Viktor Orbán: l'uomo che ha soggiogato i magiari

(di Andrea Gaspardo)
21/07/22

Mentre il mondo intero, e l'Europa in particolare, continuano ad avere gli occhi puntati sugli sviluppi della Guerra Russo-Ucraina, nel cuore del Vecchio Continente, al centro della Mitteleuropa, da dodici anni a questa parte si sta consumando una crisi a bassa intensità che ha ormai trasformato uno dei bastioni geopolitici della stabilità regionale, l'Ungheria, in un focolaio di attività pericoloso per la pace europea e mondiale.

Prima però di parlare in maniera dettagliata delle linee di “faglia sismica” che stanno attraversando lo stato magiaro ed il suo popolo, è necessario dedicare la corrente analisi allo studio dell'uomo che, più di ogni altro, ha segnato la politica sia interna che estera dell'Ungheria nel corso degli ultimi trent'anni, plasmandola letteralmente a sua immagine e somiglianza: il leader del partito Fidesz e primo ministro Viktor Mihály Orbán.

Nato il 31 di maggio del 1963 in una famiglia rurale di modeste origini, Orbán è consecutivamente al potere dal 2010. In questo arco temporale ha a tutti gli effetti riformato la giovane democrazia magiara in quella che egli stesso ha eufemisticamente definito “una democrazia illiberale” creando al contempo un sistema bel oliato per rimanere al potere, rafforzando le intese strategiche con gli Stati Uniti ed Israele ma allo stesso tempo anche con la Russia, la Cina e la Turchia, e sfidando apertamente in più di un'occasione le istituzioni dell'Unione Europea.

Il suo scopo dichiarato è quello di creare un'alternativa alla democrazia intesa nel suo senso “occidentale” e, per il momento, la sua strategia pare stia funzionando. La cosa sarebbe paradossale se non fosse che egli deve proprio alla democrazia la ragione del suo iniziale successo come uomo politico.

Il giovane Viktor salì alla ribalta della politica nel suo paese natale il 16 giugno del 1989, all'età di 26 anni, nel pieno della crisi del regime comunista magiaro, quando in occasione della celebrazione pubblica tenutasi sulla Hősök tere (letteralmente “la Piazza degli Eroi”) per commemorare la risepoltura di Imre Nagy, eroe della Rivoluzione del 1956, si espresse pubblicamente in favore dell'organizzazione di libere elezioni e per il ritiro delle truppe sovietiche di stanza in Ungheria.

Le sue parole non rimasero lettera morta perché il 23 ottobre dello stesso anno, la Repubblica Popolare d'Ungheria venne ufficialmente dissolta e due anni dopo, alla vigilia della disintegrazione dell'URSS, le ultime truppe dell'Armata Rossa lasciarono il paese.

La successiva transizione dell'Ungheria da un sistema di gestione politico-sociale-economica di stampo socialista ad uno capitalista fu brutale sia per la società che per l'economia. La perdita sia del posto di lavoro che di ogni paracadute sociale che afflisse la vita dei cittadini fu accompagnata da un'esplosione del debito sovrano. Per tentare di alleviare la situazione, il governo iniziò (come avveniva d'altronde nel resto dei paesi ex-comunisti) e privatizzare a prezzi di saldo gli asset statali i quali finirono irrimediabilmente nelle mani di loschi uomini d'affari con importanti connessioni politiche.

Già nel 1988, accompagnato da un manipolo di amici poi diventati suoi fedelissimi nel corso degli anni, Orbán aveva fondato il partito di tendenze liberali Fidesz con il quale aveva partecipato alle prime elezioni democratiche della storia del paese, racimolando però un misero 6%, soglia minima per accedere all'Assemblea Nazionale. Ben presto però l'abile tattico individuò per sé e per i suoi uomini la possibilità di espandere la sua base elettorale a destra, là dove il sistema politico nazionale del tempo risultava particolarmente debole e frastagliato. La mossa si rivelò azzeccata dato che nelle successive elezioni le percentuali di voti ed i seggi di rappresentanza continuarono ad aumentare.

