Entrato nell’uso comune ormai da molto tempo, il termine redneck rimanda all’immagine stereotipata del cafone del Sud, dai modi rozzi e dal carattere orgoglioso, che ha il collo arrossato a causa dell’esposizione al sole dovuta alle mansioni di pascolo e sorveglianza delle mandrie di bestiame, o al lavoro nei campi.
Vengono così sintetizzate entrambe le declinazioni (il bifolco vaccaro e il campagnolo zappaterra), di questa figura sociale rappresentata innumerevoli volte, sia nelle produzioni cinematografiche che nelle serie realizzate per il piccolo schermo, con immancabile e più o meno benevola ironia.
Mediamente la gente del Sud è ben lungi dal vergognarsi o tantomeno dal rinnegare quei tratti ma anzi li rivendica in quanto elementi distintivi dello stile di vita dei “veri americani”. Il romantico attaccamento al mito della Frontiera, allo spirito d’avventura dei pionieri che l’hanno conquistata e alla genuinità della vita rurale, si accompagna alla più avanzata modernità rappresentata da gruppi economico-industriali operanti in tutti i settori, con in testa quelli a maggior contenuto di alta tecnologia.
Emblematica in tal senso è la città di Fort Worth, nei pressi di Dallas, che è da tempo uno dei principali centri mondiali di produzione per l’industria aeronautica-aerospaziale e il Dallas-Fort Worth International Airport è tra gli aeroporti più affollati al mondo. Allo stesso tempo qui gli abitanti vanno fieri dei trascorsi bovari grazie ai quali Fort Worth si era guadagnata il soprannome di “città della vacca” (cowtown), e ancora oggi sono in molti a sfoggiare quotidianamente l’abbigliamento da mandriano (cappello a larghe tese, stivaletti e giacca di pelle), portato anche da chi lavora in ufficio.
In quanto simbolo per antonomasia della definizione identitaria del popolo americano, l’epopea della conquista della Frontiera non poteva non essere coinvolta nella corsa alla militarizzazione dello spazio che, per le energie e le capacità umane richieste e le risorse finanziarie necessarie, aveva bisogno di un’idea-forza mobilitante che non fosse limitata alla sola rivalità politico-militare con l’Unione Sovietica.
Così, il richiamo del presidente Kennedy (nel discorso del 25 maggio 1961 con cui lanciò l’obiettivo di mettere un piede americano sulla Luna), all’animo pionieristico dei suoi concittadini, diverrà una costante per le successive amministrazioni che si impegneranno nel raccogliere il più ampio consenso, e i maggiori finanziamenti possibili, attorno ai vari programmi spaziali.
Secondo le parole di Ronald Reagan del gennaio 1984: Nulla è più importante della nostra prossima frontiera: lo spazio. Da nessuna altra parte possiamo dimostrare in maniera così efficace la nostra leadership in campo tecnologico e la nostra capacità di rendere migliore la vita sulla Terra (cfr. Lorenza Sebesta-Filippo Pigliacelli, “La Terra vista dall’alto. Breve storia della militarizzazione dello spazio”, Carocci editore, 2008).
Le missioni spaziali possono essere viste come la risultante della combinazione tra la forte suggestione che il librarsi in volo esercita da sempre sull’umanità, e necessità militari di altrettanto antica tradizione, infatti fin dai primi scontri fra uomini in armi, l’occupazione su un campo di battaglia di una posizione elevata (così come la costruzione di una città o di una fortificazione su di un’altura), viene identificata con l’acquisizione di una posizione di vantaggio.
Secondo questa logica, poter contare sull’attività di costellazioni satellitari con cui si è “occupato” lo spazio fino a decine di migliaia di km al di sopra della superficie terrestre, offre il massimo vantaggio immaginabile, permettendo non solo di potenziare le proprie capacità di osservazione, ascolto e comunicazione, ma anche di neutralizzare (o quantomeno bloccare temporaneamente o “sporcare”), quelle della parte avversa.
Con l’aggiunta al campo di battaglia di questa “quarta dimensione” (dopo terra, mare e cielo), la militarizzazione dello spazio segna un innalzamento di livello (non solo in termini di quota), del concetto di superiorità aerea, per il supporto che questa può fornire a tre componenti classiche dell’azione in un teatro operativo: vedere lontano (sia in chiave offensiva che difensiva), colpire il più lontano - e con la massima precisione - possibile, penetrare con efficacia nelle difese del nemico in combinazione con il massimo livello ottenibile di preventiva soppressione delle sue capacità di attacco o rappresaglia.
