Se le regioni del Grande Nord (North-East e Middle-West), e il Sud, sono state artefici dell’indipendenza e del consolidamento della potenza statunitense, la West Coast è stata protagonista, fin dai primi passi, della sua internazionalizzazione, avviata con l’acquisizione di una capacità di proiezione sostenuta da una forza navale oceanica, divenuta aeronavale nel corso della prima metà del ‘900.
Tra la fine del XIX secolo e l’inizio del XX, gli Stati Uniti entrano a far parte del concerto internazionale delle grandi potenze, in seno al quale conquisteranno una posizione egemone durante il trentennio caratterizzato dalle due guerre mondiali. Questi passaggi storici hanno costituito altrettanti momenti di accelerazione per lo sviluppo economico dell’Ovest costiero, la cui industrializzazione aveva ricevuto un nuovo impulso all’indomani della Guerra Civile, in combinazione con la crescita demografica legata ai flussi migratori del “go west”, e a ulteriori arrivi da Asia e Sudamerica.
In questo quadro sono maturate le condizioni per la nascita e l’affermazione della cantieristica della costa ovest che a sua volta ha fornito il proprio contributo come parte attiva dell’ascesa degli USA al rango di prima potenza mondiale.
L’azienda metallurgica Union Iron Works viene fondata nel 1849 dai fratelli Peter, James e Michael Donahue, che installarono la loro fonderia in un capannone nella zona sud di San Francisco. Immigrati irlandesi arrivati in California agli inizi della “gold-rush” del 1848-1855, i Donahue, dopo una breve permanenza nei campi dei cercatori, avevano aperto un’officina dove lavoravano come fabbri.
In quegli anni San Francisco passa da poche centinaia di abitanti del 1848 ai 36 mila del 1852, registrando così un significativo incremento di popolazione che aveva avuto il suo momento di svolta nel 1849, con un forte balzo nell’afflusso di immigrati in preda alla febbre dell’oro che vennero definiti “forty-niners”, appellativo divenuto uno dei simboli della tradizione locale, tanto da essere ripreso per il nome della squadra di football della città.
Una tappa fondamentale nel percorso di sviluppo economico-demografico della California – divenuta il 31° Stato degli USA il 9 settembre 1850 - si ha nel 1869, con il completamento della prima linea ferroviaria transcontinentale che unirà le coste pacifica e atlantica, prolungando i due tracciati preesistenti che collegavano San Francisco a Sacramento, per il versante occidentale, e Omaha, nel Nebraska, a Boston, nel Massachusetts, sulla costa orientale.
Il progetto risaliva al 1845 ma solo il 1° luglio 1862 il Congresso approvò il provvedimento che sbloccava i fondi federali stanziati per quest’opera, autorizzando la Union Pacific Railroad a costruire una linea ferrata in direzione ovest a partire da Omaha, mentre la Central Pacific Railroad of California ottenne il via libera per il tratto che doveva andargli incontro partendo da Sacramento.
La Central Pacific, che impiegava soprattutto manodopera cinese, posò circa un migliaio di km di binari e incontrò le maggiori difficoltà sui passi montani della Sierra Nevada. Le squadre di lavoratori della Union Pacific, composte in gran parte da immigrati irlandesi e veterani della Guerra Civile, avevano a che fare con un territorio meno aspro, dovendo attraversare le Grandi Pianure e le Montagne Rocciose, che rispetto alle catene costiere sono di più antica formazione e quindi maggiormente trasformate dagli agenti atmosferici che tendono ad arrotondarne i contorni. In compenso si doveva alternare l’uso di picconi, mazze e pale, a quello di fucili e pistole, per respingere gli assalti degli indiani, arrivando a posare 1.700 km di strada ferrata.
