Far atterrare incolume un uomo che precipita nel vuoto è un problema già affrontato e risolto nella metà dello scorso millennio da precursori del paracadutismo quali Sebastiano Fausti, Paolo Guidotti e Fausto Veranzio. E sempre italiani sono stati i primi a far registrare lanci effettuati da personale militare nel corso della prima guerra mondiale: i pionieri furono i tenenti Alessandro Tandura e Pier Arrigo Barnaba. Per una serie di eventi l’Italia dovrà attendere però il 1938 per costituire il primo reparto militare di paracadutisti, peraltro in terra d’Africa e solo parzialmente formato da italiani; addirittura il 1° luglio del 1940 per la creazione del 1° Battaglione Paracadutisti.
Se l’Italia può essere considerata la culla del paracadute, i russi devono essere riconosciuti quali veri precursori della costituzione e dell’impiego di reparti militari che ne fanno uso. Merito quest’ultimo che va ascritto alla lungimiranza del generale e poi maresciallo Mikhaïl Toukhatchevski, al tempo Capo di Stato Maggiore dell’Armata Rossa. Toukhatchevski all’inizio del 1930 inviò negli USA alcuni ufficiali piloti per studiare i diversi tipi di paracadute all’epoca esistenti utilizzati dagli americani. Faceva parte di questa spedizione il maggiore Minov, che al suo ritorno in Russia prospettò al maresciallo Toukhatchevki l’idea di impiegare il paracadute come mezzo di trasporto per unità di élite. Il maresciallo Toukhatchevki accolse con entusiasmo la proposta e ne divenne fervido sostenitore: pochi mesi dopo, il 2 agosto del 1930, ebbe luogo la prima esercitazione aviotrasportata nel corso della quale 10 paracadutisti, agli ordini del sottotenente Mochkovsi, sorpresero e occuparono, a seguito di un lancio, il quartiere generale del Corpo d’Armata nemico. Nel 1932 furono costituiti, con stanza a Kiev, Leningrado e Mosca, i primi battaglioni di paracadutisti, forti di 450 uomini.
A Touchino, nel 1933, fu inaugurata la prima scuola di paracadutismo militare russa, in seguito anche scuola per istruttori, aperta a militari anche di altre nazioni europee. Negli anni successivi l’interesse per il paracadutismo militare crebbe sensibilmente grazie all’azione dell’ “Osoaviakhim”, organizzazione ausiliaria dell’Armata Rossa che aveva lo scopo di divulgare gli sport aerei tra i giovani. In quello stesso periodo vennero costruite 1000 “torri da salto”, delle quali la più famosa situata nel Parco della Cultura di Mosca.
Dal 1934 i reparti di paracadutisti furono dotati dei Tupolev TB-3, aerei da trasporto a quattro motori forniti di 6 porte di lancio. Nel settembre dell’anno seguente, nella regione di Kiev, ebbe luogo il primo aviolancio di massa della storia del paracadutismo militare: una flotta di trenta TB-3 lanciò ben 1200 paracadutisti. Successive manovre con lanci di massa ripetute nella regione di Mosca, nella Russia Bianca, in Transcaucasia e in Asia centrale, sancirono definitivamente l’attualità e la potenziale efficacia dell’impiego di truppe aerotrasportate.
Nel 1937 l’esercito russo contava 100.000 paracadutisti militari e le prime quattro Brigate VDV, acronimo di Vozdúšno-desántnye vojská (truppe aviotrasportate). Numeri che danno l’assoluta evidenza del significativo anticipo con il quale la Russia ha preceduto il mondo nell’impiego delle aviotruppe.
Durante la Seconda guerra mondiale la carenza di aerei fece si che le DVD fossero impiegate quasi esclusivamente come truppe di fanteria, mentre alcuni tentativi di impiego con lanci oltre le linee nemiche non ebbero fortuna. Nel settembre 1941 le VDV furono ampliate a 10 Brigate; disciolte e trasformate in unità di fucilieri, artiglieria e blindati, sotto il comando del generale Joludev, presero parte alla battaglia di Stalingrado, aggregate alla 1a Armata della Guardia.
Nel febbraio 1943 furono ripristinate 23 Brigate di VDV per una forza complessiva di 3500–4500 uomini. Furono impiegati anche con aviolanci in operazioni sul fronte del Dniepr e successivamente, nell’agosto del 1945, in Manciuria, alla presa e poi alla difesa degli aeroporti di Harbin, Moukden, Kirin e Changchen, appena pochi giorni prima della fine della Seconda guerra mondiale.
Nel Dopoguerra ebbe inizio il programma di aggiornamento, potenziamento e trasformazione delle VDV che negli anni ha portato questa specialità dell’esercito russo a contare le attuali 4 Divisioni, delle quali una composta di soli volontari, per un complessivo di oltre 50.000 uomini. Tutte le Divisioni sono meccanizzate, montate su mezzi corazzati e perciò caratterizzate da mobilità e potenza di fuoco, molto maggiori rispetto agli analoghi reparti degli altri eserciti.
