Le condizioni ideali per l’industria aeronautica: dalla Pianura Padana al Sud degli USA

(di Leonardo Chiti)
26/09/16

La storia dei primi insediamenti aeronautici nella parte centro-meridionale degli Stati Uniti presenta indubbiamente le proprie specificità ma fa emergere anche alcuni tratti di regolarità della combinazione di fattori economici, politico-militari e geografici che sono alla base della realizzazione sia dei campi di aviazione, sia degli impianti produttivi del settore.

Una delle caratteristiche attraverso cui si è manifestata l’evoluzione della tecnologia aeronautica (in special modo nell’ambito militare), è costituita dalla progettazione di velivoli ad ala fissa con necessità sempre più ridotte in termini di lunghezza della retta di decollo e atterraggio, fino allo sviluppo di una capacità di esecuzione verticale di queste operazioni. Agli inizi del ‘900 però si dovevano fare i conti con esigenze di spazio più vincolanti per i “più pesanti dell’aria”, anche in considerazione di infrastrutture aeroportuali rudimentali o del tutto inesistenti.

L’esigenza di spazi ad esclusivo uso degli aeroplani discende dalle leggi fisiche che rendono possibile la sostentazione dinamica di un corpo più pesante dell’aria. Affinché il flusso dell’aria sulle ali raggiunga la velocità sufficiente a generare la portanza che consente all’apparecchio di sollevarsi è infatti necessario che questo possa percorrere un’adeguata retta di accelerazione, piana, sgombra di ostacoli lateralmente ed alle estremità, con un fondo compatto. Non a caso i primi luoghi di volo, in Italia, come altrove, furono semplici adattamenti di superfici pianeggianti destinate a tutt’altro scopo, quasi sempre “campi” nel senso più agricolo del termine (Giorgio Apostolo, a cura di, “Ali e motori in Lombardia: un secolo di storia dell’aviazione”, Banca Agricola Milanese, 1995).

Così come era stato in precedenza per alcune zone della Lombardia, nei primi decenni del XX secolo determinate aree del Texas e del Kansas offriranno delle piste naturali per l’attività di piloti e costruttori del periodo. Ad esempio la nascita delle prime strutture dedicate al volo nei dintorni di Wichita nei primi anni ’20, è riconducibile in buona parte alla disponibilità di un’ampia distesa pianeggiante presente nei pressi della città (foto).

Da ciò risulta evidente il vantaggio su cui poteva contare, soprattutto nella fase pionieristica, lo sviluppo dell’idroaviazione dato che corsi e specchi d’acqua rappresentavano superfici ideali per le manovre di decollo e atterraggio (ammaraggio), non richiedendo complessi e costosi lavori di drenaggio e livellamento del terreno.

Allo stesso modo di quanto accade per le linee politiche, il progresso scientifico o i movimenti artistici e culturali, anche la storia dell’industria, articolata nella dinamica di sviluppo dei diversi settori che la compongono, è incarnata da degli uomini. In tal senso la figura che numerosi studiosi considerano di maggiore spessore tecnico e la più rappresentativa dei primi decenni di vita dell’industria aeronautica italiana, è quella di Gianni Caproni (1886-1957).

Nato a Massone di Arco, nella provincia di Trento, Caproni frequenta il Politecnico di Monaco di Baviera dove si laurea in ingegneria civile nel 1907. Nei due anni successivi segue un corso di specializzazione in elettrotecnica all’Istituto Montefiori di Liegi ed è proprio durante questo periodo di studio in Belgio che il giovane ingegnere trentino entra in contatto con i primi sviluppi del mezzo aereo che stavano avendo luogo nella vicina Francia.

Caproni costruisce il suo primo aeroplano a motore (un biplano realizzato interamente in legno e battezzato Caproni Ca1), nel 1909, ma la zona di Arco presentava problemi di spazio, così si decise di spostarsi dall’allora austriaco Trentino in territorio italiano, scegliendo di insediarsi nell’Alto Milanese, nei pressi della località detta Cascina Malpensa.

Tenendo presente che il trasloco fu effettuato in treno, la brughiera gallaratese rappresentava una delle scelte più prossime in termini di distanza e permetteva di utilizzare al meglio la rete ferroviaria del Nord che era la più sviluppata della penisola. Il biplano venne smontato e caricato sui vagoni con arrivo nella zona dell’attuale aeroporto intercontinentale lombardo, nell’aprile del 1910.