La cerimonia di celebrazione per l’incontro delle due linee, che furono unite con un bullone d’oro, avvenne il 10 maggio 1869 a Promontory Point, nei pressi di Ogden, nello Utah. Nei successivi quindici anni vennero realizzate altre tre linee di collegamento ferroviario coast-to-coast: la Southern Pacific che collegava Los Angeles a Boston attraversando la Sun Belt, venne inaugurata nel 1883, stesso anno di apertura della Northern Pacific che collegava Portland, nell’Oregon, alla costa atlantica, raccordandosi all’altezza dei grandi laghi con la Canadian Pacific (ultimata nel 1885), che andava dalla città di Québec, capitale dell’omonima provincia francofona del Canada orientale, a Vancouver, sul Pacifico.
Nel 1860 Peter Donahue era stato tra i fondatori della San Francisco and San Jose Railroad e l’ingresso nell’attività ferroviaria gli permetterà di ottenere importanti commesse per la Union Iron Works, che oltre ad attrezzature per le miniere e macchinari agricoli, produceva anche materiale rotabile e locomotive. Nel 1884, la UIW (con al vertice l’ingegnere Irving M. Scott, nominato presidente da Donahue), entra nel settore navale insediando i propri cantieri nell’area di Scotch Hill (divenuta successivamente Potrero Point), nella baia di San Francisco.
Dal 1884 al 1902 la UIW costruisce 75 navi per la Marina americana, fra cui figurano l’incrociatore protetto Olympia e la corazzata Oregon (tipo predreadnought: navi da battaglia intermedie tra le ironclad, costruite in legno e “rivestite” con piastre di ferro, e le dreadnought, con scafo in acciaio e monocalibre o “all-big-gun ship”), due delle unità più famose fra quelle che hanno preso parte alla guerra ispano-americana del 1898.
L’Olympia faceva parte dell’Asiatic Squadron assieme agli incrociatori Raleigh e Boston, alle cannoniere Concord e Petrel e al cutter guardacoste McCulloch, ed era stata scelta come nave ammiraglia dal commodoro George Dewey, che affrontò la squadra navale comandata dall’ammiraglio Patricio Montojo y Pasaron, nella piccola baia di Cavite, di fronte alle coste filippine nelle acque antistanti la capitale Manila, il 1° maggio 1898. La superiorità numerica degli spagnoli, che potevano contare su 37 unità, non rappresentò un problema per le più moderne navi della giovane e rampante potenza USA.
L’inferiorità spagnola emerse allora in modo evidente e lo scontro finì per trasformarsi in un vero e proprio “tiro al piccione” […] L’eroismo con cui si batterono i marinai spagnoli non servì a nulla: quasi 400 uomini di Montojo vennero uccisi o feriti; tutte le navi furono affondate o messe fuori combattimento (Massimo Borgogni, “La nascita della potenza navale americana (1873-1909). L’U.S. Navy dall’incidente del Virginus alla Great White Fleet”, Nuova Immagine, 2005).
In vista del conflitto e nel timore di un’incursione navale spagnola contro la costa orientale, la corazzata Oregon venne spostata, per ordine del segretario alla Marina John D. Long del 7 marzo 1898, dal Pacifico all’Atlantico. L’Oregon lasciò San Francisco il 19 marzo e dopo aver circumnavigato l’America Latina (il canale di Panama verrà ultimato nel 1914 e inaugurato nel 1920), si riunì alla flotta dell’Atlantico il 24 maggio, nella base di Key West, nella punta meridionale della Florida.
Dal North Atlantic Squadron, alla cui testa si trovava l’ammiraglio William T. Sampson, venne scorporata una formazione detta Flying Squadron assegnata al comando del commodoro Winfield Scott Schley, con l’iniziale compito di difesa della fascia litoranea orientale, e basata a Hampton Roads, in Virginia, località nota per essere stata teatro della prima battaglia navale tra corazzate della storia (8-9 marzo 1862), che vide fronteggiarsi l’unionista Monitor e la confederata Virginia (realizzata riconvertendo la fregata USS Merrimack).
