Ricordate il 18 marzo 2017 quando, all’aeroporto di Parigi Orly, l’attentatore Ziyed Ben Belgacem aggredì i militari di guardia e disarmò una soldatessa prima di venire ucciso? Ecco, a Roma Fiumicino, tanto per citare un aeroporto italiano, una cosa del genere non sarebbe accaduta in questi termini. A Fiumicino ci sono le squadre “laser”, che controllano dall’alto e sono pronte e in grado di intervenire in casi come questi: quindi, ipoteticamente, un fatto del genere potrebbe accadere anche da noi ma il terrorista verrebbe immediatamente neutralizzato e, soprattutto, non avrebbe modo di impadronirsi di nessuna arma. Queste squadre sono addestrate dagli uomini del Nocs (Nucleo operativo centrale di sicurezza), le forze speciali della nostra Polizia di Stato.
La loro base da 15 anni è a Spinaceto, alle porte di Roma, vicinissima all’aeroporto militare di Pratica di Mare. È intitolata all’ispettore Samuele Donatoni, il loro unico caduto durante un conflitto a fuoco nel tentativo di liberare l’imprenditore Giuseppe Soffiantini dai suoi rapitori. Il terreno era una palude sotto il livello del mare e le varie strutture poggiano su palafitte che scendono nel terreno per oltre 20 metri per dare solidità.
“Da qualche anno la base dei Nocs è questa”, spiega il comandante del Nucleo Andrea Mainardi, gentilissimo e guida davvero speciale al luogo. “La condividiamo con il centro polifunzionale per i concorsi e le visite mediche, al piano di sotto e con dei gruppi sportivi delle Fiamme Oro che si addestrano qui, nel centro sportivo, dove riescono a mantenere dei buoni livelli. Abbiamo varie discipline come il pugilato, il karate, la lotta, il nuoto da salvataggio, etc. Altri si addestrano a Tor di Quinto. Il complesso è grande, un ettaro di lunghezza, con un’area addestrativa dedicata dove si provano varie situazioni, dalle arrampicate alle irruzioni per salvare gli ostaggi. La parte centrale è adibita agli uffici, all’armeria e alle unità cinofile e, oltre la mensa, c’è tutto un complesso con piscina, palestra e campo sportivo.
Siamo in una specie di campus che non ha nessun altro in Italia, che tanti stranieri quando vengono in visita ci invidiano e anche con tanti problemi di gestione, essendo così grande ha bisogno di continue manutenzioni. Ma stiamo ancora bene e non possiamo lamentarci”.
Il Nocs ora è costituito da oltre 130 elementi, in attesa di introdurre altre persone, una 90ina gli operativi, divisi in squadre e un settore di logistica.
Gli operatori del Nucleo sono silenziosi e rapidi e hanno il volto coperto dal mephisto, come sempre fanno gli uomini delle forze speciali, qualunque sia l’Arma di appartenenza. Una vita difficile, perché se arriva una telefonata che segnala un’emergenza devi correre e lasciare quel che stai facendo, che sia un concerto, una festa di matrimonio, un appuntamento con la fidanzata. È maledettamente complicato avere anche una vita privata. Tutto questo lo si mette in conto, quando si sceglie la via della legalità e della sicurezza del Paese.
Dalla loro istituzione nel 1978, il nucleo speciale della polizia ha effettuato centinaia di azioni ed arresti, ma il suo nome è legato indissolubilmente alla liberazione, nel gennaio 1982 a Padova, del generale della Nato James lee Dozier rapito dalle Br, che quando torna in Italia non fa mai mancare una visita di saluto. Un ricordo tangibile di quelle liberazione è la bandiera rossa con la stella cerchiata, "bottino di guerra" che troneggia all’ingresso del piano dove sono gli uffici. Poi tutto il resto: dalla cattura di terroristi di Brigate rosse, Nuclei armati rivoluzionari Nar, Prima Linea, etc, alla liberazione del piccolo Augusto de Megni (foto) nel 1991 a quella, nel ’94, di 134 ostaggi su un aereo della Meridiana dirottato e fermo sulla pista dell’aeroporto Leonardo da Vinci di Roma Fiumicino. E ancora l’operazione Sfinge a Milano nel ’95, per smantellare una cellula di terroristi islamici fino agli interventi, in pieno centro abitato, per salvare persone tenute in ostaggio da squilibrati. Senza contare la sicurezza in caso di summit internazionali (insieme ad altri corpi speciali come i Gis dei carabinieri) o visite di presidenti stranieri.
