loro funzione è quella di scrivere, produrre video, reportage e convegni sul complesso mondo delle attività militari. Così facendo l'opinione pubblica potrà capire come vengono spesi i soldi destinati alla Difesa, potrà sapere come i nostri militari siano molto considerati dalle altre nazioni per preparazione e capacità. I concittadini potranno avere più informazioni certe e dettagliate, perché avranno la possibilità di basarsi su più fonti.

Tutto questo avviene solo facendo volare un giornalista a bordo di un aereo da trasporto militare, seduto con le spalle alla fusoliera e di fronte ad un bancale di materiale destinato al teatro operativo. Una volta giunto a destinazione dormirà su di un lettino da campo e mangerà alla mensa con tutti gli altri.

Gli embedded ricoprono una funzione fondamentale nella comunicazione e nell'informazione, prova ne sia che tutte le FFAA dei paesi più avanzati, Stati Uniti in primis, li trattano molto bene e li tengono in grande considerazione.

Chi sono dunque gli "embedded"?

L'embedded generalmente è un giornalista, ma potrebbe essere anche un regista documentarista. Sono professionisti dell'informazione che si sono specializzati in uno o due temi, i quali possono spaziare dalle questioni militari alla geopolitica, dalla sociologia alla medicina. Gli embedded sono preparati alla vita militare nelle aree di crisi frequentando appositi corsi generalmente organizzati proprio dalle FFAA di concerto con altri enti e associazioni, come ad esempio la FNSI (Federazione Nazionale Stampa Italiana).

Nella sostanza, ogni anno un manipolo di giornalisti, uomini e donne, si cimentata in un arco di tempo di due settimane in lezioni teoriche e pratiche sulle attività militari e sulle aree di crisi. Alla fine ricevono la "abilitazione" embedded (cioè accreditarsi presso le FFAA per poter seguire le missioni in aree di pace o di crisi).

Ma perché questo strano corso e soprattutto perché solo recentemente?

I tempi cambiano! Se una volta i giornalisti potevano arrivare al fronte con facilità, in quanto bastava rimanere dalla "parte giusta" e avvicinarsi con cautela quanto più possibile alla linea del fronte, ora, con la guerra asimmetrica, non è più possibile. Sono finiti i tempi dei Parise, dei Malaparte, degli Hemingway, delle Fallaci, dei Montanelli. Ormai le aree di crisi si trovano a macchia di leopardo e le stesse formazioni che si fronteggiano si spostano con rapidità. Questo significa che lo scenario è estremamente mutevole e fluido. I conflitti sono polverizzati, i vecchi schemi che vedevano due avversari contrapposti sono solo un vago ricordo: ora i conflitti sono multietnici e su aree magari multiconfinanti.

Proprio a seguito di questo i corrispondenti di guerra, da un po' di tempo a questa parte, stanno pagando un prezzo spropositato in termini di vite umane e nel contempo la disinformazione e l'informazione di parte, spesso veicolata da centri di informazione direttamente gestiti dalla controparte, stanno rendendo la comprensione degli eventi alquanto difficile e lacunosa. Da sempre, poi, i giornalisti seguono le Forze Armate (anche se in maniera autonoma) per vedere da vicino quello che vanno a fare. Ma è altrettanto vero che i giornalisti sono sempre stati dei rompiscatole indesiderati e soprattutto degli indisciplinati. Ecco cosa disse Sir Garnet Wolseley: "Questi figurini inventati ora in appendice agli eserciti, che mangiano a sbafo le razioni dei soldati e nemmeno sanno che cosa sia il lavoro". Vita difficile, dunque, fare il giornalista: era il 1869!

Proprio per questo esistono i corsi. Idea davvero ottima e soprattutto concreta.