All’inizio di luglio, con le corazzate Indiana, Iowa e Texas, l’incrociatore corazzato Brooklyn, gli yacht armati Gloucester e Vixen, l’Oregon prese parte alla battaglia di Santiago (circa 70 km a ovest di Guantanamo), di fronte alla costa sudorientale cubana, che vide l’annientamento della flotta spagnola comandata dall’ammiraglio Pascual Cervera y Topete. La piazzaforte ispanica di Santiago capitolò definitivamente circa due settimane dopo arrendendosi il 17 luglio.
Entro la fine dell’estate le sorti della guerra erano chiaramente segnate e il conflitto terminò ufficialmente con la firma, il 10 dicembre 1898, del trattato di Parigi, che sancì una resa senza condizioni da parte della corona spagnola che dovette accettare tutte le richieste dell’amministrazione USA guidata da William McKinley.
Tra il 1892 e il 1902, anno in cui la Union Iron Works entra a far parte della United States Shipbuilding Company, il totale delle maestranze dell’azienda passa da poco più di 1.200 a oltre 3.500 lavoratori e nei suoi cantieri vengono assemblati anche i sommergibili Grampus e Pike, i primi realizzati sulla costa occidentale, a seguito di un contratto di subappalto ottenuto presso la Holland Torpedo Boat Company.
Varate rispettivamente nel 1902 e 1903, le due unità subacquee erano state progettate sul modello del prototipo realizzato dall’ingegnere irlandese naturalizzato americano John P. Holland, tra il 1897 e il 1900 (anno della consegna alla Marina americana), e denominato SS1 Holland. Questi due sommergibili, con propulsione a benzina per la navigazione in superficie ed elettrica per quella subacquea, facevano parte dei sette battelli della classe Plunger (rinominata successivamente Adder-class), impostata tra il 1900 e il 1901 e composta anche da: Plunger, Adder, Mocassin, Porpoise e Shark.
Nel 1905 la UIW viene acquisita dalla Bethlehem Shipbuilding Corporation che puntava ad un ulteriore rafforzamento del processo di integrazione produttiva verticale avviato quindici anni prima dall’allora Bethlehem Iron Company, una delle più grandi acciaierie degli Stati Uniti che dal 1890 aveva iniziato a fabbricare corazze e cannoni navali.
Secondo Richard Overy per illustrare l’attitudine statunitense alla produzione di massa non c’è storia migliore di quella delle Liberty Ship che vennero assemblate con gli stessi metodi impiegati nell’industria dell’auto. La prima di queste imbarcazioni, lunghe circa 126 metri e capaci di trasportare fino a 10.000 tonnellate, venne varata nei cantieri di Bethlehem-Fairfield, a Baltimora, nel Maryland, a seguito di una richiesta della Gran Bretagna che doveva rimpiazzare il naviglio mercantile messo fuori uso dai sottomarini tedeschi.
L’ordine iniziale del 1940 era per 60 esemplari ma nel giro di tre anni l’obiettivo di produzione crebbe fino a 2.700 unità e per farvi fronte era necessario un salto evolutivo in termini di organizzazione del lavoro industriale, che fu compiuto negli stabilimenti di Henry J. Kaiser a Richmond, sul lato nord della baia di San Francisco, dove si iniziò a produrre le navi in serie.
L’intero complesso di nastri trasportatori, rotaie, gru, le montagne di parti standardizzate preassemblate, l’esercito di uomini addestrati in tutta fretta distribuiti lungo la catena da esperti di organizzazione di catene di montaggio, gli striscioni della fabbrica che esortavano i lavoratori a costruire le “navi per la vittoria” divennero un improvvisato monumento alla razionalizzazione, una delle ossessioni tipicamente americane (“La strada della vittoria. Perché gli Alleati hanno vinto la seconda guerra mondiale”, il Mulino, 2011).
