Ritorno al passato: il nuovo brevetto da incursore

(di Paolo Palumbo)
09/10/15

San Rossore, 6 ottobre 2015. Nel mondo militare i simboli acquistano un valore considerevole: essi sono utili ai soldati per costruire un senso di appartenenza e un accrescimento morale che li legherà per sempre al reparto. Le forze speciali non fanno eccezione: proprio in questo comparto, negli ultimi decenni, abbiamo osservato un apprezzabile incremento di nuovi disegni, riferiti principalmente, a missioni, distaccamenti o compagnie di appartenenza. Nessuno però, tra i corpi speciali al mondo, può vantare un emblema con una tradizione così antica come quello del 9° reggimento “Col Moschin”.

Dopo 70 anni dalla fine del secondo conflitto mondiale la daga tra fronde di quercia e alloro, simbolo degli Arditi, torna a decorare il braccio degli incursori, in luogo dell’ovale con l’aquila, il paracadute e l’ancora.

Dalla lama all’aquila

Nel 1917, poco dopo la loro costituzione a Sdricca di Manzano, gli Arditi dell’esercito iniziarono a distinguersi dagli altri reparti di fanteria, modificando la loro uniforme, rendendola più comoda e meno formale. A questa aggiunsero nuovi fregi tra i quali le mostrine a “fiamma nera” e il simbolo dei reparti d’assalto: la daga avvolta da foglie di alloro e quercia, sotto la cui guardia spiccava il motto sabaudo FERT. Nasceva così il distintivo ufficiale degli Arditi, la cui vista terrorizzò gli avversari austriaci sotterrati nelle loro trincee. Non appena terminata la guerra, quel piccolo scudetto a sfondo nero o grigio, guarnì il braccio del poeta Gabriele d’Annunzio accompagnato, nella sua impresa fiumana da molti ex combattenti delle unità d’assalto. Quel breve lasso di tempo coincise con un’ampia produzione di scudetti, quasi tutti “fai da te”, che riportavano lo stesso “ferro”, con l’aggiunta di un nuovo motto, “Fiume” oppure “Fiume o morte”.

L’avvento del fascismo e un’attenta propaganda, sfruttò a pieno le potenzialità della simbologia militare: gli squadristi, ad esempio, usarono svariati stemmi e gagliardetti appartenenti agli arditi. Un’appropriazione guidata non certo dalle medesime capacità militari, quanto da un’opportunistica convenienza e dal richiamo – questo più sensato – a quella parte di soldati che più subirono l’onta della “vittoria mutilata”.

Nel 1942 quel simbolo riacquistò la sua dignità marziale, ornando le uniformi del neocostituito X Arditi: unico degno rappresentante ed erede diretto delle Fiamme Nere. Dopo l’8 settembre 1943 i reparti speciali che aderirono alla Repubblica Sociale sfoggiarono una variante del medesimo simbolo: l’odiato motto sabaudo FERT venne, infatti, estinto, a favore del più patriottico ITALIA.

Con la fine del secondo conflitto mondiale non si parlò più di arditi, tantomeno di reparti speciali, almeno fino al 1952 quando un coraggioso tenente dei paracadutisti, Franco Falcone, diede inizio ad una nuova avventura con la formazione, al CMP di Viterbo, del Plotone Speciale. In quella circostanza la fantasiosa macchina della simbologia militare si rimise in moto, producendo una serie di fregi per i reparti sabotatori che riprendevano, in parte, la tradizione dei manipoli d’assalto. Il pezzetto di stoffa restò chiuso nel cassetto dei ricordi, ma venne audacemente reintrodotto il teschio dorato – neanche a dire malvisto da molti dello Stato Maggiore. Attenzione però, il nuovo stemma (che nel corso degli anni subì diverse modifiche) riassumeva sia la qualifica, sia l’immagine ufficiale del reparto: non esisteva dunque un distintivo di brevetto vero e proprio.

Un decreto del febbraio 1977 istituì per la prima volta il distintivo di specializzazione degli incursori: un ovale con l’aquila, l’ancora e il paracadute circondati da foglie di alloro e quercia. Una composizione grafica azzeccata che legava, in pochi elementi, il significato operativo degli incursori del Col Moschin. Ovviamente anche questa spilla, poi trasformata in patch con velcro adatta alle tonalità mimetiche, è stata oggetto di alcuni ritocchi sul cartiglio inferiore. Nel 2008, l’allora comandante di reparto, col. Giuseppe Faraglia, inoltrò le prime istanze per riappropriarsi del famoso FERT (conservando il motto sabaudo), non in quanto brevetto, ma più semplicemente come emblema del reggimento. Lo Stato Maggiore palesò qualche perplessità e al tempo non venne approvato ufficialmente. Intanto l’A.N.I.E., custode delle tradizioni dell’unità, si dotava del “FERT” quale suo legittimo simbolo associativo grazie ad una nuova veste grafica elaborata della paracadutista ANPd’I Barbara Frediani.

Un vecchio simbolo sui nuovi incursori

Finalmente, dal 6 ottobre 2015, gli incursori possono nuovamente ornarsi del loro antico fregio e i primi a farlo sono stati proprio i neo brevettati, appena usciti da un durissimo biennio di formazione. Alla presenza del sottocapo di Stato Maggiore, generale di corpo d’armata Giovan Battista Borrini, responsabile del comparto FS/FOS, del comandante del COI, gen. Marco Bertolini e del COMFOSE gen. Nicola Zanelli, il comandante di reparto col. Paolo Attilio Fortezza ha ufficializzato la definitiva assunzione del nuovo brevetto. Il nuovo stemma appare leggermente mutato dall’originale, ma la sostanza rimane intatta. Nelle allocuzioni precedenti la consegna, il comandante di reparto ha voluto sottolineare come il vecchio simbolo conservi sempre un valore di prim’ordine, non solo come distintivo di reggimento: tanti incursori hanno, infatti, compiuto sacrifici enormi per apporselo sul braccio e proprio a loro spetterà il compito di conservarne il ricordo e mantenerne alto il valore.

La cerimonia di consegna ha visto protagonisti gli ex sabotatori/incursori dell’A.N.I.E., i quali hanno apposto il nuovo ovale sul braccio sinistro dei neo brevettati. Due file distinte, una fronte all’altra: il sabotatore di ieri, con lo sguardo benevolo e fiero sul giovane incursore di oggi, ha consacrato, in un sol gesto, anni di duro lavoro. Due generazioni a confronto che riflettono valori, sacrifici e uno stile di vita che va ben oltre un piccolo pezzo di stoffa apposto sulla giacca. Le tradizioni militari si perpetrano di generazione in generazione, con la stessa intensità delle esperienze vissute sul campo: un soldato ignaro dei trascorsi del proprio reparto non potrà mai sviluppare quel senso di famiglia che caratterizza la vita di un reggimento, di qualsiasi specialità esso sia. Questa emozione è ancor più marcata nel 9°: pochi uomini, uniti e pronti ad affrontare qualsiasi circostanza con quel sentimento di intensa fratellanza che da sempre li contraddistingue.

Dopo la cerimonia i festeggiamenti sono proseguiti con un ottimo pranzo alla base addestramento incursori intitolata all’Ardito Ciro Scianna medaglia d’oro al valor militare.

Insieme ai tanti intervenuti, qualcuno, dall’alto, ha sollevato parimenti il suo calice insieme ai suoi Arditi: Giovanni Messe, gloria d’Italia, può dirsi certamente soddisfatto!

[Articolo pubblicato per gentile concessione del comandante del 9° rgt. par. d’ass. “Col Moschin”]

(foto: Viviana Cariola)