L’area della Malpensa all’epoca non era altro che un grande prato, infatti il termine dialettale “Brug” (discendente dal celtico “brucus”), da cui deriva brughiera, indica l’erica, una pianta che si adatta bene alla parte alta della Pianura Padana, tipicamente più arida della bassa. Questo spazio era utilizzato dall’Austria fin dal 1821 per manovre ed esercitazioni militari. Nel 1886 diviene proprietà del Ministero della guerra del Regio Esercito che in seguito lo destinerà all’attività aviatoria e Caproni ne otterrà l’utilizzo per i collaudi del proprio biplano, dietro autorizzazione rilasciata dalla Direzione del Genio Militare di Milano.

Tra il 1910 e la prima guerra mondiale, nelle località di Cascina Malpensa, Vizzola Ticino, Cascina costa e Busto Arsizio, si assisterà al sorgere di tutte quelle strutture (hangar, piste, officine, ecc), necessarie all’attività aviatoria che faranno di questa zona geografica uno dei primi e più importanti insediamenti aeronautici italiani.

Tra questi brevi accenni vale la pena sottolineare il ruolo di primo piano ricoperto ancora una volta dall’idrografia locale che è stato uno degli elementi su cui ha poggiato lo sviluppo dell’agricoltura e poi dell’industria elettrica dell’Italia settentrionale. La storia si è ripetuta con i primi passi mossi dall’aeronautica, in special modo riguardo alla realizzazione di uno specifico tipo di velivolo: l’idrovolante.

Nella costruzione di questi apparecchi si distingueranno in particolare: la Nieuport-Macchi, che baserà i propri impianti sulle sponde del Lago di Varese (idroscalo della Schiranna), e la SIAI (Società Idrovolanti Alta Italia che diverrà Società Italiana Aerei Idrovolanti Savoia Marchetti nel 1937), che installò le proprie unità per la costruzione e il collaudo di queste macchine in località S. Anna, frazione del Comune di Sesto Calende, sul Lago Maggiore (nella foto a dx un idrovolante S.57 nel 1935).

In tutto questo quadro manca ancora un “ingrediente” da considerare fra le ragioni della localizzazione dell’industria aeronautica nel Nord Italia. La costruzione di aeroplani non è un’attività manifatturiera di base, per cui non si può passare dalla coltivazione dei campi all’assemblaggio di velivoli facendo semplicemente leva sulle dotazioni naturali, sulla volontà politica o sull’iniziativa imprenditoriale.

Il comparto aeronautico occupa il vertice della filiera industriale riconducibile alla meccanica complessa e vi confluiscono i contributi progettuali e produttivi “di punta” sia di ambiti che vantano una parentela storicamente più prossima (come il settore auto), sia dei diversi operatori che occupano i vari gradini della estesa catena della componentistica.

Naturalmente allo stesso tempo, dallo sviluppo dei processi produttivi e della tecnologia aeronautica si generano dei ritorni lungo tutta la filiera, nella dinamica di un rapporto dialettico di cui fanno parte a pieno titolo anche i protagonisti di una serie di altri settori: lavorazione del legno, metallurgia, elettricità, chimica e più recentemente elettronica, informatica, realizzazione di materiali compositi, stampa 3D, ecc.

Quindi fin dalla nascita, tra i presupposti per lo sviluppo dell’industria aeronautica si deve considerare la presenza di un certo livello di “sedimentazione industriale” preesistente. A questo proposito, prendendo in considerazione i dati riportati da Vera Zamagni e riguardanti la Lombardia: al censimento del 1911, in termini complessivi, si concentravano nella regione il 30% del valore aggiunto, il 25% dei profitti, il 20% degli addetti dell’industria (“Industrializzazione e squilibri regionali in Italia”, il Mulino, 1978).

Sulla base di queste poche ma significative cifre, risulta chiaro che in astratto l’industria aeronautica italiana poteva nascere indifferentemente in una qualsiasi regione o provincia della penisola (del resto non è che in Italia non esistessero altri spazi pianeggianti), ma le condizioni geografiche più vantaggiose e il retroterra produttivo più favorevole per l’insediamento dei pionieri del settore, erano presenti sicuramente nella parte lombarda del Nord Italia.