Il livello di patriottismo e di tensione spirituale che caratterizzano questi reparti sono ispirati a quel codice di onore e a quegli ideali che affondano le radici nelle più antiche tradizioni militari russe, da sempre basate su valori avulsi dall’esito finale di una battaglia. Le VDV hanno giocato un ruolo importante, spesso determinante, in molti degli eventi bellici che hanno coinvolto la Russia anche dopo la dissoluzione dell’URSS e possono essere a buon diritto considerate la massima espressione del valore militare del Paese.
È stata recentemente annunciata da Difesa Online la decisione della Sezione di Roma dell’Associazione Nazionale Paracadutisti d’Italia di dedicare alla memoria di Alexander Prokhorenko il prossimo corso per abilitazione al lancio con paracadute (161°, inizio previsto a settembre 2016 n.d.a.). Sembra doveroso in proposito ricordare come il gesto del quale si è reso protagonista il giovane specnaz, del quale poco o nulla è stato riportato dai media, abbia rappresentato solo il più recente tra gli episodi di eroismo che hanno contraddistinto l’attività e l’impegno dei paracadutisti russi in fatti d’armi.
Come altra esemplare manifestazione di patriottismo viscerale è il caso di ricordare la battaglia di Ulus-Kert, durante la Seconda guerra di Cecenia. L’evento ha contributo non poco alla rinascita della coscienza militare russa, minata dal tracollo successivo all’implosione dell’URSS e dalla prima avventura nel Caucaso negli anni ’90.
Dopo la caduta della capitale cecena, una forza di oltre 2000 guerriglieri ceceni e foreign fighters islamisti si era raccolta a Ulus-Kert, piccola cittadina situata 50 km a sud di Grozny e circondata da un aspro terreno montagnoso. Nei progetti dei guerriglieri c’era attraversare le montagne in direzione sud est, per riparare nel territorio della in parte compiacente Repubblica del Dagestan e potersi così riorganizzare per riprendere i combattimenti. Il compito di accerchiare i guerriglieri e impedirne la ritirata attraverso le montagne, fu affidato al 104° Reggimento della 76a Divisione VDV. I guerriglieri, forti della conoscenza del territorio e di una rete d’informatori locali, pressati da nord dai mezzi blindati e dalle artiglierie del reggimento, decisero di accelerare la ritirata attraverso il passo compreso tra le quote 786 e 787. Alla VI a Compagnia parà venne affidato il compito di occupare il passo, che, data l’asperità del terreno, poteva essere raggiunto solo a piedi. Già durante il suo trasferimento, la Compagnia fu impegnata in duri scontri con le avanguardie cecene, forti di 150-200 uomini armati pesantemente. Benché provati dagli scontri, i paracadutisti raggiunsero l’obiettivo, apprestando in tutta fretta le difese necessarie a contenere gli oltre 2000 uomini del gruppo di combattimento ceceno, arrivato ormai a contatto.
Le perdite umane della VIa Compagnia, solo al termine della prima giornata di combattimenti, contavano 31 morti e un numero elevato di feriti. A rendere ancor più drammatica la situazione dei paracadutisti concorrevano le condizioni atmosferiche, in particolare la nebbia, che costrinsero a terra gli elicotteri d’attacco del reggimento, impedendo assistenza e copertura.
Il clima e la violenza delle ostilità sul campo potevano essere evinte dalle urla che si scambiavano i combattenti sui due fronti: al grido dei Ceceni “Allah Akhbar”, i paracadutisti russi rispondevano “Cristo è risorto”. Al termine del secondo giorno, le perdite di uomini salirono a 56 unità e le forze superstiti erano rappresentate da un ufficiale, il capitano Sokolov e 32 paracadutisti, quasi completamente privi di munizioni. Il terzo giorno, nel disperato tentativo di frenare un nuovo attacco islamista, il capitano Sokolov chiamò il fuoco della artiglieria russa sulle proprie postazioni. I ceceni furono respinti ancora, ma sul campo si contarono altri 16 paracadutisti caduti. Il giorno successivo, il quarto e ultimo della battaglia, ancora 11 paracadutisti restarono uccisi. Quando dal cielo, divenuto finalmente praticabile, giunsero gli elicotteri e i soccorsi, della forza iniziale dei 90 uomini della VI a Compagnia restavano solo 6 sopravvissuti. La posizione era stata però mantenuta.
Anche a questi paracadutisti, come ad altri prima di loro, mancò la fortuna, non l’onore. Dopo El Alamein, Montecassino, Dien Bien Phu… Ulus-Kert rappresenta una nuova pagina di gloria nella storia del paracadutismo del nostro vecchio, un po’ stanco e confuso, ma certamente indomito, continente.
(Adriano Tocchi, presidente ANPd'I Roma)
(foto: ВДВ)