In queste ultime settimane si è sollevata un certa agitazione sulla questione della posizione del governo per la scelta dei futuri velivoli a pilotaggio remoto di categoria MALE (Medium Altitude Long Endurance).
Nella giornata di venerdì scorso le rappresentanze sindacali degli oltre 1.100 lavoratori di Piaggio Aerospace hanno nuovamente chiesto di accelerare sul decreto di approvazione del finanziamento del programma P.2HH proposto dall’azienda ligure: loro aspettano da un anno rassicurazioni da parte del governo sul proprio futuro occupazionale, fortemente minacciato da un’eventuale mancata scelta del loro velivolo.
A loro e alle loro famiglie si uniscono analoghe attese da parte del cosiddetto “indotto”, che consiste in altre 15 aziende italiane coinvolte nel progetto.
Questa commessa ha già anche suscitato scontri a livello politico, nel frattempo l’”eurodrone” (foto seguente) di Airbus e Dassault (in cui l’Italia ha soltanto una quota di partecipazione attraverso la Leonardo) sta gettando serie ombre su questo progetto 100% “Made in Italy”. Eppure sembrerebbe esserne persino stato il modello ispiratore…!
Senza voler entrare in questa spinosa questione per cui si sono già spesi gli sforzi e i pareri di ben più titolati esperti di difesa aerea, ci limitiamo a fare alcune considerazioni tecniche unite ad altre di semplici contribuenti.
Ragioniamo, quindi, su quello che chiunque può vedere sul sito internet della Piaggio Aerospace unito alle notizie che noi stessi abbiamo dato nella medesima giornata di venerdì, relative all’industria aerospaziale nazionale.
Sul sito internet della Casa costruttrice, non c’è mai stata alcuna informazione sul P.2HH.
C’è invece una nuovissima brochure del P.1HH che è finalmente arrivato allo stadio “maturo” (vedi articolo) anche se con caratteristiche inferiori a quelle del P.2HH, ma si parla anche di un interessante velivolo: il MPA “Multirole Patrol Aircraft” (ed anche di questo è appena apparsa una nuova brochure).
Certamente quello dei velivoli a pilotaggio remoto è un argomento che per modernità attira maggiormente l’attenzione, ma se si osservano tutti i dettagli della questione si possono trovare spunti di riflessione interessanti. Primo fra tutti la genialità della modularità delle soluzioni tecniche che permette di deliberare tre differenti velivoli (MPA, P.2HH e P.1HH) con due soli investimenti di ricerca e sviluppo.
Questo vuol dire che se proprio non si vorrà supportare il P.2HH, può comunque essere utile e saggio sviluppare le sue tecnologie, sull’MPA. …Si sa mai che a qualcuno possa interessare…!
Ma non si può parlare del Piaggio Aerospace MPA (“Multirole Patrol Aircraft”) senza menzionare l’enorme esperienza acquisita da un suo illustre predecessore ne ha già “preparato la strada”: il Piaggio P.166.
Tutto iniziò ben mezzo secolo fa, con la fornitura di una versione speciale per compiti di ricerca e anti-sommergibile alla South African Air Force, poi perfezionata nelle successive versioni turboelica vendute ovunque nel mondo e soprattutto alle nostre Forze Armate.
Con un gran numero di “varianti sul tema” (versioni per ricerche geotopografiche, o contro l’inquinamento marino, la lotta al contrabbando, e persino anti-incendio) siamo arrivati fino ad oggi e nonostante l’eccellente dimostrazione di robustezza e affidabilità iniziano a comparire esemplari di questo velivolo ritirati dal servizio per fine vita operativa trasformati in monumenti.
Nei compiti di pattugliamento tipicamente affidati al P.166 si stanno affiancando e sostituendo gli ATR 72 nella versione MP (Maritime Patrol).
Nello stesso giorno in cui le rappresentanze sindacali della Piaggio Aerospace chiedevano del loro futuro, noi abbiamo pubblicato la notizia di una nuova acquisizione da parte della Guardia di Finanza per questo genere di attività.
Benché questo velivolo abbia buone qualità di volo e molti componenti di produzione nazionale (Leonardo), non si tratta di un prodotto autoctono al 100% né viene costruito in Italia dal primo all’ultimo bullone (motori compresi) come invece sono da sempre i velivoli della Piaggio Aerospace.
