Paolo Nespoli: da paracadutista ad astronauta, passando per gli incursori...

(di Giusy Federici)
13/06/18

L’Esercito, come istruttore di paracadutismo prima e incursore poi, mi ha insegnato a crescere, a non arrendermi, a superare quelli che sembravano limiti. E quindi a insistere perché il mio sogno di diventare astronauta si realizzasse…

Paolo Nespoli non ha bisogno di presentazioni. Astronauta, incursore, ingegnere, compatriota italiano di cui andare fieri. Per tutti noi, che lo abbiamo seguito nei tg ma anche con il naso all’insù, è AstroPaolo, partito il 28 luglio 2017 “a bordo della Soyuz MS-05 per la sua terza missione, grazie ad un contratto bilaterale tra la NASA e l'Agenzia Spaziale Italiana che coinvolge gli astronauti dell'ESA. Paolo ha portato a termine oltre 60 esperimenti durante la missione Vita, acronimo di Vitalità, Innovazione, Tecnologia ed Abilità. È atterrato il 14 dicembre 2017 dopo 139 giorni nello spazio. Con 313 giorni totali nello spazio, attraverso le tre missioni, Paolo è il secondo astronauta ESA con più esperienza”, si legge nel sito internet dell’Ente spaziale europeo.

La sua ultima impresa nella Stazione Spaziale Internazionale ISS ha fatto epoca, per l’importanza della missione in sé e perché Nespoli aveva 60 anni. Ma se lo vedi è un ragazzino, fisico asciutto e curato e spirito vitale e curioso, è uno che guarda continuamente in avanti, che si pone obiettivi, che non si adagia sugli allori.

Paolo Nespoli non se la tira, eppure potrebbe. Invece è rimasto “uno di noi”: anche se la sua è sicuramente una scelta di vita particolare e speciale, è legato all’infanzia nel suo paesino lombardo, è fiero del suo vissuto come paracadutista e incursore, è felice perché quello dell’astronauta era un sogno di bambino che si è realizzato.

Lo abbiamo incontrato a Roma, di passaggio insieme ai membri del suo equipaggio, gli americani Randy Bresnik, Joe Acaba e Mark Vande Rei e il russo Sergey Ryazansky, tutti con le rispettive famiglie, appena tornato dagli States e di corsa per una serie di impegni importanti, tra cui quelli con il capo di stato maggiore dell’Esercito (generale di corpo d’armata Salvatore Farina), l’incontro con Papa Francesco e tanta voglia di mostrare a chi italiano non è la bellezza del nostro Paese.

Sono intense, queste giornate italiane?

Beh, questi giorni con l’equipaggio sono intensi per definizione, perché è tradizione che alla fine di una missione spaziale noi europei facciamo un tour nella nostra nazione con loro. E ci piace farci un po’ belli, da un certo punto di vista, ci piace far vedere le bellezze dell’Italia, l’ospitalità e anche fare cose interessanti e importanti, come l’incontro con il Papa. Solo che organizzare una cosa così per una quindicina di persone tra alberghi, spostamenti, trasporti, etc... non è semplice. Ma siamo riusciti a fare tante belle cose inclusa, con il supporto del capo di stato maggiore dell’Esercito Farina, una visita alla Base a Mare degli incursori, a San Rossore. Eravamo a Modena e Bologna – perché non potevamo non andare a vedere due delle eccellenze italiane, Lamborghini e Ferrari – e da lì le famiglie hanno preso un treno e sono venute a Roma e noi, invece, siamo saliti su un elicottero dell’Esercito e abbiamo avuto un incontro con gli incursori.