Nel 1998 egli riuscì a diventare per la prima volta primo ministro, sovrintendendo successivamente l'accesso dell'Ungheria alla NATO nel 1999 e la sua partecipazione alla Guerra del Kosovo al fianco dell'Alleanza Atlantica, e gettando le basi per l'accesso dell'Ungheria nell'Unione Europea. Nonostante questi ed altri relativi successi, le elezioni del 2002 e del 2006 si conclusero in altrettante sconfitte per Fidesz, che venne relegata all'opposizione; un'umiliazione che ha reso Orbán, se possibile, ancora più iroso ed “avvinghiato” alle logiche del potere.

A questo punto la conversione al campo nazionalista si compì definitivamente ed egli divenne il nemico numero uno del Partito Socialista al potere.

Nel frattempo, nel 2006, l'Ungheria aderì all'Unione Europea e questo comportò un massiccio trasferimento di capitali ed investimenti sia istituzionali che privati che funsero da volano per l'economia nazionale. A quel tempo si pensava che questo afflusso di denaro avrebbe contribuito a rendere più forti e stabili le fondamenta della giovane democrazia magiara, tuttavia dopo lo scandalo e le proteste seguite al famigerato “discorso di Őszöd”, nel corso del quale l'allora primo ministro e leader del Partito Socialista, Ferenc Gyurcsány, ammise di fronte ad una platea ristretta del partito che il paese era in mano alla corruzione ed alla cronica inefficienza istituzionale, Orbán riuscì velocemente a riguadagnare le posizioni ed il consenso che aveva perduto, trionfando alle elezioni del 2010 e conquistando, complice la legge elettorale del paese, una super maggioranza parlamentare del 67% che gli permise da quel momento di fare e disfare le leggi a suo piacimento.

Come prima cosa egli fece riscrivere la costituzione sancendo così al più alto livello i valori dell'agenda conservatrice del suo partito, aggiungendo riferimenti espliciti alle fondamenta cristiane del paese e consolidando il suo potere. Dopodiché passò a modificare la legge elettorale dando il diritto di voto ai magiari etnici residenti nei territori dell'Ungheria storica ed assicurandosi il loro appoggio grazie ad un mix di trasferimenti economici e “cesarismo politico”.

Il passo successivo fu il taglio del numero dei componenti dell'Assemblea Nazionale manipolando allo stesso tempo la suddivisione dei distretti elettorali per favorire i candidati del suo partito e sostituendo al contempo il sistema basato sul doppio turno con uno centrato invece su un unico turno secco dando in tal modo il vantaggio al partito più grande (il suo) in qualsiasi elezione.

Egualmente efficace fu la progressiva sovversione del sistema giudiziario. Ogni volta che un giudice della Corte Suprema era costretto a ritirarsi per raggiunti limiti di anzianità, Orbán lo sostituiva con uno più accondiscendente nei confronti del suo partito Fidesz.

Una volta sovvertiti sia l'ordine costituzione che il sistema giudiziario, il leader magiaro era libero di plasmare il paese a sua immagine e somiglianza.

Nonostante una certa opposizione proveniente dalle istituzioni europee, negli ultimi 10 anni gli “eurocrati” di Bruxelles sono stati a tal punto impegnati a gestire (con efficacia assai discutibile!) la crisi dell'Eurozona da non riuscire ad organizzare una resistenza degna di questo nome contro l'intraprendente neo-autocrate di Budapest, il quale per altro sfruttando abilmente i suoi legami con gli altri partiti conservatori e nazionalisti d'Europa è sempre riuscito a cavarsela raccogliendo niente più che degli ammonimenti.