L’ATR nasce come velivolo civile in grado di trasportare 50 passeggeri nelle cosiddette “operazioni commerciali di terzo livello”, ossia nel collegamento a breve raggio fra un aeroporto minore ed un “hub” internazionale o per servire piccoli aeroporti locali, tipicamente turistici.
Un impiego che non richiede il raggiungimento di un alta quota di volo né il suo mantenimento per lunghi periodi, così il miglior rendimento propulsivo offerto dai motori turbo-elica a bassa quota compensa la ridotta velocità di avanzamento. Per tratte brevi questo non comporta particolari disagi, ad eccezione del dover volare a quote favorevoli alla formazione di ghiaccio (se le condizioni meteorologiche espongono a questo rischio) che abbinato al sistema sghiacciante Goodrich (a camere d’aria pulsanti) non lo rende il velivolo preferito dal passeggero.
In casa Piaggio Aerospace il P.166 fu affiancato sin dal 1986 da un velivolo che rappresenta al meglio la genialità italiana e che è la piattaforma base del P.1HH, dell'MPA e, seppur indirettamente, anche del P.2HH: è il P.180.
Questo nasce da un requisito di progetto praticamente opposto: quello di porsi come alternativa ai jet privati da 7 passeggeri e per tratte di media lunghezza.
In un simile scenario velocità e quota di volo elevate sono un requisito fondamentale che si somma a quello di poter operare da piste di 1500m ed il P.180 riesce a rendersi competitivo grazie alla sua aerodinamica unica. Ovviamente, come l’ATR, essendo un turboelica, non incappa nei problemi di consumo elevato di carburante a bassa quota che avrebbe invece un jet.
Confrontando ATR e P.180 appare subito evidente la differenza di dimensioni. È intuitivo capire che questa si trasferisce immediatamente sui costi di esercenza, in modo direttamente proporzionale.
Considerando, poi, che tutti i reparti di volo delle Forze Armate e degli Enti di Stato1 già dispongono del P.180, l’introduzione del “Multirole Patrol Aircraft” avrebbe permesso di eliminare molte voci di spesa duplicate: formazioni di piloti e tecnici della manutenzione, scorte di ricambi loro approvvigionamento, nonché le differenti procedure di impiego che ostacolano la standardizzazione delle risorse.
L’intercambiabilità fra P.180 e “MPA” è quasi totale e non si accuserebbe una perdita di efficacia operativa, perché per i compiti per cui si potrebbero sovrapporre ATR “MP” e Piaggio “MPA” ciò che conta è la dotazione strumentale aviotrasportata, non il “vettore” (ossia l’aeroplano).
Ma dobbiamo fare una doverosa precisazione: quanto detto del confronto fra ATR “MP” e Piaggio Aerospace “MPA” vale per i compiti di pattugliamento lasciati vacanti dai P.166 radiati dal servizio.
Per le attività antisommergibile lasciate dai Breguet “Atlantic”, l’ATR “MP” continua ad avere un ruolo operativo importante in quanto le caratteristiche morfologiche e strutturali della fusoliera del P.180, non possono offrire analoghe possibilità di “semina” di boe antisommergibile.
Ma se l’ATR “MP” resta vincente nella lotta antisommergibile, la “piattaforma” offerta dal P.180 può permettere altro genere di impiego: il pattugliamento ad alta quota o dove sia richiesto un intervento rapido ed agile, scenari in cui l’ATR non eccelle o sarebbe più molto più costoso e vulnerabile.
Così, al pattugliamento marino per ricerca e soccorso o ricognizione che furono del P.166 ed ora dell’ATR “MP”, il Piaggio Aerospace “MPA” aggiunge la capacità di sorveglianza del territorio per motivi di “intelligence”, e l’impiego tattico in missioni ISR e COMINT.
Ruoli simili a quelli dei “Predator”, ma con il vantaggio di essere svolti in modo estemporaneo e non programmato, essendo indipendente da stazioni a terra. Queste infatti devono essere opportunamente posizionate e fornite servizi, fra cui in particolare quello di protezione (cose che non avvengono di certo a “costo zero”).