È stato un ritorno a casa…

Sì. Ho fatto nel 1980 il corso, tra l’altro proprio lì alla Base a Mare. La cosa interessante è che gli incursori di oggi, mancando io da trent’anni, li conosco poco, tranne qualcuno ad alti livelli. Dei miei colleghi di allora ne sono rimasti pochissimi, la maggior parte è ormai in pensione. Ma erano tutti lì, ho rivisto gli amici di trenta, quarant’anni fa, abbiamo ricordato le cose fatte da ragazzi, la missione in Libano (Italcon, dal 1982 al 1984), le esercitazioni di allora. Siamo stati accolti dal comandante del reggimento Giuliano Angelucci, dagli incursori di ieri e di oggi, siamo stati insieme oltre un’ora, poi abbiamo ripreso l’elicottero e siamo arrivati a Roma.

È normale che ci fossero tutti, Nespoli è un orgoglio, per l’Italia tutta e per gli incursori del 9° Col Moschin...

Poco tempo fa, in una conferenza stampa, mi chiedevano cosa mi abbia dato l’Esercito... Io non ho mai pensato di fare il militare di professione, il militare l’ho scoperto con la leva. Quando sono stato chiamato, sono partito e mi sono trovato in questo luogo, che allora era anche piuttosto tosto. Era la Scuola militare di Paracadutismo con nonnismo, disciplina, la necessità di passare tutta una serie di esami e prove continue. Mi sono trovato bene, sono finito in palestra come istruttore e alla fine del mio anno di leva ho deciso di restare. L'ho deciso perché volevo fare l’astronauta anche se credevo fosse una cosa impossibile. Pensavo fosse come quando chiedevi ai bambini, "che vuoi fare da grande?"

E le risposte erano sempre l’astronauta o il pompiere...

Chi ti ascoltava rispondeva: “va bene, bravo… studia!”. E questo semino di quest’astronauta era finito nel cassetto, abbandonato. Quindi, dopo la leva, prima sono diventato istruttore di paracadutismo e poi incursore: era uscito un bando di concorso dell’Esercito e ho presentato domanda. Alla fine di due anni, ho preso il brevetto. E ieri (8 giugno, ndr) alla Base a Mare - e la cosa mi diverte molto - mi hanno dato la pergamena che non mi avevano consegnato a suo tempo e con la data di allora, 25 maggio 1981, brevetto n. 632 e firmato dal colonnello Angelo Passafiume (oggi presidente dell’ANIE, ndr) che era anche lui lì.

Ma ci tengo a dire che con l’Esercito e specialmente con gli incursori, ho semplicemente imparato che… beh, quando segui un corso incursori e fai certe cose, dove sostanzialmente è tutta una sfida, non ci sono limiti e ti vengono chieste cose che sembrano impossibili e poi capisci che con le capacità giuste, con le conoscenze giuste, con l’addestramento giusto, il giusto equipaggiamento e soprattutto con il team giusto – perché mai o raramente si è da soli, è un team che compie un’azione – con tutte queste cose, si riesce veramente ad arrivare lontano e fare quel che sembra impossibile. Questo è stato uno degli insegnamenti più grossi. Io nell’Esercito, tra gli incursori, ho imparato a crescere. E a rimanere quel che sono.

Sono nato in un paesino vicino Milano, Verano Brianza, dove in un certo senso ero “viziato”, perché tutto funzionava, non c’erano problemi, si trovava lavoro, non c’era bisogno neanche di studiare all’Università. Mia madre voleva che io andassi a lavorare nella fabbrica davanti casa e fossi assunto come elettricista perché ero bravo e mi piaceva. E allora, perché no? Era un posto perfetto, dove si entrava la mattina alle 8, a pranzo a casa e poi la sera libero, poi la famiglia, le ferie, etc.

Era la mentalità di una generazione diversa, uscita da poco dalla guerra….

Certo. Sono cresciuto con nove altri ragazzi della mia età nello stesso piccolo paese. Tutti si sono sposati a 20 anni, tutti abitano lì (eccetto uno che ha preso casa nel paesino vicino), etc. E poi ci sono io, che sono in giro per il mondo. Loro si ritrovano tutti i venerdì sera per una rimpatriata. E io, appena posso arrivo lì, magari dall’Australia, chiedo dove siano, entro a casa di chi ospita il gruppo come se non fossi mai andato via, mi siedo e si mangia il panino col salame, si beve mezza birra, si discute di tutto e poi ci si saluta. È molto bello…

Però, sono anche uno che ha acquisito conoscenze e capacità con l’Esercito e con gli incursori e che, anche per questo, ha deciso di tornare a rispolverare questo sogno da bambino…

Il passaggio da incursore ad astronauta, com’è avvenuto?