Intanto all'interno del paese la posizione di preminenza del primo ministro viene ulteriormente cementata dalla disinvolta gestione degli appalti sia europei che governativi che Orbán assegna con precisione certosina a quella parte del mondo del business legata a doppio filo al partito Fidesz. Come se non bastasse, gli imprenditori vengo ulteriormente “fidelizzati” mediante la cessione degli asset produttivi dello stato, di terre appartenenti al demanio pubblico e appartamenti situati in luoghi di pregio ceduti a prezzi scontati (neanche si trattasse di moderni feudatari!).

Questo modus operandi perverso crea quello che a tutti gli effetti è un sistema di corruzione statale non dissimile a quanto esistente nei regimi totalitari conclamati. Gli uomini d'affari legati al potere restituiscono poi tali “favori” finanziando lautamente il partito Fidesz mentre coloro che non si allineano a questo sistema vengono minacciati, obbligati a vendere le loro proprietà e, in alcuni casi estremi, spinti a lasciare il paese.

Curiosamente, mentre Orbán si è ripetutamente vantato del fatto di non avere grandi somme sul suo conto bancario, suo genero Tiborcz István (marito della sua figlia maggiore, Ráhel) e suo padre Győző Orbán sono diventati due degli uomini più ricchi del paese proprio grazie ai rapporti privilegiati che li legano al primo ministro. In particolare Elios, la compagnia di proprietà di Tiborcz István è stata accusata più volte di godere di un trattamento privilegiato ogni qual volta si sia presentata a gare per appalti pubblici. Ma questi non sono gli unici nomi. L'uomo più ricco d'Ungheria, l'oligarca Lőrinc Mészáros, è infatti amico d'infanzia proprio di Orbán (oltre ad essere stato, tra il 2011 ed il 2018, sindaco di Felcsút, il villaggio dove il primo ministro è cresciuto). Intervistato nel 2017 a proposito di come egli avesse potuto diventare l'uomo più ricco del paese quando nel 2009 era solo un piccolo imprenditore, l'oligarca rispose con le testuali parole: “La mia ricchezza si basa su tre fattori: Dio, fortuna e Viktor Orbán”. Proprio nel periodo in cui Mészáros ne era il sindaco, il villaggio di Felcsút assurse agli onori della cronaca sia nazionale che internazionale perché vi venne costruito uno dei più importanti stadi calcistici del paese (chiamato Pancho Aréna): un'autentica “cattedrale” in grado di ospitare 3.900 posti a sedere quando la popolazione dell'intero villaggio non supera i 1.800 abitanti.

Il costo del faraonico progetto pare si sia aggirato attorno ai 4 miliardi di fiorini ungheresi ed esso ha rappresentato anche l'ultima “fatica terrena” di Imre Makovecz, uno dei più importanti architetti della moderna Ungheria, prima della sua dipartita terrena. Questo progetto assolutamente inutile ha giustamente sollevato ferocissime critiche dato che le compagnie coinvolte nella sua costruzione erano state precedentemente favorite dal governo nella vittoria di tutta una serie di appalti statali. Inoltre una gran parte del lavoro in loco è stato svolto da manodopera arruolata con metodi para-mafiosi soprattutto tra i membri della comunità rom d'Ungheria, da anni nel mirino del primo ministro, e fatta lavorare in condizioni che diversi osservatori hanno descritto come “disumana”. Tuttavia la Pancho Aréna non rappresenta affatto un caso isolato nel panorama magiaro perché il governo ha garantito importanti sgravi fiscali alle compagnie che avessero voluto donare fondi o investire nel campo dell'edilizia sportiva. E il mondo dello sport, sostenuto in ogni modo dallo stesso “padre padrone” del paese così come da molte altre figure pubbliche viene poi utilizzato da Orbán per distrarre le masse, come una sorta di moderna riedizione del detto latino “panem et circenses”.

