La musica tradizionale afghana si alterna a messaggi sociali importanti e a trasmissioni giornalistiche che parlano di salute, agricoltura, ma anche di quanto le popolazioni possano e debbano iniziare a contare sul Governo e sulle forze locali che si stanno impegnando, con l’aiuto dei militari italiani, a rendere il Paese autonomo e in grado di resistere alla minaccia degli insurgents.
Il variegato mondo che si apre per il popolo afghano attraverso le onde di Radio Bayan West, sulla frequenza degli 88,5 FM, proietta l’ascoltatore in una dimensione diversa, in cui c’è modo di uscire dalla violenza e dalla povertà attraverso la conoscenza e la cultura.
Radio Bayan, il cui nome vuol dire “comunicare”, è un mezzo che la coalizione Isaf si è creata per cercare, con la persuasività delle parole spiegate e ragionate, di costruire un clima di pacificazione in Afghanistan. Ovviamente ogni messaggio è tanto più efficace quanto più si avvicina al destinatario, dunque Radio Bayan trasmette nelle lingue dari e pashto le news che vengono sapientemente mescolate alla musica più apprezzata dagli afghani. Quella delle loro terre.
Spazio per musica occidentale non ce n’è, mentre c’è spazio per quanto gli occidentali, nello specifico gli italiani, trasmettono con l’aiuto di giornalisti locali che coprono il territorio come inviati. Da Camp Arena, Herat, la radio ha a disposizione, per lanciare le sue parole che raccontano di crescita, sviluppo e coraggio, le fasce orarie dalle 7 alle 10 e dalle 16 alle 19, quando dalla sede principale di Kabul viene lasciata la linea alla redazione West.
Il progetto si muove nel solco di quelli avviati qualche anno fa in Kosovo e in Somalia, quando i contingenti italiani pensarono proprio alla radio come strumento per "dialogare" con la popolazione e coinvolgerla nel passaggio dallo scontro armato alla ricerca di una stabilità possibile.
Direttore della radio, la cui parte tecnica viene curata dal 28° reggimento Pavia di Pesaro, è il capitano Alessandro Faraò, che proprio da quel reggimento proviene.
“La radio è un medium economico, che in molti villaggi è presente, al contrario della televisione. E’ il mezzo ideale per veicolare messaggi in realtà povere e, comunque, in alcuni casi in cui manca anche questo, spesso noi stessi abbiamo fornito dei kit che comprendono una radiolina attraverso la quale ascoltare le nostre trasmissioni”, spiega il capitano.
Miniradio vengono infatti regalate a quelle famiglie che non hanno alcun modo di procurarsi nessuno dei media che sono presenti sul mercato della comunicazione. Così, il territorio è ampiamente coperto e si può tentare di “fare cultura”.
“Molto seguiti sono i programmi sulla salute o riguardanti i giovani. Ma c’è modo di parlare anche della situazione femminile, di raccontare favole per bambini che indichino loro i pericoli che corrono in alcuni casi”, dice Faraò.
Uno di questi pericoli è senz’altro quello di fare il gioco “sbagliato”, andando a raccogliere ordigni inesplosi o altri oggetti potenzialmente letali che purtroppo in Afghanistan non mancano di certo. Quando poi si teme che nemmeno la radio possa essere efficace o che vada integrata con altri mezzi, si ricorre al “leaflet airdrop”, il lancio dagli aeroplani di volantini che riescono in tal modo a raggiungere anche le zone più impervie.
“Nei volantini dominano le immagini. L’analfabetismo è ancora diffuso nelle aree periferiche, dunque un’immagine può dire più di tante parole scritte”, continua il direttore di radio Bayan.
I nostri militari, tramite disegni e foto, cercano di proteggere i piccoli e i loro genitori dal pericolo degli ordigni improvvisati, da quello della droga, il cui spaccio è cresciuto di pari passo con il consumo interno e non solo, come spesso si pensa, con quello esterno al Paese, dal pericolo di venire ingannati e ricattati dagli insurgents che cercano sempre linfa giovane per alimentare le fila dei “combattenti” che si oppongono alla stabilizzazione.
Messaggi di valore enorme, dunque, che se trasmessi nel giusto modo possono aiutare un intero Paese ad uscire dall’oscurantismo al quale per troppo tempo è stato condannato.
Daniela Lombardi
(foto dell'autore)