Il P.180 ha già dimostrato con oltre 800.000 ore di impiego totali, che la sua formula aerodinamica anticonformista a 3 superfici portanti mantiene davvero tutto ciò che promette: quote di volo e velocità da jet ad un costo del 30% inferiore. Ma se si deve incrementare ulteriormente la sua autonomia e rendere meno tracciabile la sua presenza sia dal punto di vista acustico che termico, all’incremento di capacità dei serbatoi si deve anche aggiungere una riduzione della resistenza aerodinamica.
Un modo per perseguire entrambi gli obiettivi in un solo colpo è quello di incrementare il già notevole allungamento alare, e far uso di altri aggiornamenti già visti nel passaggio da P.180 “Avanti II” a P.180 “EVO”.
Per “allungamento alare” si intende il rapporto fra l’apertura alare e la sua larghezza alla radice. Per dirla in termini semplici, quando si vede un’ala stretta e lunga si dice che ha un notevole allungamento alare e il beneficio che porta è di ottenere una portanza massima e più omogeneamente distribuita con una resistenza minima.
Avete presente l’ala degli alianti? Ne è l’esempio più lampante.
Se poi conoscete anche il drone “Predator”, o i ricognitori da alta quota Lockheed U2 (foto) e il Myasishchev “Geophysica“ tanto meglio, perché questi, hanno motori che alleggeriscono il velivolo consumando carburante nelle loro lunghe missioni, ma con un ala così “dritta” non incappano in escursioni di baricentro.
Ovviamente un ala “dritta, lunga e stretta” non offre sono solo dei vantaggi: alle velocità massime raggiungibili si possono generare dei fenomeni di “aeroelasticità” (somma di forze aerodinamiche ed elastiche) che possono portare a problemi molto seri quali il temutissimo “flutter”.
Modificare l’ala del P180 nel modo detto, comporta anche la modifica dell’ala anteriore, in quanto l’aerodinamica del P.180 si “divide” su 3 differenti superfici aerodinamiche e una modifica di allungamento alare non può che avvenire su tutte le superfici portanti.
Quindi, che si decida di sviluppare il P.2HH o che si decida di scoprire le potenzialità dell’ MPA, tutto questo si traduce nell’esigenza di dover svolgere un’intensa fase di collaudo e messa a punto in ogni possibile scenario e configurazione di volo.
Ecco quindi spiegato perché serve l’approvazione di quel finanziamento.
In casa Piaggio questo è già successo con il velivolo PD-808 (foto seguente).
Fu fondamentale, ai quei tempi il contributo dato dell’Aeronautica Militare che si accollò 1/3 degli oneri di ricerca e sviluppo, in cambio della acquisizione dell’intera produzione.
Uno sforzo certamente enorme per lo Stato, ma che permise di realizzare un velivolo totalmente italiano, che ha servito il Paese in compiti di radiomisure, guerra elettronica e trasporto aerosanitario e di personalità in tutti i contesti operativi per ben 40 anni di attività.
Nonostante le apparenze, l’esiguo numero di velivoli prodotti non vanificò lo sforzo fatto: il PD-808 è a tutt’oggi l’unico aviogetto commerciale sviluppato interamente in Italia, risultando quindi il passaggio fondamentale per poter sviluppare quella tecnologia che ha permesso proprio la nascita del P.180, che ha dato enormi soddisfazioni commerciali in tutto il mondo e che ha focalizzato l’attenzione internazionale sulle capacità ingegneristiche della nostra industria aerospaziale.
Oltre al legittimo desiderio di un maggior protezionismo industriale nazionale, atto a supportare efficacemente il mercato interno e a creare possibili opportunità di esportazione, le credenziali con cui si presenta, fatte di un secolo di attività su suolo italiano e di mezzo secolo di esperienza specifica nel pattugliamento aereo, offre la rara possibilità di offrire lavoro altamente qualificato a molti cervelli che non sono ancora scappati dall’Italia.
Oggi in italia abbiamo un nuovo governo che per metà “spinge” parecchio sui problemi della vigilanza sul territorio (soprattutto marino), e per la rimanente metà “spinge” sul rilancio delle nostre attività produttive “autoctone” e sui problemi di occupazione.
Questa è l’occasione per passare dalle parole ai fatti.
(foto: Piaggio / Airbus / Aeronautica Militare / U.S. Air Force / web)
1 Aeronautica Militare, Carabinieri, Esercito, Marina, Guardia di Finanza, Vigili del Fuoco, Protezione Civile