Avevo ventisei anni, non parlavo inglese, non avevo una laurea, era dura. È stato un passo veramente lungo e direi anche un po’ azzardato, perché se si analizzano le possibilità che uno diventi astronauta sono quasi zero. Però, da un lato con l’incoscienza dell’incursore per il quale tutto è possibile, dall’altro con il lavoro duro, l’imparare dagli errori e la tenacia, con tante difficoltà, alla fine sono riuscito a essere preso prima nel Corpo Astronauti europeo e poi ci son voluti altri nove anni per partecipare alla prima missione nello spazio. Quando son tornato mi hanno detto. “Nespoli, questa è la tua prima e unica missione…”. Poi me ne è stata affidata un’altra di lunga durata e ancora, “Nespoli, questa seconda missione è arrivata per miracolo, un’altra non ce ne sarà…” E così fino all’ultima.

Ora, a 61 anni, in effetti, sarà dura farne ancora, anche per il limite di età secondo lo statuto dell’Agenzia spaziale europea e perché abbiamo astronauti giovani. Vedremo. Adesso mi trovo nella situazione di cercare di capire cosa fare da grande. Sto cercando di rispolverare tuti i sogni che avevo messo nel cassetto pensando che non fossero realizzabili. Ma visti i precedenti, perché no?

Trovarsi nello spazio, nell’infinitamente grande, cosa si prova?

Lo spazio è un diamante con molte sfaccettature. C’è il fatto che uno realizza un sogno impossibile, che lavori ai massimi livelli mondiali, che personalmente ti senti soddisfatto, che fai delle cose importanti per tutti noi. Quindi ti senti di aver speso il tempo in un modo funzionale e che ti fa sentire orgoglioso. È una sensazione molto bella, incluso il fatto che vivi emozioni che solo lì puoi provare, il fatto di stare in un posto dove non senti più la forza di gravità e questo ti costringe a crescere, a cambiare, a guardare le cose in un modo diverso. Da un lato è una cosa difficile da fare, dall’altro è per me stimolante, perché mi son sentito un ragazzo alla scoperta di questo mondo nuovo e a provare cose che non arrivavano e poi, pian piano, riuscirci. E poter fare una cosa impossibile avendo trovato il modo per riuscirci e, in certi casi, comunicare a Houston che un’azione si può realizzare in un modo diverso da come si pensa, sentirsi rispondere “stand by”, che vuol dire che la stanno analizzando e poi la volta dopo arrivano le procedure per farla esattamente come hai detto tu, è un fatto importante. Son riuscito a far cambiare alcune procedure a Houston.

Ad esempio?

Ad esempio il modo di condurre certi esperimenti o di aggiustare del materiale. C’è un’apparecchiatura, nel Nodo 3, che serve per rigenerare l’ossigeno e la sua manutenzione durava quattro ore. Lì il tempo è importantissimo e quattro ore era come buttarle via. Ho trovato il modo di dividere a metà il tempo da utilizzare per questa manutenzione proponendo di sistemare il coperchio di quell’apparecchiatura in modo diverso. Ho cambiato l’assetto di alcuni mobili della Stazione, ad esempio, la disposizione del tavolo etc. Dieci anni di stazione spaziale, arriva l’astronauta italiano e ti cambia l’assetto e tutti che dicono di non averci mai pensato e che la cosa funziona molto meglio così…

E poi c’è la possibilità di guardare la terra da un punto di vista unico, come si vede da certe foto...

Da lassù guardi la Terra con occhi completamente diversi. Le foto le fanno tutti e se un minimo ci sai fare con la macchina fotografica, escono belle immagini. Ma non siamo noi ad essere bravi, è la bellezza della Terra vista da lassù, la sensazione di sentirsi un terrestre, di capire che quella è la tua casa. E lo senti, che è lì dove vuoi andare, dove vuoi stare.