La più antica università texana è la Southwestern University istituita nel 1840 dalla Repubblica del Texas (che aderirà agli Stati Uniti nel 1845), e oggi il Lone Star State è fra le aree all’avanguardia a livello mondiale per la scienza e la tecnologia, grazie ad un percorso di sviluppo la cui origine viene convenzionalmente fatta risalire al 1930, anno di fondazione della Geophysical Service Incorporated.
Questa società di Dallas operante nel settore delle attrezzature per l’industria dei materiali e delle costruzioni antisismiche, e dell’elettronica per la Difesa, nel 1951 intraprenderà una riorganizzazione a seguito della quale cambierà denominazione in Texas Instruments (TI), e nei locali del TI’s Central Research Labs, Jack Kilby realizzò il primo circuito integrato nel 1958.
La TI è da decenni protagonista nell’informatica e nell’economia digitale (semiconduttori, microprocessori, intelligenza artificiale, ecc.), nonché nell’elettronica di consumo dove ad esempio ha lanciato le prime calcolatrici tascabili. Nel 1997, le sue attività nel ramo della Difesa relative ad apparecchiature radar e sistemi di lancio e puntamento per missili e ordigni a guida laser, sono state acquisite dalla Raytheon Corp., leader mondiale della missilistica e dell’elettronica militare.
Nelle ristrutturazioni e riorganizzazioni aziendali innescate dallo scoppio della “bolla dotcom” tra il 2000 e il 2001, e dall’onda d’urto della grande crisi finanziaria del 2008, il Texas ha continuato a scalare le posizioni della classifica federale nel settore informatico e delle telecomunicazioni, arrivando a superare lo Stato di New York e portandosi al secondo posto, alle spalle della California.
Ad Austin si trova un grande agglomerato industriale noto come “Silicon Hills”, composto da aziende specializzate nella produzione di hardware, software e semiconduttori. La manodopera impiegata è ad alta qualificazione e la percentuale di addetti che ha conseguito almeno una laurea (in prevalenza in ingegneria o altre discipline scientifiche), si attesta attorno al 25%.
Fra università ed altri enti pubblici e privati, il Texas ospita circa 400 centri di ricerca, molti dei quali di importanza internazionale, come il San Antonio’s Southwest Research Institute, operante nei campi dell’elettronica e computer, scienze ambientali e fisica nucleare. Nel nord dell’area metropolitana di Dallas si trova il Richardson Telecom Corridor, sede di circa 600 società di telecomunicazioni di cui quasi il 60% è concentrato in un’area di poco più di 5 km2 (2 miglia quadrate).
Il Johnson Space Center è uno dei più avanzati e prestigiosi poli mondiali per la ricerca e la formazione aerospaziale. Qui sono impiegati tecnici ed ingegneri provenienti da tutto il mondo e in collaborazione con l’altro grande centro NASA del Sud – Marshall Space Flight Center di Huntsville, in Alabama – l’istituto di Houston svolge un ruolo fondamentale per la progettazione e la costruzione delle varie componenti (moduli pressurizzati dove alloggia e lavora l’equipaggio, piattaforme indipendenti non pressurizzate e veicoli per le manovre orbitali), destinate alla Stazione Spaziale Internazionale.
Presente sul podio della classifica statunitense sia riguardo agli addetti del settore aerospaziale (3° posto dopo California e Stato di Washington), sia per valore della produzione industriale (2° dietro alla California), il Texas vanta solide credenziali in materia di MRO (maintenance, repairs and overhaul), che include oltre alle “classiche” operazioni di manutenzione, riparazione e revisione, o la fabbricazione di pezzi di ricambio, anche la formazione dei piloti, la fornitura di speciali soluzioni ingegneristiche, l’elaborazione digitale dei piani di volo, ecc.
Per queste attività si può contare su un bacino di competenze specializzate alimentato a livello locale da 14 istituti di formazione per la manutenzione e l’assistenza tecnica aerospaziale certificati dalla FAA (Federal Aviation Administration), che a livello nazionale collocano il Texas in seconda posizione alle spalle della solita California.
Quello dei servizi è un segmento di mercato ad alta redditività e con notevoli prospettive di espansione stando alle stime di Boeing e Airbus che prevedono un giro di affari di 2.500-3.000 MLD di $ per i prossimi 10-20 anni, il che ne fa un ramo di attività molto appetibile ma che risulta già ben presidiato dai grandi fornitori di componentistica e dai motoristi che in alcuni casi devono il 50% dei loro ricavi all’MRO.
