Tuscania: l'Arma perfetta (2 parte)

(di Giusy Federici)
28/06/17

La partenza è dalla caserma Vannucci di Livorno, dove i carabinieri paracadutisti del primo reggimento Tuscania hanno la base. Da qui partono i ragazzi del corso esploratori quando, dopo la teoria e e i test fisici e attitudinali si confrontano con le altrettanto difficili prove pratiche. Li abbiamo seguiti per qualche giorno, li abbiamo visti mimetizzati tra i boschi, nelle varie ed estremamente realistiche simulazioni, dall’attacco ai blindati al trasporto dei feriti. Stremati dalla fatica non mollano, tra interdizione e controinterdizione. E noi su e giù con fuoristrada insieme agli istruttori che si danno il cambio, portano rifornimenti e commentano l’iter addestrativo e la risposta ai tipi di stress: dal muoversi in ambiente non conosciuto nonostante la pianificazione sul territorio fatta in aula prima di muoversi, all’umidità delle notti passate all’aperto, alla privazione del sonno.

Imparano ad avanzare in silenzio, studiano i vari atti tattici basandosi sull’elemento sorpresa, riescono a muoversi tra le case e i centri abitati come tra la boscaglia, ad aspettare pazientemente l’elicottero che porta rifornimenti e a fare presto nel rientrare tra il fogliame, per non essere intercettati dalla controinterdizione. E questo è ancora niente, perché poi sarà la volta dei corsi di sopravvivenza, della cattura, degli interrogatori, della fuga. Il tutto simulato in maniera credibile, perché è quel che potrebbe accadere in una missione e non necessariamente in area di crisi all’estero. Bisogna essere preparati: per sé stessi, per la squadra e per gli eventuali civili sempre da proteggere. Se supera il corso, il carabiniere paracadutista transita nel Battaglione, dove tra le attività operative si specializza ulteriormente nell’aviolancio con la tecnica della caduta libera, nel tiro avanzato con armi di reparto ed individuali, nell’impiego di materiali speciali e nelle varie tecniche di combattimento.

Il corso per esploratori del Tuscania avviene attraverso il superamento di pacchetti addestrativi. Tra questi, quello che prepara alla gestione dei feriti, al loro trasporto, alla loro messa in sicurezza, sempre in modo tattico, nascosto, per evitare la compromissione con gli elementi in controinterdizione. Andando sul tecnico, come è strutturato, dall’interno, questo tipo di esercitazione?

Dopo l’atto tattico, attacco e difesa, si simula anche l’eventuale ferimento di qualcuno e a volte accade davvero che ci si possa far male. Se ci sono feriti, questi devono essere evacuati, con la procedura definita Medevac/Casevac (medical evacuation/casualty evacuation: il personale, cioè, deve essere comunque stabilizzato dall’unità che sta affrontando l’attività e, successivamente, estratto dalla zona per essere trattato in maniera corretta, in un contesto medico adeguato. Ci sono delle modulistiche da fornire al comando superiore, ci sono indicazioni che vengono date al personale medico che riceve il ferito e, dopo questo, se si ritiene che ci siano ancora i presupposti, si dà per scontato che il gruppo continui la missione” , spiega il maresciallo del reggimento Tuscania Paolo Donati, durante il tragitto verso uno dei luoghi di esercitazione degli allievi esploratori.

Anche la controinterdizione ha un ruolo fondamentale. Ognuno opera sulla scorta di un ordine di operazione, che siano le forze “amiche” come quelle “nemiche”: si tratta di una grossa esercitazione che va coordinata, dove in interdizione abbiamo l’unità addestrata degli allievi con istruttore al seguito e una serie di atti tattici da compiere. Mentre, in controinterdizione, abbiamo personale già effettivo al reggimento, che ha ricevuto un ordine di operazione per la difesa di un territorio e di obiettivi sensibili, che devono essere in qualche modo protetti dall’azione aggressiva di questi allievi infiltrati”.

È stato fatto comunque uno studio attento del territorio e delle incognite, da parte di entrambi i gruppi?

Chiaramente, nessuno conosce l’ordine di operazione dell’altro, si conoscono i dati salienti, le forze in controinterdizione devono assolutamente fare un’analisi della missione, come hanno fatto i nostri allievi prima di essere mandati in esercitazione. La missione comporta una serie di valutazioni su quelle che sono le variabili operative, gli aspetti politici, militari, economici, delle infrastrutture e poi, andando più nel tattico, si parla di analisi della missione, del nemico, delle truppe amiche, del tempo a disposizione, delle valutazioni sulla presenza dei civili, etc. Si studia anche il terreno e ogni suo aspetto, dall'osservazione e campi di fuoco, al tempo atmosferico, agli ostacoli che vi si possono trovare, alle cosiddette linee di avvicinamento ad un dato obiettivo, ai terreni chiave etc.

