Chi ascolta Luciano Ligabue troverà un'evidente ispirazione nel titolo di questo articolo dall’ultimo disco.
Questo pezzo è il resoconto di una visita allo stabilimento di Vergiate della Divisione Elicotteri di Leonardo avvenuta il giorno seguente uno storico concerto monzese del rocker emiliano, ma non è certo il refuso di una bottiglia di Lambrusco: qui si parla di cose serie! Magari in modo non conforme ad alcun “cliché” giornalistico, ma sicuramente in modo serio (…un po’ come il significato che sta dietro alle canzoni del “Liga”…).
Per molti, anche all’estero, i testi di un cantautore italiano o un nostro vino da tavola (che fra di loro possono assomigliarsi solo “filosoficamente” per genuinità e contenuti) rappresentano uno dei nostri prodotti portabandiera: non dicono forse di noi che siamo solo “pizza e mandolino”?!
Ma esiste anche certo tipo di prodotto “nostrano” molto apprezzato (all’estero più che in Italia) che non cuoce nel forno a legna o che non si canta negli autodromi: è quello concepito con ingegno, realizzato con precisione e rifinito con cura, che ovunque nel mondo viene identificato con il nome di “Made in Italy”.
Se vogliamo fare un ultimo riferimento al (piacevole) tormentone musicale del momento, se da un lato è innegabilmente vero che l’Italia è un treno che non è mai stato una volta in orario, dall’altro lato l’Italia che scende da quel treno e sale su un elicottero, è sempre arrivata prima di tutti.
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Leonardo (da Vinci) disegnò la “vite aerea”;
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Enrico Forlanini, dimostrò che Leonardo (quello lì) ci aveva visto giusto e con un modello di elicottero dimostrò al mondo che si poteva davvero far alzare da terra qualcosa di più pesante dell’aria;
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Corradino d’Ascanio realizzò il primo vero elicottero;
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Il Conte Agusta capì le straordinarie possibilità di impiego di questo mezzo aereo e diventò uno dei principali produttori mondiali.
Da qualche tempo esiste in Italia un altro Leonardo, piuttosto importante e conosciuto, e che ha al suo interno una Divisione Elicotteri che porta avanti questa tradizione di eccellenza.
Questo altro tipo di “Made in Italy” rappresenta un certo spirito italiano, e ci ricorda che noi italiani sappiamo raggiungere traguardi ragguardevoli, anche quando nell’autodromo di Monza non scendono in campo quei prodotti emiliani che attirano centinaia di migliaia di fans o tifosi.
Entrando nel capannone a campata unica che per anni è stato quello più lungo d’Europa (e forse lo è ancora), ci si trova di fronte a una catena di montaggio ordinata, pulita ed essenziale. In ogni postazione di lavoro viene completata una fase del ciclo di produzione, e nella stessa postazione può passare in lavorazione un futuro AW139 come un CH47, un AW109 o un AW189.
A Vergiate, si producono sia elicotteri civili che militari (questi ultimi nelle sole versioni da trasporto), mentre quelli per missioni aerotattiche o specializzate come il “Lynx” e l’AW101” vengono prodotti in altri siti in base a criteri di razionalizzazione della produzione.
Qui, sotto questo tetto, datato 1937, sono nati molti degli aeroplani SIAI Marchetti, (SM-79, SM-82, FN 333, SF-260 e SM 1019 solo per citarne una minima rappresentanza) che hanno fatto la storia dell’aviazione, oppure si è fatta la manutenzione ad altri, quali i Fairchild C119. Ma da ormai parecchi anni si producono “solo” elicotteri. Una produzione completa, dalla progettazione delle singole piattaforme fino all’integrazione e sviluppo di componentistica avionica (e si parla di autopilota, HUMS (Health Usage & Monitoring System) per la diagnostica dei sistemi della macchina e di sistema aerotattico, che non sono esattamente uno scherzo!).