Il crescente interesse della politica e le necessità militari (dalla guerra italo-turca di Libia del 1911-’12 che portò alla sottoscrizione battezzata “pro-flotta aerea”, ai due conflitti mondiali), hanno fatto il resto nel processo di nascita e sviluppo aeronautico della zona allora compresa tra le province di Como e Milano. In effetti la provincia di Varese, che successivamente si guadagnerà il titolo di “provincia con le ali” o “provincia più aviatoria d’Italia”, diverrà un’identità amministrativa autonoma nel 1927.

Oggi, nel distretto aeronautico del Varesotto operano alcuni protagonisti di livello mondiale del settore, come Agusta-Westland che realizza elicotteri per ogni tipo di ruolo, e Alenia-Aermacchi, specializzata negli addestratori (ad ala fissa). Come si sa fanno entrambe parte del gruppo Leonardo (ex Finmeccanica), inquadrate rispettivamente nelle divisioni Elicotteri e Velivoli.

A differenza della Lombardia il Sud degli Stati Uniti non offriva una base di partenza di significativa densità industriale su cui far poggiare la fase di avvio, e il successivo sviluppo, del settore aeronautico. In compenso la ricchezza di idrocarburi di questo territorio implicava un grande potenziale energetico e una elevata disponibilità di carburante a portata di mano e quindi a basso costo, un vantaggio che si combinerà con l’elettrificazione frutto del ciclo di investimenti pubblici del New Deal.

Come si è già visto in altra occasione, la politica industriale per il Sud perseguita dall’amministrazione Roosevelt, e in alcuni casi le richieste ispirate a ragioni di sicurezza nazionale degli stessi vertici militari, portarono alla ricollocazione negli Stati di questa regione di una parte delle strutture produttive dell’industria bellica.

Le commesse legate alla mobilitazione per la seconda guerra mondiale fornirono lo sbocco di mercato ideale per l’apparato industriale americano ed avranno un effetto corroborante per l’intera economia degli USA che in pratica usciranno definitivamente dalla crisi del ’29 solo grazie alle ordinazioni legate al conflitto. Sul territorio nazionale questo ciclo produttivo seguirà una dinamica di dispiegamento differenziata secondo i rispettivi stadi di sviluppo delle diverse aree regionali.

Si può infatti ritenere che, mentre il Midwest ed il Nord-Est riorientarono le proprie industrie (ampliandone comunque gli impianti), verso la produzione militare, il Sud si industrializzò sotto la spinta delle necessità che emersero dai campi di battaglia, che impressero un forte impulso verso uno sforzo combinato tra iniziativa imprenditoriale e politica industriale del governo federale.

Quindi in questa regione il secondo conflitto mondiale ha svolto lo stesso ruolo esercitato dalla Grande Guerra nei confronti dell’industrializzazione dell’Italia che ha visto i propri gruppi (basti pensare alla FIAT e all’Ansaldo), diventare realmente grandi grazie alle forniture per le Forze Armate.

Così, durante gli anni ’40, il Sud e l’Ovest della federazione a stelle e strisce conobbero l’insediamento (tra gli altri) di un potente settore aeronautico che diverrà aerospaziale con la corsa alla militarizzazione dello spazio il cui inizio viene convenzionalmente fissato al 4 ottobre 1957, data in cui l’Unione Sovietica lanciò in orbita il satellite Sputnik I: una sfera metallica con 4 antenne, un diametro di 58 cm e un peso di 83,6 kg (in buona parte “occupati” dal sistema di alimentazione), che compì la sua prima circumnavigazione terrestre in 1 ora e 35 minuti.

Nei decenni successivi interessati da questa competizione (in cui si distingueranno in modo particolare 3 presidenti: i democratici John Kennedy e Lyndon Johnson negli anni ’60, e il repubblicano Ronald Reagan negli anni ’80), il Sud e la West Coast diventano delle vere e proprie aree regionali aerospaziali, sia in termini industriali che di installazioni per l’effettuazione dei lanci.

In particolare la città di Houston si è vista assegnare il ruolo di centro dei programmi spaziali statunitensi all’inizio degli anni ’60, dall’allora vicepresidente e direttore del National Aeronautics and Space Council (nonché senatore texano), Lyndon Johnson, divenendo così la capitale delle attività di pianificazione e controllo missione.

Oggi, nelle strutture della NASA che fanno capo al Johnson Space Center di Houston (foto), svolgono una parte del loro addestramento e i relativi corsi di aggiornamento e perfezionamento, anche gli astronauti europei, come il francese Thomas Pesquet e l’italiana Samantha Cristoforetti.