È un’ analisi della missione che fanno entrambi i gruppi e la controinterdizione interviene avendo ben precisi gli obiettivi che devono essere protetti e tutelati mentre cerca, contemporaneamente, le forze avversarie. Si considerano tutte le ipotesi, cercando di disporsi sul terreno in modo adeguato per riuscire nell’intento . È chiaro che più forze in controinterdizione ho a disposizione, più posso permettermi il lusso di distribuirle in maniera varia e diversificata. Al contrario, con meno forze su cui poter contare, devo studiare ancora più attentamente il terreno e le altre variabili della missione, per cercare di capire quello che sarà il modus operandi dei nostri allievi. Ad esempio, posso impiegare forze che si dispongano staticamente sul terreno, lungo quegli itinerari che, dall’analisi della missione, risultino favorevoli per la cattura delle forze in opposizione. Il metodo è dell'osservazione, allarme e successiva cattura. Soprattutto di notte.

Un’altra modalità che la controinterdizione usa è quella dei movimenti dinamici: può cioè muoversi su mezzi,con delle pattuglie strutturate in maniera analoga a quelle di interdizione, ma con task specifici per la loro cattura. Diciamo che, entrambe le realtà, sono dentro un’esercitazione che ha la visione complessiva delle cose: anche le forze di interdizione hanno a loro volta una staff che pianifica, prepara e poi esegue questo tipo di attività.

Questo tipo di esercitazione serve sia sul territorio nazionale che in missione all’estero?

Sicuramente non sono esercitazioni da tutti i giorni. Ma sono la base comune di forze di un certo livello. Ad un certo punto della preparazione di un'unita militare, si mettono a sistema vari aspetti dei princìpi militari. Il fine è operare in vari ambienti articolati e complessi, dove la tecnologia aiuta fino ad un certo punto e serve presenza di personale addestrato e il valore umano è cruciale.

Si mettono in evidenza capacità di comando e controllo, di comunicazione, di gestione computer e di informazioni, nonché di pianificazione. I processi decisionali sono fondamentali, come i piani di contingenza e di emergenza. Si tratta di tutta una serie di princìpi che vengono poi chiamati in causa quando si ha uno sforzo prolungato nel tempo, con una non immediata disponibilità di risorse, dove è necessario mantenere un certo grado di “occultezza”.

In questi casi, anche un semplice piano di alimentazione del personale o delle batterie per comunicare via radio non deve essere dato per scontato, ma pianificato accuratamente. L’orientamento, la capacità di sostenere la deprivazione da sonno come da cibo, fanno tutti parte di una forma mentis che, tornando alla sua domanda, rende in grado di muoversi in territori difficili e, in ambito internazionale, riuscire ad operare in zone remote.

Quello che è importante sottolineare, in questo tipo di attività, sono le fasi preparatorie prima dell’azione, cioè la pianificazione accurata, che abitua a cercare di limitare quelli che sono i rischi che militarmente si affronteranno nel nostro tipo di lavoro. Rischi che devono essere valutati, qualificati ed eventualmente accettati, secondo i casi.

Ad ogni livello del personale che è inserito nell’unità addestrata, c’è sicuramente la resistenza a un certo tipo di stress psico-fisico, molto impegnativo da gestire quando viene prolungato a lungo.

Poi, analizzando il tipo di azione compiuta,, si deve valutare sempre cosa doveva succedere e cosa è successo realmente, quali sono i lati positivi e quelli negativi. Anche in fase di addestramento, dal punto di vista didattico, è molto importante sottolineare anche gli aspetti positivi delle azioni del personale addestrato. C’è sempre crescita, c’è sempre consapevolezza che si può migliorare .

La missione, in qualunque teatro operativo, è dunque un qualcosa che va pianificato secondo criteri non solo strategici ma anche psicologici, all’insegna del problem solving, di cui fa parte anche la gestione dello stress?

Lo studio è rivolto al cosiddetto operational environment (ambiente operativo), composto da vari aspetti: politico, militare, economico, sociale, di infrastrutture, etc. Si ha così una panoramica a livello strategico/operativo di quello che è l’operational environment e tutto questo serve ad avere una visione omnicomprensiva e mantenere la situazione sotto controllo.