Ad onor del vero, va detto che dell’origine del sito come SIAI Marchetti resta solo il ricordo, ma solo quello di chi lo ha conosciuto, perché anche l’unica traccia di quel glorioso passato, cioè l’intestazione del piazzale su cui sventola il tricolore, al fondatore della SIAI Ing. Alessandro Marchetti è semi-coperta da una grossa scultura in bronzo, certamente di grande valore artistico, ma che non lascia intuire riferimenti a chi ne ha fatto il passato, accaparrandosi un posto nella storia.
Va però detto che i colori della bandiera della SIAI sparirono già molto prima della nascita di Leonardo: la SIAI fu assorbita prima dalla AGUSTA, che divenne AGUSTA-WESTLAND per confluire poi a sua volta in FINMECCANICA.
Ogni nuovo gruppo industriale che si è alternato nella proprietà di questo sito produttivo ha sempre sostituito i colori sociali e più ancora relegato le memorie del proprio passato a qualche museo, come se lì non fosse più di interesse attuale. Imperdonabile, ma questa è l’unica “nota dolente” della mia visita, ed anche questo è purtroppo, una tipica specialità “Made in Italy”.
Il tempo a nostra disposizione non consente divagazioni storiche né di vedere troppo oltre la catena di montaggio e la linea di volo, ma in fin dei conti queste costituiscono la spina dorsale dell’intero stabilimento e occorre concentrarsi sui tantissimi ed importantissimi dettagli di attualità e di contenuto, qui presenti.
In particolare tre sono le cose che colpiscono:
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la capacità di personalizzazione del prodotto orientato alle specifiche richieste di una clientela molto esigente,
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la modularità della produzione,
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la capacità di progettare e costruire totalmente in proprio quello che è il componente di gran lunga più complesso: la trasmissione.
Queste tre peculiarità non sono indipendenti l’una dall’altra. Se da un lato la capacità di personalizzazione in risposta alle richieste del cliente impone enormi sforzi (ogni singolo kit deve essere progettato, costruito, testato ed omologato nel rispetto delle più severe norme di certificazione e di ogni specifico mercato) dall’altro lato la progettazione modulare permette di potersi avvantaggiare degli oltre 1000 kit di personalizzazione già omologati, ad esempio sull’AW139, per creare un’offerta impensabile per molti altri “competitor”.
Molti… si fa per dire, in quanto i competitor reali sono solo quattro. Questo fattore, unito all’eccellente assistenza post-vendita e di servizi compresi nell’acquisto, fa sì che il 50% del mercato mondiale dell’elicottero civile ad uso “executive” o “corporate” (rispettivamente uso “personale” o “aziendale” come si diceva una volta quando in Italia si parlava in italiano), per quanto riguarda macchine plurimotore, sia prodotto qui.
Ma il concetto di modularità va ben oltre la “semplice” personalizzazione del singolo elicottero: quando viene esteso all’intero ciclo produttivo, permette la genesi di famiglie di prodotti. Chiunque abbia arredato casa all’IKEA avrà capito benissimo il concetto, anche se in questo caso i contenuti tecnologici del prodotto sono inconfutabilmente più avanzati.
In campo aeronautico, fu l’Airbus con la sua famiglia A3XX avviata dall’A320 a consacrare la progettazione modulare di una famiglia di prodotti, ma la sua divisione elicotteri costituitasi con l’acquisizione di Eurocopter è un passo indietro rispetto a Leonardo: i francesi dovranno sicuramente rinnovare la gamma dei loro prodotti, ma occorrono anni prima che il rinnovo sia completato, e questo vuol dire esser già fortemente in ritardo.
La Divisione Elicotteri di Leonardo (prima Agusta-Westland) ha infatti già avviato da anni l’importante sfida per essere il primo produttore elicotteristico ad introdurre piattaforme modulari comuni a più prodotti. Ne è derivata la Famiglia AW costituita da tre direttrici di lavoro parallele (AW-139, AW-169, AW-189) che coprono uno spettro molto ampio di dimensioni (dalle 4,6 tons dell’AW169 alle oltre 8,6 tons dell’AW189), missioni e configurazioni, ma condividono le stesse filosofie e molteplici componenti in comune o kit di personalizzazione ed un medesimo approccio alla manutenzione e all’addestramento.