A dispetto dei rapporti di forza complessivi, i giganti del duo euroamericano sembrerebbero invece più attardati (ma proprio per questo con maggiori margini di crescita potenziali), dato che per Airbus queste attività rappresentano appena il 5% del fatturato mentre Boeing dichiara di pesare per il 7% del mercato mondiale dell’MRO civile e per il 9% riguardo alla Difesa.
Nei dintorni di San Antonio, dopo oltre un decennio di MRO nel campo militare, Boeing ha avviato nel maggio 2011 un programma di supporto per il 787 Dreamliner, a cui ha fatto seguito un ulteriore potenziamento degli impianti (assieme a quelli di Oklahoma City), dopo la definitiva chiusura del sito di Wichita, nel Kansas, alla fine del 2014.
Lo scorso 22 novembre, il gruppo guidato da Dennis Muilenburg ha dato il via alla campagna di espansione della propria quota di mercato con l’annuncio della creazione di una divisione dedicata ai servizi – Boeing Global Services – nella quale confluiranno le attività di Boeing Commercial Aviation (BCA), e Boeing Defense, Space & Security (BDS), e nella quale lavoreranno 25.000 addetti su un totale di 160.000. Il debutto operativo della nuova divisione è previsto per il terzo trimestre del 2017 e sarà diretta da Stanley Deal, proveniente dai vertici di BCA Services. La sede principale sarà a Dallas dove la filiale di Boeing specializzata nei pezzi di ricambio, Aviall, vanta già un’importante presenza.
Nonostante la massa critica – industriale, commerciale, finanziaria, politica - che un colosso come Boeing può mettere in campo, il piano di rafforzamento nel ramo MRO dovrà fare i conti con alcune incognite legate non solo all’agguerrita concorrenza di gruppi di più consolidata tradizione operativa nei servizi, ma anche all’intreccio dei rapporti a livello complessivo tra i protagonisti del settore aeronautico, dove, a seconda dei programmi emerge una certa intercambiabilità dei ruoli di assemblatore finale, fornitore, partner industriale, cliente, ecc.
A West Palm Beach, in Florida, Dassault Aviation - presente nel Sud degli USA anche con il grande polo produttivo di Little Rock, in Arkansas - ha uno dei suoi principali stabilimenti dedicati alle attività MRO, o, secondo la versione francese dell’acronimo, MCO: maintien en condition opérationnelle.
I gruppi Bombardier e Gulfstream vantano importanti insediamenti nel sud della Florida e in Georgia, e i loro siti specializzati nei servizi MRO si trovano a Dallas dove, nel 2009, Bombardier MRO Services ha aperto il suo secondo centro dopo quello di Belfast, in Irlanda, per migliorare l’assistenza tecnica e il supporto post-vendita offerti ai propri clienti (per la famiglia Canadair Regional Jet), negli Stati Uniti e in America Latina.
L’insediamento nel Sud dei principali costruttori aeronautici e lo sviluppo dell’attività aerospaziale, hanno richiamato nella regione anche le aziende operanti nella catena di subfornitura di componenti e servizi collegati ai grandi gruppi posizionati al vertice della piramide produttiva del settore. I principali produttori di componentistica aerospaziale non sono semplici fabbricanti e venditori di parti di prodotti industriali complessi, assemblate successivamente dall’azienda capocommessa responsabile di un dato programma. Per le dimensioni raggiunte e il ruolo svolto all’interno della filiera, i maggiori fornitori dei grandi gruppi aeronautici sono veri e propri partner industriali di questi ultimi e partecipano allo sviluppo del prodotto.
Ad esempio, secondo quanto dichiarato lo scorso febbraio dal presidente di Boeing France, Yves Galland, i motori realizzati dalla Safran-Snecma equipaggeranno un velivolo su due dei 737 MAX che stanno uscendo dalle linee produttive del colosso di Chicago-Seattle.
Nel 2013 GE Aviation ha inaugurato a Auburn, in Alabama, una fabbrica destinata alla produzione di parti per motori in leghe speciali e, come risulta dalla tabella, i maggiori fornitori (di 1° e 2° livello) di componentistica, come Triumph Aerostructures, Spirit AeroSystems, UTC Aerospace Systems (gruppo United Technologies), e GKN Aerospace, possono contare su una solida rete di radicamento territoriale nel Sud degli USA.