Visto che sono stati gli impianti di macellazione dell’industria della carne di Chicago, a ispirare Henry Ford e il suo entourage nell’ideazione della catena di montaggio, la terra natale di quest’ultima è sicuramente il Midwest, ma è stata la cantieristica californiana a dimostrarne la possibile applicazione anche all’assemblaggio di prodotti di grandi dimensioni e complessità quali navi e aerei, come confermerà, seguendo a ruota, la storia produttiva del bombardiere B-24 Liberator, concepito negli stabilimenti della Consolidated di San Diego e di cui si è già scritto (vedi articolo Difesa Online 13/03/2016).
A quanto pare il 1912 è stato un anno cruciale per l’industria aeronautica californiana, che in quel periodo vide la costruzione, a Los Angeles, del primo aereo di Glenn Luther Martin, e la fondazione, a Santa Barbara, della società di idrovolanti Alco Hydro-Aeroplane Company, ad opera del fratelli Allan e Malcolm Loughead.
La Glenn L. Martin Company (che nel 1961 diverrà Martin Marietta Corporation a seguito della fusione con la American Marietta Corporation), apre i battenti il 16 agosto 1912 con lo scopo di produrre aerei militari e successivamente realizzerà anche velivoli per il trasporto civile come l’M-130, entrato in servizio nell’autunno del 1935 presso la Pan-American, compagnia che all’epoca gestiva il monopolio dei voli internazionali grazie al contratto governativo di trasporto della posta americana e stava operando per consolidare le proprie rotte sul Pacifico, lungo le quali nello stesso anno aveva iniziato la costruzione di scali a Honolulu, Midway, Wake e Guam.
Il 25 novembre 1940 ha effettuato il suo primo volo il bombardiere bimotore medio-leggero Martin B-26 Marauder, che entrerà in servizio l’8 dicembre 1941 presso l’USAAF, e verrà poi impiegato dagli Alleati su tutti i fronti della Seconda Guerra mondiale, incluse le coste della Normandia in occasione del grande assalto anfibio (operazione “Overlord”), del 6 giugno 1944.
Nel 1916, la Alco diventa Loughead Aircraft Manufacturing Company e con la partecipazione degli USA alla Prima Guerra mondiale nel 1917, inizia a fornire aerei alle Forze Armate statunitensi. Nel 1934 Allan Loughead cambia il proprio cognome in Lockheed e anche l’azienda di famiglia verrà ribattezzata Lockheed Aircraft Corporation, con sede a Glendale, sobborgo di Los Angeles.
Limitandosi ai modelli collegati alla Seconda Guerra mondiale: quando il prototipo del Lockheed P-38 Lightning volò il 27 gennaio 1939, la sue prestazioni vennero giudicate rispondenti alla specifica emessa per un intercettore in grado di superare i 600 km orari e volare a 6.000 metri, salendo alla quota ottimale in un tempo non superiore ai sei minuti, e ne venne ordinata la produzione in serie.
Il P-38 era costituito da due fusoliere – che ospitavano i motori Allison da 1.600 cv grazie ai quali il velivolo arrivò a superare i 660 km orari – collegate tra loro dai piani di coda e dall’ala, al centro della quale si trovava la gondola in cui erano collocati l’abitacolo e l’armamento. Impiegato come aereo da caccia e con funzioni di ricognitore, il Lightning entrò in servizio alla fine del 1941 distinguendosi in particolare nel teatro del Pacifico, dove poteva far valere al meglio la sua elevata autonomia (4.180 km), e ne vennero assemblati 9.900 esemplari.
Tra il gennaio e l’ottobre del 1944 si svolgono le attività di volo, valutazione e messa a punto, del prototipo e dei primi 13 esemplari di preserie del P-80 Shooting Star che, a seguito degli ottimi risultati dei test, viene ordinato inizialmente in 5.000 esemplari che però si ridurranno a poco più di 900, in considerazione delle minori necessità dell’aviazione USA con la fine delle ostilità nel 1945.