Per il produttore il vantaggio è quello dato da una produzione più veloce e precisa, ma anche i clienti finali ne traggono beneficio, grazie di un maggior numero di varianti e personalizzazioni e riduzione dei costi di esercenza, e via dicendo. Non ultimo, è un vantaggio anche per chi deve fare e ricevere addestramento (indipendentemente che siano manutentori o piloti) grazie al “family feeling” insito nel DNA di tutti gli appartenente a una stessa famiglia.
Alla descrizione di questi vantaggi è bene associare dei numeri, per far meglio capire la loro entità.
Per il costruttore: riduzione dei pesi da 40 a 120kg per elicottero, un unico sistema idraulico con architettura modulare, possibilità di estendere ad altri elicotteri i punti di eccellenza di uno di essi (ad esempio l’aver disposto tutta la meccanica al di sopra alla cellula abitativa, sotto una carenatura scorrevole che facilita l’accessibilità per la manutenzione), riduzione costi per componenti e fornitori conseguente al raddoppio dei componenti e dei sistemi condivisi (fino al 20% dei componenti, fino al 30% degli equipaggiamenti per la manutenzione).
Per il cliente: maggiore disponibilità operativa della propria flotta di elicotteri (+10%), l’interscambiabilità di parti di ricambio in giacenza nel proprio magazzino e i minori costi di formazione del proprio personale di manutenzione (-25% di addestramento nel passaggio da AW-139 a AW-189) e piloti (-33% di ore volo necessarie per il transito daAW-139 a AW-189).
Ho menzionato l’AW139. Molti di noi, nell’estate, lo avranno visto partecipare alle manifestazioni aeree nelle dimostrazioni di Combat-SAR dell’Aeronautica Militare nelle quali, oltre a permetterci di conoscere meglio le attività del 15° Stormo anche a servizio della Protezione Civile ci sono state presentate al meglio le sue doti di agilità, velocità manovrabilità e versatilità. Caratteristiche che hanno permesso di sostituire elicotteri ben più costosi ed ingombranti quali l’HH-3F senza perdere efficacia ed in qualche caso persino aumentarla. Un elicottero che potrebbe nel tempo ripetere il successo dell’A-109, ancora oggi richiestissimo per le sue eccellenti caratteristiche “a tutto tondo”.
Menzionando i compiti di Protezione Civile, scopro nel caso del modello AW169 che lo sviluppo di soluzioni richieste dal mercato civile, in particolare proprio per compiti di pronto intervento multi-ruolo avanzato, porta a soluzioni “riversabili” in quello militare. Finora avevo sempre sentito dire il contrario, ma un esempio mi dimostra questa rivelazione: una versione civile sprovvista di APU (Auxiliary Power Unit, turbinetta aggiuntiva che produce corrente elettrica ed aria condizionata quando i motori sono spenti) ha imposto la realizzazione di un particolare tipo di trasmissione che svincola il motore dal rotore e permette di far girare unicamente il generatore di corrente e provvedere al condizionamento dell’abitacolo. Se da un lato questo può sembrare solo un vezzo per qualche insofferente miliardario, immaginate il vantaggio di poter climatizzare l’abitacolo e alimentare le attrezzature sanitarie per accogliere un barellato da prelevare in un luogo dove il contesto geografico richiede di avere il rotore fermo l’incolumità dei soccorritori… E immaginate, dopo, il vantaggio di poter utilizzare un simile dispositivo per un’operazione militare in zona dove si richiede massima soppressione del rumore: con questo stesso dispositivo, basta portare il motore al minimo ma il rotore resta “in coppia” grazie alla scatola di riduzione giri che compensa la perdita di forza motrice conseguente alla riduzione del motore. GENIALE ma estremamente difficile da realizzare e certificare!