I principali fornitori di componentistica aerospaziale nel sud degli USA
GRUPPO |
CITTÁ |
STATO |
FUNZIONE AZIENDALE |
Triumph Aerostructures |
Red Oak |
Texas |
Progettazione e montaggio di grandi componenti metalliche o in compositi |
Grand Prairie |
Texas |
Fusoliera e impennaggi |
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Milledgeville |
Georgia |
Componentistica complessa in compositi |
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Nashville |
Tennessee |
Grandi componenti e integrazione di sistemi |
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Stuart |
Florida |
Lavorazione ricambi e vernici speciali |
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Spirit AeroSystems |
McAlester |
Oklahoma |
Lavorazione ricambi e componenti per Gulfstream (programmi G 650 e G 280) |
Tulsa |
Oklahoma |
Ali e grandi componenti per Boeing |
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Nashville |
Tennessee |
Engineering Design Center |
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Kinston |
Carolina del Nord |
Progettazione e fabbricazione in compositi della sezione centrale della fusoliera e parte delle ali dell’Airbus A 350 |
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UTC Aerospace Systems |
Charlotte |
Carolina del Nord |
Sede legale e amministrativa |
Foley |
Alabama |
Cellula e propulsione |
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San Marcos |
Texas |
Cellula e propulsione |
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Bamberg |
Carolina del Sud |
Componenti per motori |
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Houston |
Texas |
Componenti per motori |
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Little Rock |
Arkansas |
Equipaggiamenti ed avionica |
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GKN Aerospace |
Irving |
Texas |
Sede legale e amministrativa della divisione North America |
Tallassee |
Alabama |
Strutture in compositi e ingegnerizzazione |
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Orangeburg |
Carolina del Sud |
Componenti in compositi per HondaJet |
Fonte: MESI : Ministère de l’Economie, Science et Innovation du Québec, maggio 2015.
Nel perimetro di attività di UTC Aerospace Systems sono confluite alcune branche della Rockwell International (in particolare la Rocketdyne, ceduta nel 2005 all’allora UTC Pratt & Whitney dalla Boeing), nata nel marzo del 1967 dalla fusione tra Rockwell Standard e North American Aviation, con la denominazione iniziale di North American Rockwell.
Allo stesso modo, a seguito dell’acquisizione dal Carlyle Group nel 2010, nella Triumph Aerostructures si ritrovano le competenze e le strutture produttive di Vought, delle cui principali produzioni aeronautiche, assieme a quelle della North American Aviation, si è già trattato in altra occasione (vedi articolo).
Qui si può aggiungere che la North American Rockwell è stata il principale partner industriale della NASA per l’avvio del programma Space Shuttle autorizzato dal presidente Nixon il 3 gennaio 1972, e la Rockwell International ha ricoperto il ruolo di prime contractor per il bombardiere strategico B-1 Lancer (approvato dall’USAF nel 1970), alla cui costruzione ha partecipato come subfornitore anche la Vought, realizzando la parte posteriore della fusoliera.
Impiegato per la prima volta nel dicembre del 1998 in Irak, nell’ambito dell’operazione Desert Fox, il progetto di questo quadrimotore con capacità di sgancio di ordigni convenzionali e nucleari, ala a geometria variabile e autonomia di 12.000 km, risale al programma AMSA (Advanced Manned Strategic Aircraft), avviato dall’USAF negli anni ’60 per la sostituzione del Boeing B-52.
Il 23 dicembre 1974 volò il primo prototipo B-1A ma tre anni dopo l’amministrazione Carter cancellò il programma che venne ripreso nel 1981 con la presidenza Reagan come B-1B, versione leggermente semplificata seppur dotata di miglioramenti avionici e costruttivi, con un obiettivo di produzione che venne fissato a 100 esemplari (invece dei 244 del B-1A), le cui consegne iniziarono nel 1985.
La lotta di concorrenza che vede protagonisti i colossi dell’aerospazio non si limita ad un confronto tra singole grandi aziende, ma coinvolge l’intera rete di relazioni industriali (che arriva a interessare migliaia di piccole e medie imprese), di cui i gruppi leader del settore sono il fulcro. In generale, la gestione dei rapporti di filiera è a tutti gli effetti parte integrante della strategia aziendale di un grande gruppo industriale, inclusi i prime contractor della Difesa, dove in alcuni casi società come Boeing, Airbus o Lockheed-Martin, nel fissare i propri ratei produttivi devono tenere conto della capacità della catena di subfornitura di reggere quei livelli (e oltretutto con vincoli di costo ben precisi), rischiando in caso contrario di incorrere in difficoltà di approvvigionamento delle linee di produzione e conseguenti ritardi nelle consegne.
Significative a questo riguardo le tensioni dello scorso agosto tra Volkswagen e due suoi fornitori (Car Trim e ES Automobilguss, filiali del gruppo Prevent), in merito ai prezzi dei componenti imposti dai vertici di VW, che hanno portato a un’interruzione di alcuni giorni del lavoro sulle linee di assemblaggio della Golf, fino al raggiungimento di un accordo. Se consideriamo che mediamente nel settore auto il peso della subfornitura di componenti oscilla tra il 50% e il 60%, mentre nell’aerospaziale può arrivare al 70%, si capisce bene l’importanza delle relazioni di filiera per questo comparto.