Le ondate di ristrutturazione degli anni ’70 e ’80 innescate dalla crisi petrolifera e dalla sovraccapacità produttiva dei settori automobilistico e siderurgico, penalizzeranno principalmente gli insediamenti industriali delle zone dei Grandi Laghi e del New England, mentre il Sud e l’Ovest ne risentiranno in misura minore mantenendo il loro trend di crescita.

Questo grazie ad un mercato del lavoro locale più flessibile, una maggiore disponibilità di approvvigionamento energetico a costi competitivi (dai giacimenti di Texas, Louisiana, California e Alaska), e un collegamento – favorito giocoforza dalla posizione – più diretto con il mercato asiatico in piena espansione. Senza dimenticare che in questo contesto, nonostante tutte le problematiche che tuttora si accompagnano al fenomeno, la forte immigrazione ispanica dall’America Latina ha fatto un gran comodo.

Le chiusure, le riduzioni di capacità produttiva e i tagli di personale da una parte, l’apertura di nuovi impianti, il potenziamento e l’ampliamento di quelli già presenti, nonché lo sviluppo delle produzioni legate all’intera filiera industriale della Difesa dall’altra, hanno generato in quegli anni un senso comune secondo il quale ormai nel Midwest e soprattutto nel Nord-Est, ci si dedica alla ricerca e all’innovazione mentre la fabbricazione è diventata una prerogativa del Sud e dell’Ovest.

In realtà il quadro della situazione presenta maggiori sfumature e, come al solito in questi casi, si deve fare riferimento a dei tratti prevalenti e non a dei contrassegni esclusivi. Una conferma in tal senso si trova nei dati elaborati da alcuni istituti (American Enterprise Institute e IRẾC: Institut de Recherche en Ếconomie Contemporaine), che immancabilmente presentano qualche oscillazione ma che nei loro valori medi indicano un ordine di grandezza attendibile al fine di individuare delle tendenze.

Se ad esempio si considera la manodopera industriale della Difesa, Midwest e Nord-Est totalizzano circa il 25%, mentre Sud e Ovest pesano rispettivamente per il 39% e il 36%. Riguardo invece alle attività di Research and Development i valori sono nello stesso ordine: 45%, 21% e 34%. Se prendiamo i singoli Stati, entrambe le graduatorie vedono in testa la California con il 23% della manodopera industriale e il 33% di tecnici e ricercatori, seguita nel primo caso dallo Stato di Washington (12,5%) e dal Texas (9%), e nel secondo da New Jersey e Massachusetts con il 9% ciascuno.

La classifica delle aree metropolitane riflette questi rapporti, con Los Angeles che detiene il primato sia nella presenza di capannoni industriali che di laboratori di ricerca, seguita da Seattle e Dallas per quanto riguarda la parte manifatturiera, e da Washington D.C.-Baltimora e Boston, per le attività di R&D.

Lo scenario tratteggiato da queste cifre è la risultante di un pluridecennale processo complessivo di modifica dei pesi economici e demografici all’interno dei confini federali, che ha prodotto un vero e proprio rovesciamento dei rapporti tra le regioni USA.

All’inizio del primo mandato di Franklin D. Roosevelt, tra il 1932 e il ’33 (com’è noto il presidente viene eletto a novembre e si insedia, salvo riconferma nel qual caso ovviamente non c’è soluzione di continuità, nel successivo mese di gennaio, cosa che in precedenza avveniva a marzo), nell’area dei Grandi Laghi e del New England risiedeva in totale il 49% della popolazione, mentre il Sud e l’Ovest costiero (esclusi quindi gli Stati della regione delle Montagne Rocciose), facevano registrare il 35% (rispettivamente 28% e 7%). All’alba del terzo millennio le prime erano passate al 35% e i secondi al 52%, con il Sud al 36% e l’Ovest (sempre limitatamente alla fascia costiera), al 16%.

Quando Kennedy, il 25 maggio 1961, lancia la sfida della realizzazione di un programma di esplorazione spaziale con l’obiettivo di: far atterrare un uomo sulla luna e farlo tornare sano e salvo sulla Terra, la zona comprendente il Midwest e l’area atlantica poteva vantare il 40% del PIL americano, con il Sud e la Costa Ovest che si attestavano al 38% (24% e 14%). Quattro decenni dopo, le aree di più tradizionale insediamento mostravano una sostanziale tenuta con il 39%, mentre il Sud e la costa del Pacifico erano passate al 50% (33% e 17%).

