La legittimità giuridica dell'Italia e la sua partecipazione militare contro l’ISIS

(di Giuseppe Paccione)
12/10/15

Malgrado la scarsa conoscenza del diritto internazionale da parte sia dei parlamentari che sono all’opposizione, sia di quelli che appoggiano il governo attuale, sia di coloro che fanno appello al ben noto articolo 11 della costituzione – in cui si enuncia che l’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le nazioni (…) – o alla stessa Carta delle Nazioni Unite, l’eventualità di colpire con strumenti militari fa sorgere, sul piano del diritto, talune questioni come la legittimità dell’azione coercitiva armata, id est l’impiego della forza, secondo il diritto internazionale generale, la partecipazione necessaria dei due rami del parlamento – Senato e Camera – al fine di adottare una decisione e, infine, il rispetto delle norme di diritto internazionale dei diritti dell’uomo.

Una nota da sottolineare va fatta, cioè a dire che una probabile operazione militare, mercé il bombardamento, contro l’attore non statale, il c.d. Stato islamico, è puramente legittima e che non ha bisogno dell’autorizzazione dell’organo delle NU, preposto al mantenimento della pace e della sicurezza internazionale, cioè il Consiglio di Sicurezza, ma unicamente la richiesta oppure l’assenso del governo iracheno, riconosciuto dalla comunità internazionale. Circa la risoluzione dei rami parlamentari, non del tutto indispensabile, è d’uopo porre in risalto l’indirizzo della missione che deve seguire attentamente le norme di diritto internazionale generale.

La guerra, ancora in corso in Iraq e in Siria, rientra nella fattispecie di una guerra interna o civile e, quindi, si configura come conflitto armato interno, dove si stanno scontrando il governo di Bagdad, riconosciuto dalla comunità internazionale, e lo Stato Islamico, considerato attore non statale. I combattenti dell’ISIS, considerati ribelli di questo Stato non riconosciuto, vengono ritenuti un agglomerato gruppo di insurrezionali che combatte contro le autorità governative irachene. Questo attore non statale, ritenuto alla stessa stregua di altri gruppi insurrezionali, ha adottato nuovi modi di porre in esecuzione un combattimento mediante il terrorismo internazionale come strumento di violenza bellica. Lo Stato Islamico dell’Iraq e della Siria o Daesh gode di una particolare effetti-vità, sebbene va considerato il fatto che ha il controllo sul territorio dove è insediato, ma ciò non lo reputa tuttora uno vero e proprio Stato.

A questo punto non si può essere che a favore del diritto internazionale che considera legittimo il sostegno a un governo costituito e riconosciuto che si trova alle prese con questo movimento insurrezionale.

Ritornando al ruolo del nostro Paese nel conflitto armato contro il terrorismo internazionale nell’area irachena, ma per ora non in Siria,, va menzionato che essa è già partecipe sul piano logistico a favore dell’Iraq, attraverso il rifornimento di armi e di preparazione militare ai curdi – con l’assenso pieno del governo di Bagdad – che lottano il c.d. califfato o Stato islamico, mediante l’addestramento in concerto con la polizia irachena e con l’invio di Tornado in missione di ricognizione e illuminazione degli obiettivi da colpire. Ribadisco che l’intervento italiano ha già ottenuto l’approvazione del governo legittimo iracheno, per cui non necessità dell’autorizzazione del Consiglio di Sicurezza.

Ponendo da parte il contenuto dell’articolo 11 della nostra Costituzione che inibisce la guerra d’aggressione e l’impiego della coercizione armata come strumento d’offesa alla libertà dei popoli, che, d’altronde, non attuabile in questo caso, direi che va messo da parte anche la disposizione dell’articolo 78 sempre della Costituzione e la delibera dello stato di guerra da parte del Parlamento – secondo cui le Camere deliberano lo stato di guerra e conferiscono al Governo i poteri necessari –, così pure l’articolo 87, paragrafo 9, che enuncia la dichiarazione di guerra da parte del Presidente della Repubblica – in base al quale ha il comando delle forze armate, presiede il Consiglio supremo di difesa costituito secondo la legge, dichiara lo stato di guerra deliberato dalle Camere. Nel caso di cui si sta trattando non si tratterebbe di guerra, de quo alle norme costituzionali, pure immaginando che si dovessero intraprende con i Tornando azioni di bombardamento sulle postazioni degli insorti del Daesh.

Una risoluzione, tecnicamente parlando, di autorizzazione delle due Camere non necessiterebbe per inviare truppe armate all’estero nel contesto di conflitti non qualificabili come bellici o di guerra, ma, come è ben noto, è consuetudine quello di far precedere l’invio di forze militari da una discussione parlamentare, seguita dall’adozione di una risoluzione. Si sta dibattendo se la risoluzione approvata dalle Commissioni esteri e difesa di Camera e Senato (Ris. n.7-00456/20 agosto 2015), qualche mese fa, per l’invio di materiale logistico in Iraq, ingloba anche la presenza ovvero la partecipazione dei velivoli militari, come i Tornado, ai bombardamenti.

È noto che tutte le operazioni attinenti alla guerra devono sottostare alle norme del diritto internazionale d’umanità; in particolar modo, nel momento in cui incorrono bombardamenti aerei, è d’uopo attenersi obbligatoriamente al rispetto di esse, in maniera da colpire unicamente gli obiettivi militari e non quelli civili e circoscrivere i danni collaterali che, a volte, non si possono evitare.

Il nostro Paese, sui conflitti armati interni, come quello presente oggi in Iraq, è tenuto al rispetto delle norme presenti nel 2° Protocollo addizionale alle quattro convenzioni di Ginevra del 1949. La selezione degli obiettivi, nell’ambito di una coalizione di forze militari, può cagionare problemi e i Tornado italiani dovrebbero evitare la propria partecipazione ad operazioni che potrebbero essere suscettibili di provocare danni ai civili. Ritorna alla mente, ad esempio, il recente bombardamento degli Stati Uniti sull’ospedale dei Medici senza Frontiere in Afghanistan, che sta ad indicare che la cautela deve essere elevata.

Ergo, una risoluzione da parte dei due rami del Parlamento d’indirizzo dovrebbe impegnare l’esecutivo – id est l’attuale governo – a far in modo che sia evitato che le operazioni militari diventino causa di danni alla popolazione civile. Infine, si aggiunga anche che sia il governo che i ministeri competenti (come ad esempio quello della Difesa) hanno il compito di dettare le regole d’ingaggio e che possono essere dotate di meccanismi che mirino ad evitare la partecipazione con la coalizione anti-ISIS a delle operazioni di alto rischio sul piano del diritto d’umanità.