Una versione migliorata dello Shooting Star venne realizzata nel 1948 e battezzata F-80C, in base alla mutata designazione dei velivoli per la caccia da P (Pursuit), a F (Fighter), che faceva seguito alla costituzione della U.S. Air Force come arma autonoma nel 1947. Da questo velivolo venne derivato un biposto da addestramento inizialmente designato TP-80C, che effettuò il suo debutto nei cieli il 1° marzo 1948, e fu immediatamente promosso alla produzione in serie.
Fra gli aerei assemblati dalla Lockheed e quelli realizzati su licenza, questo addestratore, rinominato nel frattempo T-33A Silver Star, venne venduto in circa 6.560 esemplari alle Forze Armate di oltre 40 Paesi, a partire dai membri della NATO.
Efficaci ostacoli e deterrenti naturali in chiave difensiva, i due oceani che bagnano le coste degli USA diventano un moltiplicatore di problemi logistici per la proiezione nei teatri europeo e asiatico del dispositivo militare della potenza americana. Già durante gli anni ’30 era emersa la necessità di nuovi aerei con maggiori capacità in termini di carico utile e raggio d’azione, ma l’impulso decisivo per il loro sviluppo arrivò con il secondo conflitto mondiale che segnò anche il declino dell’idrovolante, fino ad allora velivolo di riferimento per i collegamenti transoceanici.
Il Lockheed L-049 Constellation viene progettato nel 1939 ed entrerà in servizio con l’U.S. Army Air Force con la designazione C-69. A onor del vero l’impiego militare di quest’ultimo fu limitato riguardando, tra il 1944 e il 1945, 22 esemplari, e la carriera del Constellation (di cui nelle diverse varianti civili e militari furono costruite 856 unità), si dispiegherà soprattutto in ambito civile con le flotte della Pan-Am e della TWA, per le cui rotte venne realizzato il modello L-649 che presentava maggiori comfort e capacità di imbarcare fino a 81 passeggeri. Da questo venne sviluppato, alla fine degli anni ’40, l’L-1049 Super Constellation che poteva portare fino a 109 persone e la cui ultima versione, L-1649 Starliner, incontrò scarsa fortuna per la concorrenza dei sempre più affermati velivoli a reazione.
Negli anni ’90 le strade di Lockheed e Martin-Marietta finiscono per incrociarsi e le due società daranno vita ad un nuovo gruppo attraverso una fusione impostata e portata a termine tra il 1994 e il 1995, a seguito della quale la sede sociale delle due aziende originarie della California, diventerà la cittadina di Bethesda, nel Maryland.
Alla fine degli anni ’70 la California è già da tempo il principale mercato di sbocco interno all’area di libero scambio a stelle strisce, tanto che, dopo aver preso il timone della Chrysler il 2 novembre 1978, Lee Iacocca individuò nell’incapacità di intercettare i gusti della potenziale clientela del Golden State, un chiaro sintomo e una delle maggiori cause, della gravità della crisi che stava attraversando l’azienda di Detroit, le cui auto, oltre ad essere mediocri in termini di progettazione e produzione, erano ormai percepite come veicoli per vecchi e perciò non potevano certo far presa sulla ricca ed esuberante gioventù delle due coste, specialmente su quella del Pacifico.
Anche se l’industria automobilistica è nata nel Michigan, si è sviluppata infatti in California. Ḕ stata la California a darci i primi esempi di arterie ampie e quindi di scorrimento veloce. Ḕ sempre stata la porta di accesso al mercato dei giovani con auto potenti, con cambio a quattro marce e leva centrale, ruote di scorta esterne con copriruota fantasia, furgoni trasformati a camper, automobili pazze e mille altre elaborazioni di modelli di serie provenienti da una catena di montaggio di qualche fabbrica del Michigan (“Una autobiografia”, Sperling & Kupfer, 1986).
Così, quando Ronald Reagan viene eletto presidente nel novembre del 1980, la California è già da tempo avviata a diventare una sorta di grande potenza nella grande potenza, e nell’approdo alla Casa Bianca del suo ex governatore (dal 1967 al 1975), si può riscontrare la sanzione politica dello stato avanzato raggiunto da questo processo.