Quello della trasmissione (e non solo questa appena descritta) è infatti da sempre una sfida tecnica, il cruccio principale di ogni costruttore di elicotteri. Questo componente deve già in condizioni normali ridurre di varie decine di migliaia di volte i giri in ingresso dal/i motore/i in uno spazio ridottissimo. Occorrono materiali speciali per contenere al massimo i pesi senza perdere robustezza. Questo richiede studi e messa a punto di tecniche speciali di fusione e attrezzature altrettanto evolute per le lavorazioni successive.
Molti di noi avranno visto quel tremendo filmato relativo al tragico incidente del “Super Puma” norvegese in cui hanno perso la vita 13 persone (fra cui il pilota Michele Vimercati, nato a pochi chilometri da Vergiate, e di cui conservo un ricordo personale particolarmente forte). Senza volere entrare nel merito di quell’incidente che probabilmente sarà ancora sotto inchiesta, dico solo che purtroppo quel filmato spiega tragicamente molto meglio di mille parole il concetto che sto cercando di passare.
L’impiego di un elicottero può essere particolarmente gravoso per la trasmissione e quanto più la progettazione e la costruzione sono distanti dalla perfezione, tanto più diventa fondamentale l’impianto lubrificazione. Bene, con l’AW 189 sono riusciti a ottenere la certificazione per far funzionare la trasmissione in assenza lubrificazione per 50’. Questo vuol dire che se un elicottero, per esempio un'eli-ambulanza, dovesse avere un’avaria durante il sorvolo di una città, non si mette a repentaglio la vita di nessuno perché il centro abitato verrebbe sorvolato in sicurezza per tutti. Analogamente se un elicottero militare dovesse venisse colpito durante il rientro da un’operazione, potrebbe volare fino ad una zona protetta prima di poter compiere un atterraggio di emergenza… Con l’AW139 si è poi arrivati a dimostrare una capacità di funzionamento senza lubrificante di 60 minuti!!!
Una certificazione di questo tipo è davvero un traguardo notevole, e giustamente in fondo al capannone un enorme cartello visibile praticamente da ogni postazione di lavoro dice “AW-189 Certified!” per la condivisione collettiva di un giusto motivo di orgoglio, figlio dell’impegno di tutti e di stimolo per futuri traguardi di pari eccellenza.
Alla vista di quel cartello, nella mia in mente riappare il ricordo di qualcosa di simile che era appeso alla fine della catena di montaggio della Lamborghini fintanto che questa è rimasta italiana (anzi, emiliana …): un cartello di significato morale quasi analogo diceva: "L’ultimo collaudatore è il cliente: fate in modo che resti soddisfatto". A noi italiani (donne e uomini “Made in Italy”) queste piccole cose fanno bene al cuore e ci fanno sentire parte di una vera squadra!
A dire il vero ci sarebbe anche un’altro, ed ancor più diretto, punto di confronto fra la Leonardo e la Lamborghini.
Del resto, da quanto vedo da uno degli ultimi numeri di “Rivista Aeronautica”, questa gloria automobilistica nazionale sta facendo grandi passi di gemellaggio con il mondo del volo.
Ma ciò cui mi riferisco non ha nulla a che vedere con le prestazioni velocistiche, né con l’iniziale “L” nel loro nome. Mi riferisco a qualcosa di ben più diretto, ma che questa volta ci porterebbe a conclusioni opposte.
Ferruccio Lamborghini, infatti, voleva produrre elicotteri. Ne costruì 5 prototipi, molto innovativi rispetto ai Bell contemporanei, proprio in materia di trasmissione. Avevano infatti il motore davanti al muso per dare massima abitabilità e comfort all’abitacolo passeggeri. Ma nonostante questo ed il fatto che questi prototipi fossero stati fabbricati in un periodo di piena esplosione industriale e tecnologica, Lamborghini si dovette arrendere proprio di fronte all’iter di certificazione.
Quel che resta dei suoi elicotteri è oggi nel museo che suo figlio gli ha dedicato, mentre a Vergiate c’è un via-vai continuo di elicotteri di ogni tipo, in collaudo di pre-consegna o di sperimentazione…
(foto: Leonardo / Aeronautica Militare / Web)