Si devono considerare tutti gli aspetti legati alla missione e alle sue variabili, che sono la missione stessa, gli elementi che la compongono, le truppe, il tempo a disposizione e le considerazioni sui civili. Il centro di gravità del tutto è dato, giustamente, dalla popolazione civile. Lo stesso territorio, a sua volta si caratterizza con vari aspetti, che abbiamo gia menzionato, dalle sue possibilità di osservazione e campi di fuoco, dalla copertura ed occultamento, dagli ostacoli che posso trovare, come una diga, montagne poco accessibili , un fiume. E non è detto che siano segnati sulla mappa.

Qui apro una parentesi: con la pianificazione, ovviamente si analizza ogni aspetto, considerando che potrebbero esserci dei cambiamenti da attuare all’improvviso. La missione diventa definitiva solo quando si è raggiunge l’obiettivo, inteso come target, perché solo con la visione diretta dello stesso, si confermano o meno le ipotesi emerse in precedenza.

Quel che si è visto su una cartina o su un’immagine satellitare, eventualmente si corregge e si integra sul campo. Il tutto sempre seguendo anche i “terreni chiave”: un’altura, una collina, un ponte, sono tutti aspetti che riguardano il terreno, così come, a livello strategico, possono essere una strada, un aeroporto, qualsiasi tipo di viabilità e, nell’ambito ancora più tattico, un sentiero, una strada carraia, qualcosa di marittimo, oppure sotterraneo, dall’alto, etc. L’analisi della missione, ad esempio, può portare al lancio dei paracadutisti, con la tecnica della caduta libera oppure con fune di vincolo.

Quindi, il lancio dei paracadutisti in missione è parte integrante dell’analisi, che però viene valutata sul momento se metterla in pratica o no?

Dipende quale sia la situazione che richiede questo tipo di professionalità. Nella guerra del Golfo, in Iraq, i paracadutisti americani si sono lanciati ma c’erano certi presupposti. E dipende dal tipo di valutazione sulle forze nemiche, dal numerico, da che tipo di manovra viene attuata sul terreno, etc.

Dopo le considerazioni sul tipo di terreno, c’è il secondo step di pianificazione, le valutazioni sul tempo atmosferico, che hanno una grossa influenza sulle operazioni: precipitazioni, visibilità, crepuscolo, umidità, velocita del vento. Sono tutte cose che devono essere prese in esame, in un livello strategico/operativo che non è il nostro, perché il livello strategico è al di sopra del livello di brigata che invece, pur essendo grande unità, non esprime un livello strategico ed operativo bensì tattico, al contrario di quel che si possa pensare. Noi, quando svolgiamo questo tipo di attività, dobbiamo tener presente tutti questi fattori.

Però aldilà della pianificazione c’è anche il fattore “incognita”, che non si può escludere. Quanto pesa nella valutazione?

Qui si torna a quello che è il prevedere le eventualità che si possono manifestare. La valutazione di questo tipo di problema deve essere integrato nel proprio processo di pianificazione. Bisogna, cioè, considerare tutte quelle evenienze che possono incidere sull’attività e valutare come si potrebbero presentare, facendo in modo di moderarle. Per chiarire: “Nel caso che il problema A si verifichi, cosa posso adottare come contromisura per attenuarlo?”. Da un lato, ho come ipotesi la gravità di un fatto e dall’altro la probabilità che si verifichi: ascissa e ordinata, che mi forniscono un risultato su cui io poi posso focalizzare più o meno l’attenzione e sottoporlo al Comando superiore. E, comunque, per un livello tattico come quello che è adesso in campo (il corso per esploratori, ndr) abbiamo del personale che viene scelto per affrontare certi aspetti della pianificazione che, messi in evidenza, danno un risultato la cui decisione finale è comunque sempre presa dal comandante.

Le cosiddette “aree di interesse nominate" , sono ad esempio aree geografiche dove, se verifico la presenza del nemico, arriva anche la conferma di certe ipotesi sul nemico stesso e sul suo comportamento, più probabile e più pericoloso. Lo identifico e posso cercare di capire preventivamente una situazione sul terreno. È un’attività che prima viene pianificata in ogni aspetto e poi si parte per la missione vera e propria. In un ciclo che è continuo e dove ci si deve occupare di tutte queste fasi in ogni istante.

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L’autrice e la direzione di Difesa Online ringraziano, per la disponibilità, il supporto e i consigli ricevuti, il Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri, il comandante del reggimento Tuscania col. Francesco Marra, il comandante del reparto addestrativo Tuscania ten. col. Neil Dario, il magg. Andrea Corinaldesi dell’ufficio stampa del Comando Generale, il magg. Massimiliano Bolis dell’ufficio O.A.I. del Tuscania, tutti gli istruttori e gli uomini del reggimento che, a vario titolo, hanno permesso la realizzazione del servizio.

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