Il coltello e la lotta degli Incursori del COMSUBIN

(di Francesco Bergamo)
12/04/16

(Per ragioni di segretezza si riportano solo le iniziali dei nomi)

Difesa Online prosegue il suo viaggio alla scoperta delle abilità nel combattimento corpo a corpo e all'arma bianca delle FFAA italiane. Il Comsubin della Marina Militare italiana viene considerato il miglior corpo speciale al mondo in ambito marinaresco e il secondo in assoluto dietro ai SAS inglesi (ma c'è chi dice che non sia secondo a nessuno...). A Varignano, località Le Grazie (SP), c'è il Comando Raggruppamento Subacquei ed Incursori Teseo Tesei: la casa degli incursori! La base è arroccata su un promontorio.

Il comandante R. con calma e gentilezza mi spiega la storia degli incursori del GOI (Gruppo Operativo Incursori) e di come l'impegno dei suoi uomini sia orientato anche alla creazione di soluzioni operative e al miglioramento delle armi in dotazione perché "noi siamo gli eredi di quelli che hanno affondato circa 250.000 tonnellate di naviglio inglese durante la II Guerra Mondiale" e inoltre "continuiamo a nuotare e siamo un complesso integrato con la nostra Forza Armata, altrimenti da soli non si farebbe molta strada".

Gli incursori, dunque, hanno scritto pagine importati durante la II Guerra Mondiale con le loro azioni, ma soprattutto sono stati i pionieri di un certo tipo di combattimento che fino ad allora non esisteva: gli assalti dal mare di soli uomini alle navi e porti nemici. Teseo Tesei, Elios Toschi, Gino Birindelli, Emilio Bianchi e Luigi Durand de La Penne, solo per citare quelli più famosi, oltre ad essere stati dei militari, erano anche straordinari inventori: il Siluro a Lenta Corsa è forse la creazione più famosa, ma non si possono dimenticare le altre invenzioni e i miglioramenti. Tanto per fare qualche esempio: le pinne, la maschera da sub modello Pinocchio e l'autorespiratore a lunga durata.

Comandante, perché i metodi degli incursori della Marina Militare italiana vengono copiati da tutto il mondo?

La creazione degli strumenti tecnologici “moderni” durante la II Guerra Mondiale, ovvero il SLC (Siluro a Lenta Corsa), comunemente conosciuto come “Maiale”, e gli autorespiratori di lunga autonomia, hanno permesso agli incursori di essere conosciuti in tutto il mondo come i creatori di una tecnica nuova del combattimento sott'acqua e portato in maniera occulta contro il naviglio nemico. Questo ha fatto sì che gli altri si dotassero di reparti simili al nostro. Ancora oggi siamo all'avanguardia nella nostra specialità.

Come avviene la formazione di questi uomini?

Il corso ordinario dura un anno. L'operatore viene formato nelle sue competenze di base, poi viene aggregato al reparto ma non è ancora pronto. Solo dopo due anni è operativo e pronto per un incarico in autonomia, ad esempio come capo coppia per le missioni subacquee. Comunque, l'operatore è maturo solo quando il suo comandante dice che è pronto: perché l'individuo è centrale nelle operazioni speciali e deve per forza esserci una valutazione umana che vada al di là delle tabelle di allenamento.

Comandante, i lettori di Difesa Online vorrebbero sapere se i suoi uomini sono in grado di affrontare un combattimento corpo a corpo anche con l'arma bianca. Li potrebbe accontentare?

Certo! Il combattimento a mani nude e con coltello viene contemplato nella nostra preparazione. In origine gli operatori GOI si avvalevano del Judo, poi con il passare del tempo siamo arrivati ad avere una “arte marziale” tutta nostra.

E quale è la vostra filosofia in tal senso?

Usare pistola, coltello o altra arma per noi è la stessa cosa: è solo il prolungamento del nostro corpo. Ad esempio: i guerrieri Thay avevano solo scudo e lancia, ma combattevano tenendo il baricentro in quella che oggi si chiama guardia. Questo permetteva loro di essere efficaci pur avendo le mani occupate. Noi abbiamo di fatto codificato molte tecniche e fatte nostre. Questo ci permette di essere pronti anche nella difficile arte del combattimento con coltello. Questa soluzione tutta italiana ci permette di acquisire capacità di combattimento senza frazionare eccessivamente gli allenamenti.

Scusi, comandante, ma che cosa significa esattamente?

Vede, gli uomini del GOI si allenano e studiano continuamente per essere al massimo della loro forma fisica e per aggiornarsi sugli strumenti e le tecniche da adottare. Ci siamo accorti con l'esperienza che alcuni allenamenti potevano essere sovrapposti come il combattimento a mani nude e il combattimento con coltello. A quel punto è stato creato un unico metodo di allenamento che permette di farne due in uno.

Il comandante mi presenta due incursori operativi che si sono materializzati come per incanto, silenziosamente alle mie spalle: F. ed A. Sono ragazzi dall'aspetto atletico ma per nulla palestrati come gli hollywoodiani Navy Seals.

Dopo le presentazioni il comandante mi lascia nelle loro mani per la spiegazione tecnica della nuova arma bianca in dotazione e sul combattimento a livello operativo. Per questo ci spostiamo nella Palestra Bruno Vianini, ufficiale membro dei Comsubin morto in Afghanistan, passando per una serie di corridoi dove fanno bella mostra decorazioni e creazioni proprie del Comsubin fin dalla sua origine.