Sembrava che nel 2015 il partito politico di Orbán stesse finalmente perdendo parte dei consensi tra l'elettorato moderato, ma gli eventi della ormai celebre “Crisi dei Migranti” finirono invece per spalancargli una serie di nuove opportunità. Prendendo infatti la palla al balzo e giocando sia sui profondi istinti xenofobi del popolo magiaro sia sul tacito consenso proveniente dagli altri leader dei paesi e dei partiti politici europei di stampo nazionalista, il “piccolo Duce di Budapest” guida quella che appare come una sorta di “crociata per la difesa della civiltà europea dall'invasione delle orde islamiche” (poco importa che, in realtà, una percentuale niente affatto trascurabile dei migranti in fuga da Siria ed Iraq siano in realtà di religione cristiana!).

Profittando della situazione si fa attribuire dall'Assemblea Nazionale i pieni poteri, ordina la costruzione di una barriera di reticolati e filo spinato che finirà per coprire l'intero confine che l'Ungheria condivide con Serbia, Croazia e Romania e, come se non bastasse, riesce inoltre ad impedire ogni tentativo da parte delle autorità dell'Unione Europea di distribuire i migranti tra tutti i paesi dell'Unione, inclusi quelli dell'Europa Orientale. Questi ultimi inizieranno da quel momento un gioco pericoloso che, ad oggi, li ha di fatto portati in rotta di collisione contro il resto del blocco, dei cui fondi continuano ad avere bisogno ma la cui visione di un'Europa unita e solidale è parimenti divenuta per essi un autentico anatema.

A questo periodo risale anche l'inizio della campagna di diffamazione, tutt'ora in corso, diretta nei confronti del miliardario di origine ebraico-ungherese George Soros (nato proprio a Budapest nel 1931 con il nome di György Schwartz) descritto come una sorta di “deus ex machina” responsabile degli attacchi contro il governo magiaro al fine di piegarlo ad adottare una diversa politica migratoria.

Davvero un'ironia della Storia se pensiamo che fu proprio grazie a Soros e ai finanziamenti della sua fondazione (la Open Society) che l'allora giovane Orbán poté ottenere una borsa di studi a Oxford, nei primi anni '90.

Le elezioni generali del 2018 si chiusero con una nuova vittoria del partito Fidesz e la conquista di un'altra “supermaggioranza”, ma vennero macchiate pure dalle accuse di palesi intimidazioni elettorali (specie nei confronti dei dipendenti pubblici, ricattati dalla minaccia di perdere il posto di lavoro) nonché dalla pratica dello “shopping elettorale” con gli uomini degli apparati impegnati a circuire gli elettori (specie nelle aree lontane dalla capitale) mediante la distribuzione di beni di prima necessità tra i quali vanno curiosamente menzionati i sacchi di patate!

Un altro elemento di preoccupazione è costituito dal fatto che egli non abbia mai fatto cessare lo “Stato di Emergenza” ed anzi rinnovi i propri poteri ogni 6 mesi. Alcuni commentatori, non troppo bene informati, sono stati tentati di creare dei parallelismi tra la figura del “ducetto” magiaro e quella del “dictator” di romana memoria. Mai tale parallelismo si rivelò più campato in aria di questo dato che (è bene ricordarlo) nella Repubblica della Roma Antica, la figura del “dictator” poteva sì raccogliere in sé tutti i poteri emergenziali, ma non era affatto rinnovabile dopo la scadenza dei 6 mesi, ed in ogni caso decadeva automaticamente quando decadevano i consoli che l'avevano nominato!

In ogni caso, il “dictator magiaro” non lascia che i periodi dei rinnovi successivi dei suoi poteri speciali vadano sprecati, ed anzi continua nella sua opera metodica di cambiamento della costituzione e di erosione dei “pesi e contrappesi” necessari per lo svolgimento della normale vita democratica.