Incassato il colpo dello scoppio della “bolla new economy”, tra il 2000 e il 2001 (a cui non poteva rimanere estranea essendo la terra della Silicon Valley), e quello della crisi energetica, che ha avuto la sua vicenda emblematica nel “caso Enron”, con la crisi finanziaria mondiale apertasi nella seconda metà degli anni 2000, la California è entrata in una fase di grave difficoltà che ha toccato il culmine con i mandati del governatore repubblicano Arnold Schwarzenegger (dal 2003 al 2011), la cui gestione ha quasi “terminato” il bilancio dello Stato portandolo sull’orlo della bancarotta.
Con il ritorno in sella del democratico Jerry Brown (foto), già governatore dal 1975 al 1983, è iniziata una non facile inversione di tendenza che nel 2015 (anno della riconferma di Brown per un secondo mandato), ha visto il PIL californiano attestarsi a 2.448 miliardi di $ a valori correnti, con una crescita del 4,1% sull’anno precedente.
Per mettere in risalto il peso economico raggiunto dalla California si è soliti sottolineare che se fosse uno Stato indipendente potrebbe candidarsi come membro del G7, e del resto, con quasi 40 milioni di abitanti, è anche più popolosa del Canada che ne ha poco più di 35 milioni. Questo tipo di argomentazione si avvale di un’immagine di indubbia efficacia e va benissimo in termini di speculazione teorica, ma non bisogna dimenticare che questo Stato costiero non avrebbe potuto diventare quello che è se non avesse fatto parte degli Stati Uniti d’America.
Il Golden State oggi può vantare lo status di grande potenza nella grande potenza grazie al fatto di appartenere ad uno Stato i cui fattori di sovranità – moneta, istituzioni finanziarie, organismi politici, Forze Armate – sono emanazione di una forza economico-demografica continentale. La crescita di quest’ultima e l’ascesa politico-militare di California e Stati Uniti, raccontano la storia di un rapporto simbiotico in cui (all’interno di una dinamica di collaborazione-competizione che è fisiologica per un’entità politica federale), gli uni sono indispensabili all’altra e viceversa.
Questa combinazione dialettica (che ovviamente negli USA non vale solo per la California), e la sua risultante, pur con le importanti differenze dovute ad un processo di unificazione che coinvolge Stati di ben più antica e radicata identità di potenza, merita attenta considerazione sul versante europeo, dove - nonostante i recenti risultati “strabilianti”, e tanto sbandierati dai “brexiter” e dai loro accoliti, relativi a crescita economica e occupazione - i presunti campioni di un veterosovranismo insulare, rischiano di trovarsi nella situazione dell’apprendista stregone incapace di controllare le forze da lui stesso invocate.
Per non parlare di chi, all’ombra della Tour Eiffel, crede di offrire il ritorno a chissà quale “grandeur” promettendo l’uscita dal mercato comune europeo, dall’euro e dal comando militare integrato della NATO, mentre dovrebbe essere evidente da tempo quanto pesi - sulla definizione di una incisiva politica estera e di sicurezza (gestione dei flussi migratori inclusa) - il deficit di centralizzazione politica della UE, che, compromettendo la capacità di sintesi unitaria, inficia l’autorevolezza di un qualsivoglia punto di vista europeo, a partire dall’interno dell’Alleanza Atlantica.
Le singole nazioni del Vecchio Continente, senza la massa critica e la forza d’urto di uno Stato federale che sia strumento (in quanto espressione), di un’effettiva Europa-potenza: nel quadro delle relazioni internazionali del XXI secolo, che ruoteranno sempre di più attorno al confronto tra grandi potenze continentali, sembrano proprio destinate (chi più chi meno), ad essere il corrispettivo degli “staterelli” dell’Italia preunitaria.