La visione civile in merito agli embedded

Molti sono propensi a pensare che gli embedded possano avere una visione distorta della realtà e dei fatti, in quanto fortemente condizionati dalla presenza dei militari. Forse è una idea preconcetta, sicuramente non del tutto chiara. Se fare buona informazione nel campo civile è un'impresa durissima, nel campo militare diventa un'impresa pazzesca. Napoleone aveva appreso come gli eserciti avessero bisogno di avere contatti con la stampa e l'opinione pubblica: "L'opinione pubblica è una potenza invisibile, misteriosa, alla quale nulla resiste. Nulla è più mobile, più vago e più forte; e benché sia capricciosa, resta tuttavia vera, ragionevole, giusta, molto più spesso di quanto si pensi". Pragmaticamente la filosofia alla formazione degli embedded mira alla necessità per la cittadinanza italiana di sapere quello che i suoi militari fanno. E chi meglio dei giornalisti sono in grado di trasferire al grande pubblico tutte le nozioni, il modo di lavorare, tutti i successi e anche il grado di difficoltà che i militari hanno durante lo svolgimento del loro lavoro se non frequentando i vari teatri delle operazioni? Inoltre, il giornalista può imparare meglio come funziona il mondo militare ed essere così in grado di spiegarlo meglio al lettore. Il corso serve ad addestrare per vedere quello che potrebbe succedere e a far percepire il rischio che si corre nei teatri delle operazioni.

La logica militare

Le FFAA hanno bisogno di avere contatti con la stampa per farsi conoscere e informare i cittadini. Però le FFAA hanno bisogno che la stampa si rivolga a chi di dovere seguendo le linee giuste. Una informazione politica, ad esempio, il giornalista non deve chiederla alle FFAA, ma al Ministero. Le FFAA possono rispondere per tutto quello che riguarda la parte operativa. Molti giornalisti civili questo faticano a capirlo. Andare in missione non è come andare a fare un servizio giornalistico a piazza Navona in centro a Roma. Se il giornalista sta seguendo una pattuglia e inizia uno scontro a fuoco, deve sapere come proteggersi, cosa fare, come disimpegnarsi e soprattutto non essere d'intralcio ai militari che devono prontamente reagire o ripiegare. Se il giornalista è formato come embedded queste cose le sa fare molto bene. Un corso formativo è molto intenso e faticoso, soprattutto nelle sue applicazioni pratiche con le varie Forze Armate (Marina, Esercito, Aeronautica e Carabinieri) ma la cosa più importante rimangono i concetti precedentemente espressi.

I giornalisti hanno sempre in mente la famosa frase di Winston Churchill: "In tempo di guerra la verità è così preziosa che bisogna proteggerla con una cortina di bugie." Proprio per questo il corso per formare l'embedded è improntato alla massima trasparenza. L'intento è quello di rovesciare questa idea fortemente radicata che gli operatori dell'informazione civile hanno della trasparenza militare, in maniera tale che poi possano svolgere il loro lavoro con il giusto equilibrio e serenità.

Operazioni ipertecnologiche e giornalisti poveri in canna

Il mondo è cambiato, ma soprattutto le operazioni in cui vengono coinvolte le nostre FFAA sono sempre più ipertecnologiche e questo inesorabilmente taglia fuori il giornalista comune dal teatro delle operazioni. Si rischia di rimanere ai margini e di non avere davvero la possibilità di osservare le cose e soprattutto, il fine, descrivere la realtà.

Vi siete mai chiesti quanto costi a una testata mandare un giornalista a seguire certi drammatici eventi? Tantissimo. Se poi è un freelance non andrà mai fuori dalle spese, visti e considerati i costi. Il giornalista ha bisogno di una montagna di quattrini: deve pagarsi l'assicurazione sulla vita, l'automobile, l'interprete, il producer, il fixer, la guardia del corpo e l'alloggio per tutti. Se invece vuole andare in giro da solo, comunque affronta costi stratosferici: un taxi o l'auto a noleggio costano una follia nei teatri operativi. Tutto questo chiude inesorabilmente la porta ai piccoli e ai freelance, ma non alle grandi testate. Così, addio pluralismo.