Negli ultimi anni uno dei terreni su cui Boeing e Airbus si sono dati battaglia ha riguardato proprio i costi della subfornitura, con il costruttore europeo che ad esempio ha chiesto un abbassamento di prezzo sui componenti dell’A-320 del 10% fino al 2019, nel quadro del programma di riduzione dei costi SCOPE+ avviato tra la primavera e l’estate del 2014.
Il Single-Aisle Cost Optimisation Programme-plus ha rappresentato la contromossa di Airbus nei confronti del varo da parte di Boeing del progetto PFS (Partnership for Success), con cui il concorrente americano aveva rinegoziato una serie di “accordi” con i propri subfornitori (le aziende che hanno rifiutato di aderirvi sono state escluse dalla catena produttiva e inserite in una sorta di “no-fly list”), per ottimizzare l’efficienza di tutta la filiera, fissando un obiettivo di riduzione dei costi del 15%.
Com’era prevedibile le rimostranze delle imprese subfornitrici non si sono fatte attendere ma dai vertici di Tolosa si ribatte che Airbus offre visibilità e volumi produttivi garantiti e stabili ai propri partner industriali che quindi devono farsi carico degli sforzi per aumentare la competitività e la redditività rispetto a Boeing.
Del resto i rapporti di forza sono comunque favorevoli ai competitori di stazza mondiale e la misura dell’importanza di questo scontro fra titani è data anche dalla forte presa esercitata sulle “attenzioni” delle aziende subfornitrici che finisce per penalizzare i gruppi minori, anche quando questi ultimi sono in qualche modo filiazioni delle stesse imprese leader.
Ad esempio il franco-italiano ATR (una joint-venture di Airbus e Leonardo), ha mancato i suoi obiettivi di consegne nel 2015 (88 rispetto alle 95 previste), a causa di ritardi nelle forniture. Ciò è attribuibile solo in parte alle difficoltà della filiera di adeguarsi all’aumento della produzione della stessa ATR – da 50 a 90 unità – di apparecchi turboelica. Secondo quanto dichiarato dall’allora presidente esecutivo, Patrick de Castelbajac (dallo scorso novembre Company Secretary e Chief of Staff proprio di Airbus): di fronte a una crescita generalizzata degli ordinativi, i subfornitori non possono sempre soddisfare tutti i costruttori aeronautici e tendono a privilegiare quelli più grandi.
Gli elementi fin qui richiamati hanno una loro dimensione politica: la contesa che nei vari teatri operativi della “grande scacchiera” internazionale vede coinvolte, più o meno direttamente, potenze di ogni ordine e grado, non chiama in causa solo il confronto tra i rispettivi dispositivi militari ma anche tra imprese, o più precisamente tra intere filiere industriali, concorrenti. Anche nell’era della cosiddetta “industria 4.0”, della digitalizzazione delle Forze Armate e dei campi di battaglia, non può esistere una Difesa efficace senza un efficiente apparato produttivo che la supporti.
Visto attraverso la lente delle relazioni internazionali, lo sviluppo industriale del Sud degli Stati Uniti dal secondo dopoguerra ad oggi, ha agito da fattore di contrasto del pluridecennale indebolimento manifatturiero della prima potenza mondiale. L’espansione del mercato continentale interno legata ai ritmi di crescita del Sud e dell’Ovest, ha attenuato i riflessi politici e dilatato i tempi dell’erosione del primato economico americano dovuta al declino relativo del peso degli USA nell’economia globale, ma di per sé non poteva invertirne la tendenza storica declinante determinata dall’ascesa di altre grandi potenze.
La gestione delle ripercussioni di questo processo sulla leadership internazionale degli Stati Uniti – del cui rilancio Donald Trump ha fatto una bandiera in campagna elettorale con lo slogan Make America Great Again - è ormai da parecchio tempo la principale sfida per le diverse amministrazioni USA, e tale resterà anche per il mandato presidenziale che inizierà dal prossimo 20 gennaio, indipendentemente dai tratti caratteriali (di cui in ogni caso si dovrà tenere conto perché inevitabilmente giocheranno un qualche ruolo), del nuovo inquilino della Casa Bianca.
(foto: U.S. DoD / Cowtown Rodeo / web / NASA / Dassaul Aviation / UCLA / Boeing / Twitter)