Sono persone preparate, fisicamente e psicologicamente, si addestrano ad essere pronti interpretando il ruolo di ostaggi o terroristi, sono sommozzatori, paracadutisti, tiratori scelti e ogni disciplina viene perfezionata con altre unità speciali (le attività anfibie e marittime, ad esempio, con il Consubin della Marina). Operano anche con unità cinofile e tra cane e uomo c’è una simbiosi perfetta di amicizia.
Non è semplice diventare un operatore Nocs, perché l’attribuzione di quella qualifica è subordinata ad un articolato procedimento che prevede, in primis, il possesso di particolari requisiti come l’aver maturato almeno due anni di servizio in Polizia, il non aver superato il 31° anno di età, una vista di 10/10 e un’eccellente costituzione psicofisica stabilita da visite mediche ad hoc. Risultati idonei, si procede con le prove fisiche: 5mila metri nel tempo massimo di 20 minuti, 100 metri in 14 secondi, salto in lungo non inferiore a 4,5 metri, salto in alto non inferiore a 1,40 metri, salita con fune e pertica con le sole braccia, prova di acquaticità ed apnea. Chi supera le prove fisiche, può frequentare il corso di operatore Nocs, sei mesi altamente selettivi, perché mediamente il rapporto tra le domande presentate egli operatori giudicati idonei alla fine del periodo è nell’ordine di 1/10.
I corsi durano complessivamente due anni, l’ultimo step è l’addestramento nella base di Abbasanta in Sardegna e gli allievi sono osservati per l’equilibrio e le potenzialità su cui potranno specializzarsi.
Terminate le specializzazioni, si viene inseriti nei vari settori delle Squadre operative per azioni speciali, Soas.
Nel supporto operativo ci sono anche donne e, da due anni, una nelle Squadre operative, proveniente dalle Fiamme Oro, settore lotta libera.
Tra le armi in uso, arma individuale Beretta px4, arma lunga Hk mp5, lanciatori Milkor per fumogeni. Le auto sono di tutti i tipi, alcune blindate per i servizi più delicati, non di marche specifiche, dalle Volvo, Bmw, Audi, Fiat, Renault.
L’aver potuto visitare la base e parlare, contemporaneamente, con il comandante Andrea Mainardi (foto) e con Armando Silvestro (che fu gravemente ferito durante la liberazione dell’imprenditore Dante Belardinelli, rapito da una banda di sardi, ferite che gli hanno causato grandi danni ma ancora oggi è al lavoro seppur dietro una scrivania ed è un esempio per tutti), specialissima memoria storica dell’evoluzione del Nucleo (“vivo ancora da Nocs”, dice), è un ulteriore valore aggiunto di cui li ringraziamo, insieme alla Polizia di Stato per il permesso accordato.
Mainardi - Per me l’avere qui Armando Silvestro è uno scambio così bello, così utile… lo scambio è fondamentale.
Silvestro - Quando si arriva a un’idea, a una conclusione, non sempre siamo d’accordo nel definire una continuità ma con il confronto ci si riesce.
È un’emozione entrare nel sancta sanctorum dell’Antiterrorismo…
M - Dell’Unità speciale Antiterrorismo. L’“Antiterrorismo” vero e proprio, come è giusto che sia, viene adesso gestito dalla nostra direzione centrale ed è diventata un’unità di indagine coordinata sul territorio fatta con Intelligence. Noi dovremmo esserne il braccio “armato”.
Operativo?
M - Braccio operativo però estremo. La direzione centrale ha un suo servizio con sale operative sul territorio che fanno indagini, si spostano e vanno. Quando però si arriva a un livello estremo dovremmo intervenire noi.
S - Braccio “risolutivo”. C’è un momento in cui ci vuole un’azione risolutiva, nel senso che deve essere "conclusiva". Perché l’Antiterrorismo è fatta da Intelligence ma anche da tante altre cose. Noi siamo la conclusione di ogni cosa.