Arrivati in palestra, vedo allineati sul tatami una fila di curiosi coltelli da combattimento. Ma sono strani nelle forme. Molto strani.

F. è di fatto colui che ha ideato e creato, in collaborazione con Extrema Ratio, lo specifico coltello da combattimento in uso al GOI. L'italica voglia di migliorare sempre che fece grandi i precursori del GOI continua con le nuove generazioni. Il geniale incursore ha rivoluzionato il coltello da combattimento per permettere di essere aderente e fedele alla filosofia del combattimento a mani nude precedentemente spiegata dal comandante R.

F. come si chiama questo innovativo coltello?

S.E.R.E. 1, acronimo di Survival, Evasion, Resistance and Escape 1.

La forma è molto curiosa. Come ci è arrivato?

Lo studio è partito da una piattaforma Colt R15 e da lì abbiamo iniziato l'elaborazione e la creazione del coltello da combattimento che è unico nel suo genere perché sfrutta l'allineamento del braccio e la sua naturale linea di forza che passa tra l'indice e il medio.

Di fatto abbiamo creato il manico con la stessa ergonomia del calcio di una arma da fuoco.

In effetti il manico ha la stessa angolatura del calcio di una pistola, l'interno manico fuoriesce tra il dito indice e medio e poi diventa lama vera a propria. La forma della punta, il doppio filo tagliente, la scanalatura per tranciare e lo spessore della lama ne fanno una creazione dalla forte vocazione al combattimento.

Come vi allenate?

Abbiamo tre livelli di addestramento: iniziamo con il trainer 1 in alluminio di colore blu. È leggermente più leggero di quello reale, senza filo, gli spigoli smussati e con la punta leggermente arrotondata. Questo per evitare incidenti alla persona durante la prima fase di acquisizione alla padronanza dell'attrezzo.

Poi si passa al trainer 2 d'acciaio che ne riproduce esattamente il peso, con la punta aguzza ma non è tagliente. La lucentezza è voluta in quanto condiziona mentalmente l'allievo e lo porta più vicino alla realtà.

In terza battuta abbiamo il coltello vero e proprio [letale, quindi. nda]. Con questo c'è la rottura totale del condizionamento ad avere il coltello vero in mano. 

Perché la rottura?

Noi abbiamo l'esigenza di acquisire il movimento corporeo e adattarlo a tutti gli strumenti che abbiamo. Il neofita si blocca con un simile coltello in mano, ma noi non possiamo permettercelo. A questo livello le tecniche vengono eseguite dapprima lentamente e poi via via sempre più veloci [si parla di arma vera ed affilata, nda]

Ma l'istinto di sopravvivenza non vi blocca?

No, perché con l'allenamento continuo condizioniamo i movimenti fino a farli arrivare ad essere del tutto naturali. Dai nostri studi decennali sull'argomento abbiamo riscontrato che tutto rientra nel tempo e nella distanza, ragion per cui dobbiamo essere molto preparati perché sono due fattori chiave di un combattimento.

Lasciarsi prendere dall'istinto di sopravvivenza ci porterebbe a morte quasi certa, perché il corpo non reagirebbe nella maniera più appropriata e funzionale al combattimento. Pertanto attraverso questi specifici allenamenti arriviamo a quello che noi chiamiamo “istinto condizionato”.

A questo punto A. chiede di poter fare un esempio calzante.

La lucentezza di una lama ha un effetto inibitorio sia cognitivo sia emotivo che va a spingere il comportamento verso reazioni incontrollate. Pertanto, se mi abituo a lavorare solo con simulacri è come sparare sempre a salve. Questo innesca dei processi che adattano l'attenzione a quel contesto. Se poi invece mi trovo nel contesto della realtà, allora non mi ritrovo più. Ecco perché qui al GOI ci abituiamo a combattere con coltelli veri.

Vorrei anche aggiungere che noi rispondiamo al concetto di proporzionalità dell'offesa. Rispondiamo all'attacco subìto in maniera proporzionale. Non lo facciamo per un fatto legale, ma etico. Non andiamo ad applicare tecniche superiori a quanto realmente richiesto.

Questo tipo di coltello lo portate alla spalla?

(risponde F.) No. Lo portiamo con lama orizzontale all'altezza del plesso solare o al fianco con lama verticale oppure ai reni. Ci risulta più funzionale così in base al nostro vestiario e agli strumenti che abbiamo addosso.

Cerchiamo di essere più “sottili” per questioni di praticità e per una serie di motivi. Bisogna considerare che portiamo addosso dai 30 ai 50 kg di attrezzatura quando siamo operativi e dobbiamo cercare e vogliamo sempre essere reattivi. Il S.E.R.E. 1 ci permette di esserlo.

Dopo la spiegazione F. ed A. mi mostrano le tecniche che eseguono alla perfezione e fulmineamente. Durante l'esecuzione ho intravisto nei loro occhi un cambiamento repentino passando da sguardi sereni a sguardi ferini nel giro di pochi istanti. Li saluto e mi faccio accompagnare verso l'uscita della base ma prima ho la fortuna di visitare l'esclusivissimo museo del GOI dove vi sono i cimeli e i prototipi che hanno contribuito a rendere questo corpo il più imitato al mondo.

Passo da una vetrina all'altra osservando con attenzione tutto e, mettendo in correlazione quanto avevo visto in palestra, arrivo alla conclusione che l'Italia è fortunata ad avere uomini così.

(foto: S.M.)