Quasi un cordone ombelicale che ci lega?

Sì, è la sensazione che la terra è grande ma anche che dobbiamo cominciare a lavorare insieme, tutti, per capire cosa stiamo facendo, per preservarla. Siamo diverse regioni, nazioni o continenti, ma siamo tutti sullo stesso pianeta. Deve interessare quel che fanno in Australia come a loro deve interessare quel che facciamo noi. E comunque dobbiamo lavorare insieme, perché insieme stiamo inducendo dei cambiamenti che potrebbero essere catastrofici. Da lassù la vedi e la senti la delicatezza di questo pianeta, che sembra in equilibrio e vedi anche come noi esseri umani, ormai, l’abbiamo avvinghiato dappertutto, tagliato le foreste, vedi le città enormi e sconfinate, vedi i fiumi tutti incanalati, le isole costruite artificialmente.

E i detriti, che oltre a sommergere il pianeta sono ormai anche nello spazio, dai satelliti a quant’altro?

I detriti spaziali sono un altro problema che andrà affrontato. Ed è vero, siamo riusciti a impattare anche l’ambiente spaziale. Ma senza andare nello spazio, uno guarda giù e quel che vede ha dell’incredibile: in Asia, ad esempio. Il Mediterraneo l’abbiamo impoverito di pesci. E in Asia… guardi giù dove ci sono le luci e la gente e noti le grandi città, le strade, questa ragnatela di noi umani appoggiata sul pianeta. Però, poi, osservando con attenzione, vedi luci dappertutto nell’oceano, luci che sembrano più grandi, più forti, più estese di una città. Ed è vero. Noti delle aree grandi come interi continenti, negli oceani, specialmente nel Pacifico, dove ci sono navi che pescano con le luci e per tutta la notte, senza mai fermarsi. Non è la nave che pesca la sardina, il livello è industriale, uno sfruttamento pesante delle risorse. Sappiamo se queste ricchezze si possono rigenerare? Noi umani non ci poniamo queste domande, ma una barca di una nazione, al largo di oltre venti miglia, può fare quello che vuole, buttare petrolio, immondizia, pescare all’infinito.

Tornando ai sogni di bambino, Paolo Nespoli cosa vuol fare da grande, anche se difficilmente chiuderà con lo spazio?

Mi sto guardando intorno, sto cercando di capire cosa fare. Dovrei appendere al chiodo la tuta da astronauta, cosa che probabilmente succederà, ma questo non vuol dire non poter volare nello spazio. Sono sicuro che in futuro tutti potranno andare in orbita come turisti. E quindi anch’io mi aspetto, tra una ventina d’anni se sarò in grado, di poterlo fare. Per adesso, mi piacerebbe dedicarmi a dei progetti strani, delle cose che fanno avanzare la nostra conoscenza, riportare sulla terra gli insegnamenti che ho avuto dallo spazio, riportarli nella vita di tutti i giorni.

Quali insegnamenti?

Parlo di tante cose, come ad esempio la gestione degli errori, importantissima. Parlo di come gestire i rischi. Parlo di cercare di ottenere mete irraggiungibili, anche nella medicina. E anche di invogliare i nostri ragazzi a interessarsi di scienza, tecnologia, matematica, di cose che potrebbero sembrare astruse e che però alla fine sono interessanti e ci possono dare una professionalità importante e non per questo a scapito del calcio o di far l’attore o qualcos’altro. Oggi, per i bambini, se fai un giro in tv, i loro esempi hanno sempre a che vedere con il mondo dello spettacolo o del calcio e se chiedi a uno di loro cosa vuol fare da grande, è più probabile che voglia fare il calciatore o l’attore, piuttosto che l’astronauta, come sognavamo noi da piccoli. Ma una cosa non esclude l’altra.

(foto: NASA / Esercito / autore)