Concentrando l’attenzione sul Sud, la massima espressione di questo mutamento di equilibri interni è rappresentata dal Texas e dalla Florida che ancora nel 1960 avevano rispettivamente 9,5 e 5 milioni di abitanti, diventati 27,7 e 19,9 nel 2014. Così il “Lone Star State” (definizione derivata dalla bandiera texana) e lo “Stato delle 3 S” (sea, sand and sun), occupano il 2° e il 3° gradino della graduatoria federale per popolazione, alle spalle della California (circa 39 mln di abitanti), e davanti allo Stato di New York (19,8 mln).

Se consideriamo il PIL, il Texas e la Florida occupano la seconda e la quarta posizione, con rispettivi valori di 1.414 miliardi di $ (dato al 2013), e circa 800 mld di $, collocandosi tra la California (1° con 2.450 mld)) e New York (3° con 1.350 mld). Da notare che se fossero Stati indipendenti potrebbero ambire a far parte del G20.

Giusto per farsi un’idea dell’attuale stato di radicamento del settore aeronautico nella Sun Belt (la “cintura del sole” che va dagli Stati del Sud sull’Atlantico alla California), si può tratteggiare una breve panoramica, iniziando dalla fabbrica della Boeing a North Charleston (foto), nella Carolina del Sud, che ospita la seconda catena di montaggio – dopo quella di Everett, vicino Seattle – del 787 Dreamliner.

Nella seconda metà del 2015 è terminata la costruzione della linea di assemblaggio dello stabilimento Airbus a Mobile, in Alabama, dove il costruttore europeo aveva già un centro di progettazione. Qui ci si dedica alla realizzazione di velivoli della famiglia A319, A320, A321. La filiale locale della divisione elicotteri del gruppo di Tolosa (Airbus Helicopters ex American Eurocopter), si trova a Grand Prairie, in Texas, dove ha la propria sede sociale mentre nella città di Columbus, nel Mississippi, dispone di un centro di produzione.

Nel Texas si trova anche la sede legale della Bell Helicopter Textron che può inoltre contare sui siti produttivi di Amarillo e Fort Worth. In quest’ultima cittadina nei pressi di Dallas, si trovano gli impianti della Lockheed-Martin destinati al montaggio della sezione centrale delle ali dell’F-35 (nelle sue tre varianti), e dell’F-16, così come alla realizzazione di alcune componenti del giapponese F-2.

Infine, un’altra importante installazione del gruppo di Bethesda si trova a Marietta, in Georgia, dove vengono assemblati i C-130 Hercules e gli F-22 Raptor (foto apertura), e intrapresi i programmi di aggiornamento dell’avionica e del motore del C-5 Galaxy.

Da queste parti è ben rappresentato anche il ramo business, con Gulfstream Aerospace Corporation (una controllata di General Dynamics dal 2001), che nei propri stabilimenti di Savannah, in Georgia, progetta e costruisce una vasta gamma di jet d’affari di cui assicura la manutenzione e l’assistenza post-vendita.

A Little Rock, in Arkansas, si trova uno dei più grandi insediamenti della Dassault (Dassault Falcon Jet), nel quale il gruppo dell’esagono svolge l’intera gamma di operazioni di finitura: montaggio e integrazione della strumentazione, allestimento degli interni, verniciatura ecc.

Nel marzo del 2012 la brasiliana Embraer ha annunciato la creazione di un centro di progettazione a Melbourne (cittadina della Florida celebre per aver dato i natali a Jim Morrison l’8 dicembre 1943), in modo da supportare più direttamente possibile le locali linee di produzione dei modelli Legacy 450 e 500 e dei precedenti Phenom 100 e 300.

L’intensificazione della rete di insediamento territoriale dell’industria aeronautica e lo sviluppo dell’attività aerospaziale, sono allo stesso tempo il risultato e una delle componenti che ha maggiormente contribuito allo spostamento del baricentro demografico ed economico degli Stati Uniti verso il Sud e l’Ovest.

In definitiva, alla luce dei passaggi rapidamente elencati, si può sostenere che in termini di industrializzazione e urbanizzazione, la “conquista della frontiera” nordamericana è proseguita per tutto il XX secolo (anche) “sulle ali” dei gruppi aziendali dell’industria aeronautica.

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(foto: web / Leonardo / NASA / Lockheed Martin / Dassault)