A volte si devono chiudere cose che altri hanno gestito diversamente. Il personale investigativo sarebbe in grado, ma non è addestrato adeguatamente. Perché un intervento che ha a che fare con la liberazione di ostaggi in luoghi particolari, ha bisogno di un forte addestramento, di una conoscenza delle tecniche, di strumenti, armi e non solo, che gli altri comprendono ma non in maniera così approfondita da poterli utilizzare nel momento opportuno.
E sono cose che anche un operatore che conosce i nostri strumenti, che sembrano semplici, li deve provare e in ogni situazione, li deve conoscere. Perché gli strumenti servono. Però se non si capisce il loro fine, se non si dispone della necessaria competenza tecnica, si rischia che diventino nulli ed è anche una spesa inutile. Lo strumento, per servire, deve essere studiato bene, ci si deve addestrare bene nel suo uso, portato a servire per l’esigenza richiesta, altrimenti non ha senso. Tutte le spese sono fatte per questo fine.
Soprattutto in un periodo di sempre maggiore spending review…
M - Noi siamo un po’ privilegiati, in quanto c’è un’attenzione particolare per quel che trattiamo e siamo un numero abbastanza contenuto. Quindi è più facile poter servire e dare il massimo.
Come entrano i ragazzi al Nocs?
M - Ogni tanto si avvia un corso per introdurre nuovi elementi. Il rapporto è uno a otto ma anche uno a dieci. Nell’ultimo corso istituito, su 120 domande, in 9 hanno superato le selezioni. Se partiamo dalla prima selezione, in genere dalla prima scrematura ne arriva un terzo che, tra test psicologici e fisici, viene scartato di un altro terzo. Diciamo che, al corso basico, ne arrivano una quindicina. E al basico qualcun altro viene eliminato o se ne va da solo per vari motivi e, quindi, dai cento di partenza ne arrivano in dieci. E poi c’è l’ultimo scoglio, quello della nostra base di Abbasanta in Sardegna, dove fanno veri addestramenti in mezzo alla campagna. E dove parecchi, anche lì, abbandonano.
Anche voi Nocs avete il problema di pochi giovani fra le vostre fila, come accade per le Forze Armate?
M - Ogni anno, massimo due, si cerca di introdurre dei ragazzi nuovi per non invecchiare troppo il reparto. Ma oggi è invecchiata proprio la polizia, genericamente, perché abbiamo avuto il problema di poche immissioni negli ultimi anni, quindi il livello dell’età media sale anche in un reparto speciale come il nostro. È vero che conta relativamente, ho gente sopra i 50 anni che si addestra come un vero e proprio Highlander.
S - Dobbiamo anche dire che, con il nostro addestramento, la gente che rimane riesce a tenersi giovane ben oltre i 50 anni.
Quanti siete in totale?
M - Siamo intorno ai 140 con i nuovi ragazzi che abbiamo formato nel 2017. Tra gli 80 e i 90 sono operativi e poi ci sono gli altri, che non li chiamerei logistici, perché il logistico non esiste, è una terminologia usata anche qua ma non mi piace…
S - Più che chiamarla logistica, parlerei di risorse umane, mezzi e strumenti: sono le tre cose che servono per un intervento speciale. Senza mezzi non si va da nessuna parte e senza strumenti non si perfeziona l’azione. È il fine. La distinzione “logistica” è solo perché non fanno addestramenti operativi di base, ma fanno comunque parte dei reparti speciali perché concorrono alla risoluzione e per la loro competenza, nel campo strumentale, tecnologico e dei mezzi.
M - Io con Armando Silvestro mi trovo bene perché lui dice di appartenere al passato, invece è il più trasversale in assoluto, le sue idee sono le più moderne. Il bello di Armando è che si rimette in discussione continuamente e le migliori iniziative in questi ultimi anni le ho avute da lui. Con lui abbiamo creato delle cose di cui vado orgoglioso e di cui lo devo ringraziare.
Che tipo di iniziative?