Rientrano in questo filone le modifiche che garantiscono al governo il potere di poter schierare l'esercito in “situazioni di emergenza”, bandire le manifestazioni pubbliche e, soprattutto, porre un controllo ai media. Nel 2018 nasce infatti il KESMA, acronimo che sta per Közép-Európai Sajtó és Média Alapítvány (“Central European Press and Media Foundation”, in lingua inglese) che, negli anni successivi arriverà a controllare oltre l'80% dei media dello stato mitteleuropeo, specialmente grazie all'opera di fedelissimi di lunga data come Gábor Liszkay e László Szabó.

Anche se per un breve lesso temporale sembra che la “presa dei media” abbia finalmente fatto suonare la definitiva campana di pericolo nelle orecchie delle autorità di Bruxelles, la loro reazione viene all'atto pratico annullata dall'opposizione della Polonia, il cui governo di destra guidato dal partito “Legge e Giustizia” (PiS) rappresentato dal presidente Andrzej Sebastian Duda e dal primo ministro Mateusz Jakub Morawiecki ormai sostiene apertamente Fidesz come un “fratello ideologico di ferro”.

Grazie alla collaborazione magiaro-polacca, Orbán riesce ad evitare qualsiasi tipo di sanzione europea e a sopravvivere la burrasca del momento. Tuttavia, come ulteriore “polizze di assicurazione” sulla sua vita politica, il leader di Budapest stringe tutta una serie di intese tattico-strategiche con i governi di Russia e Cina ed amplia il suo raggio di azione geopolitica a tutta l'area balcanica, laddove si ritaglia una nicchia di potere di non disprezzabile entità specialmente a Belgrado, capitale della Serbia, e a Banja Luka, capitale della Repubblica Serba di Bosnia.

Grazie a queste intese, Orbán riesce ad ottenere materie prime a prezzi scontati e finanziamenti per una serie di grandi processi infrastrutturali ed in cambio diventa una sorta di “cavallo di Troia” sia per Pechino che per Mosca all'interno della NATO e dell'Unione Europea contribuendo, come già accade con la Turchia di Erdogan, a rendere tali organizzazioni sostanzialmente disfunzionali. Se poi consideriamo che a tutt'oggi l'Ungheria (assieme alla Polonia) rappresenta il principale beneficiario dei fondi europei, il fatto che il resto dei membri comunitari, soprattutto quelli appartenenti alla cosiddetta “Vecchia Europa” che detengono nelle loro mani i veri “portafogli” che permettono alla UE di funzionare come istituzione (e tali “portafogli” sono costituiti dalle imposte pagate dai contribuenti, cioè da ciascuno di noi), il fatto che all'Ungheria sia permesso di fare il bello ed il cattivo tempo alle spese di tutti noi risulta francamente inaccettabile.

Il fondo del barile è stato toccato nel corso di quest'anno 2022 quando l'Ungheria, pur partecipando al programma di aiuti umanitari a favore della vicina Ucraina, sotto attacco da parte delle Forze Armate della Federazione Russa, e pur essendo uno dei paesi di prima linea ad accogliere i profughi ucraini, ha altresì rifiutato di fornire armamenti (rifiutando persino che tali armi transitino sul suo territorio!) ed ha deliberatamente rallentato (quando non semplicemente affossato!) il percorso delle sanzioni europee dirette a colpire la Russia. Tuttavia è necessario notare che tale condotta spregiudicata ha pagato molto bene in sede elettorale, dato che gli ha permesso il 3 di aprile 2022 di ottenere la sua più grande vittoria elettorale, contro l'intera opposizione coalizzata in un unico fronte e di confermare e cementare una volta per tutte la “supermaggioranza” ed il suo controllo, ormai tendenzialmente irreversibile, sul paese.

La condotta di Budapest e di Orbán in particolare sono dei pessimi indicatori di quelli che potrebbero essere gli obiettivi di lungo periodo della politica estera magiara, ma per poterci esprimere a tal riguardo sarà necessaria una nuova analisi avente questa volta come oggetto la traiettoria geopolitica dell'Ungheria letta anche attraverso la lente della demografia di questo complicato ma strategico paese mitteleuropeo.

Foto: www.gov.cn