Torna a casa Charlie Brown: un'incredibile storia di guerra e coraggio

(di Davide Bartoccini)
01/10/16

A filo degli alberi una 'Fortezza volante', sperduta e senza un motore, raddrizza in fretta la barra per evitare lo schianto. Arrancando, crivellata dai colpi della caccia e della flak (contraerea, ndr), tenta di scappare verso la sua salvezza. La formazione alla quale apparteneva, diretta a bombardare la città di Brema il 20 dicembre del 1943, era stata dispersa da "banditi" (velivoli nemici, ndr) insieme a tutto il resto del 379th Bomber Group USAAF del quale era parte.

Il nostro B-17 F, soprannominato Ye Olde Pub, è comandato dal lt. Charles "Charlie" Brown e, già al decollo, sapeva che non se la sarebbe passata facile quel giorno: doveva volare tutto a destra della grossa formazione... proprio lì, nel cosiddetto 'Purple Heart Corner' (posizione più esposta e rischiosa, ndr). Minuti prima, appena in procinto dell'obiettivo, la flak aveva dato il consueto benvenuto alla formazione di bombardieri dell'8th Air Force, e una formazione mista di BF-109 e Fw190 era piombata agli angoli della formazione con il sole alle spalle. Lo Ye Olde Pub era stato investito da raffiche di shrapnel; la parte sinistra in breve si era ridotta a un colabrodo, 3 dei mitraglieri gravemente feriti e il mitragliere di coda, "Ecky" Eckenrode, era morto.

La formazione è rotta. Ognuno per se. Il motore 1 va in fiamme, e le due browning 12,7 pendono fisse, senza vita e silenziose: è questione di tempo prime che qualche 109 se ne accorga e gli ripiombi addosso, magari proprio dalla coda. Bisogna levarsi di torno e alla svelta. A bordo sono tutti feriti. Brown è stato ferito alla spalla e fa la spola portando a tutti siringhe di morfina, mentre il co-pilota,"Pinky" Luke, porta l'aereo fuori dalla formazione. L'impianto dell'ossigeno non va, perde: è stato danneggiato dalle raffiche, e Charlie Brown respira a fatica quando riprende il comando. Sviene e l'aereo va giù. Il B-17 va giù a spirale, e il motore si spegne. I caccia tedeschi lasciano la preda dandola per spacciata e si rigettano sul branco.

La luce negli occhi di Brown si riaccende con una boccata di ossigeno; tira la maniglia e sfila gli alberi tinti di neve. È solo. Non appena si sente pronto prende un di coraggio e con esso un po' di quota, ma ad aspettarlo c'è un BF-109 G-6 del JG/27. Ha un 2 giallo sul fianco e due cunette, ai suoi comandi c'è un asso con 22 abbattimenti confermati e guadagnati su tutti i fronti che la guerra ha visto: Europa, Africa, Russia. Si chiama Stigler, oberleutnant Franz Stigler, ed è in attesa di una croce di cavaliere da appendere al suo collo. Anche Stigler è rimasto solo; si mette in coda aspettando di essere investito da una raffica di traccianti sparati delle mitragliatrici di coda, poi da quelle delle torretta dorsale, e poi, in base al suo lato fortunato, anche dalla mitragliatrice di sinistra o di destra. Non sarà una passeggiata, ma lo vuole buttare giù quel portabombe che ormai da mesi infiamma la Germania. Vale la croce di cavaliere. Salverà la vita di qualcuno. Stigler si avvicina ma non succede nulla.

Da quei due tubi neri, bucherellati per il raffreddamento ad aria, non esce niente; non si muovono, non gli sparano. Si avvicina ancora e solo allora si accorge dell'entità dei danni. C'è uno squarcio: è talmente grosso da guardaci dentro, vede il sangue sull'equipaggio. Altri squarci, qua e là, non sono da meno: quell'aereo vola appeso a un filo. Nella sua mente riecheggiano le parole del suo capo squadriglia in Nord Africa, Gustav Rödel, "Se mai vedrò, o sentirò di qualcuno di voi che ha sparato ad un uomo con il paracadute, gli sparerò io stesso".

Stigler pensa o non pensa, si avvicina ancora e si affianca alla cabina di pilotaggio. Brown, che immaginava si trattasse di una perfida caccia al topo, che si aspettava una raffica mortale da un momento all'altro, non crede ai suoi occhi. Il pilota del caccia con la svastica inclinata saluta e gesticola. Lui non può capire che gli sta indicando la rotta per la Svezia, non occupata e più vicina dell'Inghilterra, quindi prosegue per la sua rotta a fatica. Tira dritto per l'Inghilterra Brown, ogni tanto perde si sensi, sviene; poi quando riapre gli occhi si volta e vede ancora lì quell'incauto angelo custode che gli vola accanto, che non gli ha ancora dato il colpo di grazia per farlo cadere in pezzi. Oramai sono sul Mare del Nord, in mare aperto. Stigler segue come una scorta premurosa, pensa al rischio di incontrare una squadriglia di caccia alleati che sta rientrando, o qualche formazione in pattuglia, ma prosegue.

Quando intravede l'Inghilterra capisce che sta davvero rischiando la pelle, e che la strada per tornare a casa è lunga e solitaria. Prima di essere spacciato si riaccosta alla cabina del bombardiere, cerca lo sguardo del pilota e quando lo trova gli fa un cenno: un addio e una buona fortuna. Poi sparisce in una cabrata.

Brown ha percorso 250 miglia quando poggia il ventre sguarciato sulla prato della base RAF di Seething, da dove era decollato. Atterra e porta tutti a casa per Natale. Solo "Ecky" Eckenrode non ce l'ha fatta. Gli altri 8 sono tutti salvi. Sopravviverà alla guerra e tornerà in West Virginia. Dopo essere stato al college tornerà a provare il brivido del volo, servendo l'USAF in Laos (...) e Vietnam. Si congederà nel 1972.

Anche Stigler sopravviverà alla guerra, con ben 400 missioni portate a termine come pilota da caccia. Nel 1953 sbarca in Canada per diventare un imprenditore di grande successo.

Nessuno dei due, durante il conflitto tra Germania e Stati Uniti, farà parola dell'accaduto: Stigler avrebbe rischiato le ali, o peggio la corte marziale, Brown che i suoi commilitoni confidassero nella pietà dei loro avversari e morissero ancora più velocemente. Negli anni Brown pensò spesso che in realtà ciò che gli era accaduto fosse frutto di un'allucinazione, un'idea prodotta dalla sua mente mentre era intontito per la mancanza di ossigeno. Anni dopo però, nel 1986, la sua mente continuava a pensare incessantemente a quel 2 giallo, così scrisse una lettera per cercare il pilota che forse nei suoi sogni gli aveva reso salva la vita. Stigler la lesse e rispose: "Sono stato io".

Nel 1990 i due si incontrarono e rimasero amici fino il 2008, quando la morte li trovò, uno a pochi mesi dall'altro. Se qualcuno stesse ancora cercando il senso della parola cavalleria forse può trovarlo qui, nelle gesta di Franz Stigler. Il tenente Brown invece, la sua risposta finalmente l'ha trovata.

Era tutto vero Charlie, non era colpa dell'ossigeno rarefatto, non era stato un sogno, i cavalieri dell'aria esistono: volano ad un palmo da te, e sussurrano "torna a casa" dietro al vetro blindato di 109. Torna a casa Charlie Brown!

(foto: web / Bundesarchiv)