Meno male che esistono gli embedded, che agganciati alle FFAA possono abbattere i costi e dare un importantissimo contributo al pluralismo dell'informazione. Una piccola agenzia di stampa - che non significa sia meno seria e meno attendibile di una grande - può competere alla pari con un colosso come la Reuters. Questa è democrazia, fino a prova contraria.

Oggi le notizie, per molti purtroppo, sono solo merce e troppi direttori di grosse testate sono attirati dalle logiche del libero mercato e dei bilanci: le notizie seguono le mode. I piccoli invece sono quelli che garantiscono una informazione più lineare e specialistica. Un eccellente articolo scritto sul quadro sociale dell'Afghanistan e immesso in rete è di fatto una effemeride (attestazione del giorno, ovvero storia) eterna: in quanto è possibile, grazie al web, ripescarlo anche a distanza di anni dall'avvenimento e leggerlo tranquillamente. Tutto questo a beneficio degli studiosi e dei lettori. Ecco perché è fondamentale che l'approccio militare alla stampa sia orientato al coinvolgimento degli embedded.

L'esperienza di Bismarck

Forse non tutti sanno che il Cancelliere di ferro Bismarck leggeva gli errori degli altri per pianificare il futuro della Prussia: "Le biblioteche sono piene di libri scritti da persone che hanno fatto le loro esperienze prima di me. Perché devo rischiare e perdere tempo a fare le esperienze quando basta solo leggere un libro?"

I militari, dunque, usano gli scritti degli embedded, anche con le varie critiche, per migliorarsi o per capire quello che occhi diversi da loro hanno rilevato sul campo. È un valore aggiunto importantissimo e prezioso anche per le strutture J2. Gli embedded sono dei lavoratori altamente specializzati che si trasferiscono in altra località per svolgere al meglio la loro professione. Usufruiscono dei mezzi e del personale a disposizione che con serietà e competenza garantisce loro la mobilità, ove possibile. E qui si deve aprire una parentesi: è pensiero comune tra i giornalisti civili che i militari portino gli embedded dove vogliono loro. È vero, ma solo perché in altri posti la situazione è talmente instabile e pericolosa che anche loro, che sono armati e preparati a questo tipo di minacce, si rendono conto che si rischia di non ritornare più a casa. Da sempre i vertici militari vogliono vincere le guerre e riportare a casa vivi tutti i loro soldati. Perché tutto questo non è logico e giusto? Perché tanti si ostinano a guardare con sospetto queste persone?

Quanto vale e rende un embedded?

Quanto può valere in termini di ritorno un embedded che alla fine di una missione di una decina di giorni scrive una serie di articoli e magari fornisce indirettamente anche preziose indicazione al J2 con innovative chiavi di lettura? Non si può ovviamente quantificare nell'immediato, ma ragionando su vasta scala, dunque sugli interessi nazionali, è sicuramente una voce importante. Naturalmente ci sono reporter più o meno bravi. Ci sono quelli più predisposti, veri talenti naturali, e altri che sono comunque bravi anche se non altrettanto portati. Di sicuro, per entrambe le categorie, si parla di professionisti dell'informazione che quando vanno in missione sanno perfettamente che non vanno a fare una scampagnata ma a rischiare la vita come i militari che sono assieme a loro.

Le FFAA censurano gli embedded?

Parlo per esperienza personale e sulla base delle esperienze fatte da amici e colleghi embedded: no! Non censurano nulla, perché, lo ripeto, non rientra nei loro interessi. Inoltre, i ruoli sono ben chiari e definiti così non ci sono dubbi e fraintendimenti.

Peccato che negli ultimi anni la possibilità di seguire le forze armate italiane da embedded sia stata, se non azzerata, "di molto ridotta". Come costume dei militari, non vogliamo qui sindacare precise scelte politiche...

(foto: Difesa Online / web)