M - Parlavamo prima del supporto operativo che necessita di un supporto “logistico”. Tante volte la formazione viene privilegiata per gli operatori, quelli che, di fatto, intervengono. Non si era pensato però che anche la parte non operativa, dall’economato agli autisti, era personale che lavorava ma non veniva addestrato in maniera continuativa. Grazie ad Armando abbiamo creato dei moduli specifici anche per le persone non necessariamente di primo livello operativo ma che erano in grado di esserlo. Perché, si è detto, se succede che cade un fucile o viene abbattuto uno in prima linea, è importante che si possa prendere quel fucile e intervenire allo stesso modo dalla seconda linea…
S - In breve, ogni situazione crea un teatro operativo e, tornando a quel che ho detto prima su uomini,mezzi e strumenti, chi sta in quel contesto come minimo deve conoscere come muoversi, anche per non rischiare inutilmente la vita. Sono cose fondamentali, tutti devono conoscere le procedure di intervento e come si opera. Solo così si può stare in un teatro operativo e in certo modo, altrimenti si rischia solo di fare danno. Il contesto è teatro operativo. Ci si deve muovere in sincrono, come in una coreografia di ballo.
Il Nocs è nato in un momento difficile per l’Italia e non solo…
M - I reparti speciali delle forze di polizia in Italia sono due, l’altro è il Gis del carabinieri. E nascono quando l’Europa viene attaccata, parliamo dei fatti di Monaco del 1972 (v.articolo), quando terroristi palestinesi di Settembre Nero prendono in ostaggio gli atleti israeliani nel villaggio olimpico uccidendone undici: l’Europa intera si trova sguarnita perché i reparti speciali non esistono, Israele cerca di intervenire proponendo l'invio di una loro squadra speciale, i tedeschi rifiutano e quel che accade è cosa nota... Da lì, a livello europeo, si comincia a costruire una base per avere degli operatori che siano non più bravi ma più qualificati di altri normali poliziotti, per far fronte a un attacco di tipo anche militare o comunque molto forte. Per quanto riguarda l’Italia, arriviamo agli anni del sequestro Moro: prima avevamo le "Squadre Anticommando", un embrione di quel che poi Francesco Cossiga, allora ministro dell’Interno ha creato, cioè Nocs per la Polizia di Stato e Gis per l’Arma dei Carabinieri.
S - Solo per cultura, altrimenti si va troppo indietro nel tempo: l’Anticommando lo ha creato il prefetto Emilio Santillo nel 1974, con il primo Ispettorato generale per l’azione contro il terrorismo, dopo il rapimento del giudice Mario Sossi e altri episodi. C’erano state delle perdite tra gli uomini che lottavano contro i terroristi, così Santillo creò una squadra, l’Anticommando appunto, per poter affrontare quei problemi. La squadra ha operato contro i Nap (Nuclei armati proletari, ndr), i Nar (Nuclei armati rivoluzionari) e così via… Poi nel ’78, come diceva il comandante, con il presidente Cossiga e con la riforma dei Servizi di Sicurezza si crea l’Ucigos, centrale e il Nocs come squadra antiterrorismo all’interno dello stesso Ucigos, dal decreto del ’78 che prevedeva, anche, che tutti gli strumenti e uomini passassero al Nocs. Il focus delle azioni, in quei tempi, sono stati il sequestro Moro fino alla cattura dei latitanti, l’accompagnamento dei pentiti, ora chiamati "collaboratori di giustizia" e così via.
L’Italia si accorse che esisteva il Nocs con la liberazione del generale della Nato James Lee Dozier, rapito dalle brigate rosse ormai 36 anni fa…
M - L’Italia e il mondo. Il generale Dozier viene spesso alle commemorazioni di quell’evento.
S - C’è stato uno spartiacque dal rapimento di Dozier e l’intervento per liberarlo, perché è sembrata una cosa da nulla ma si è trattato di un vero e proprio intervento pianificato in ogni dettaglio. C’erano gli occhi del mondo a osservare l’Italia, gli Stati Uniti che ci tenevano sotto pressione. Possiamo dire che è stata un’irruzione con i tempi normali fatta da gente che non ha perso la testa nonostante le pressioni, che è entrata e in pochi minuti ha risolto la situazione, ha liberato il generale e catturato chi era dentro.
M - È importante che passi l’idea che l’impunità non esiste. Questa è una struttura come le altre della Polizia di Stato. Tutto quel che si è fatto è avvenuto dentro l’ambito di legge. Poi è ovvio che si usano mezzi straordinari, ma è comparato con l’evento per cui si opera.
Leggi la seconda parte: Sicut Nox Silentes, "Silenziosi come la notte": nella base del N.O.C.S. - antiterrorismo e controllo del territorio
(foto: Nocs / autore / web)