Il progetto del Califfato, che oggi sembra essere qualcosa di nato improvvisamente dalle ceneri di un disfatto Iraq e solo per riaffermare il ruolo dei sunniti nel mondo islamico, è invece qualcosa che ha iniziato a presentarsi sullo scenario mondiale fin dal 2004.
Lo possiamo leggere in un documento del National Intelligence Council, il noto organo della “intelligence community” (ossia CIA, DEA, FBI, ecc.), intitolato “Mapping the Global Future” (Mappare il futuro globale).
Un pericolo sottovalutato che ha permesso la nascita di una organizzazione che ormai dispone di uno staff moderno in grado di saper sfruttare al meglio le possibilità offerte dalla comunicazione globale e che produce un'informazione potente, spesso scioccante, diffusa principalmente attraverso Internet. Immagini “forti” con lo scopo di indurre timore nell’avversario e nello stesso tempo esaltare le masse più radicali delle popolazioni islamiche riscuotendo il loro consenso. Immagini che seducono e nello stesso tempo inducono nella folla la percezione di essere invincibile perché portatrice del verbo di Allah. Decapitazioni e stragi di massa, proposte non solo al Medio Oriente ed all’Asia ma anche all’Africa. La prima risposta positiva dalla Nigeria, dove i fondamentalisti nigeriani del Boko Haran si sono immediatamente adeguati lanciando proclami che riaffermano la Sharia, accompagnati dall’annuncio del loro leader Abubakar Muhammad Shekau di aver inglobato nel Califfato islamico, Gwoza, città nel nord-est della Nigeria. Un coinvolgimento che potrebbe estendersi anche in Indonesia e nello Sri Lanka a vantaggio della fazione secessionista delle Tigri del Tamil.
Il Califfato per l’islam radicale potrebbe rappresentare, quindi, “l'unità politica” dei musulmani, ovvero la Umma (Comunità dei credenti). Il Califfo è il "Comandante dei credenti", successore politico più che spirituale di Maometto nella sua funzione di capo della Umma ed in tale veste rappresentante pro tempore di Allah sulla terra.
Il 29 giugno i militanti dello Stato islamico dell’Iraq e del Levante (ISIS) hanno ufficializzato la loro esistenza con un messaggio su Internet, informando sulla “ricostituzione del califfato” nell’area da loro controllata in Iraq e in Siria. Il portavoce dell’organizzazione Abu Mohammad al-Adnani ha anche annunciato al mondo che il nuovo leader è Abu Bakr al-Baghdadi, chiamato “califfo Ibrahim”.
Le origini dell’ISIS sono lontane nel tempo, anche se i dissapori interni ad Al Qaeda per l'assegnazione della leadership dopo la morte di Bin Laden ne hanno forse facilitato il consolidamento. Risalgono al 2000 quando Abu Musab al-Zarqawi, un giordano che aveva combattuto insieme a Bin Laden contro l’invasore sovietico dell’Afghanistan, decise di fondare qualcosa che si opponesse ad Al Qaeda. Zarqawi, infatti, in quei giorni gettava le basi per la costituzione di un vero e proprio Califfato islamico esclusivamente sunnita e che si richiamasse ai valori storici ed etici della storia dell’Islam.
Non è azzardato, quindi, definire l’ISIS come un’emancipazione di Al Qaeda, sorto per creare una specie di “esercito sunnita” pronto a difendere i territori abitati dai musulmani da una possibile occupazione dell’Occidente.
Dopo 13 anni dall'attacco alle Torri Gemelle, dopo la “Primavera Araba” e nonostante le iniziative di Zarqawi il fondamentalismo islamico si presenta, infatti, ancora in maniera frammentata facendo riferimento a gruppi radicali eterogenei di difficile controllo, spesso in lotta fra loro e portatori di una minaccia non facilmente prevedibile.
Un terrorismo difficile da contrastare rispetto a quando il pericolo era riconducibile solo ad Al Qaeda, specialmente ora che è strisciante l’avvicinamento all’ISIS delle varie organizzazioni espressione del radicalismo islamico e sparse nel mondo. Diverse le connotazioni e differente la dislocazione di queste entità, per questo difficilmente controllabili da parte dell’intelligence internazionale.
L’ISIS è collocabile in una vasta area del nord iracheno che va da da Mosul alla periferia di Aleppo in Siria, estendendosi anche a sud dell’Iraq da Rutba fino a raggiungere le prime case della città siriana di Dayr az Zor .
In Siria sono presenti, oltre allo stesso ISIS, altri piccoli gruppi radicali che fanno del terrorismo la forma di lotta preferita: il Fronte al-Nusra, i partigiani della vittoria del popolo della Grande Siria affiliato con Al Qaeda, la Brigata Tawhid, il principale gruppo di ribelli attivo nella provincia settentrionale di Aleppo, l'Esercito dell'islam finanziato dall’Arabia Saudita per contrastare Al Qaeda, che riunisce 50 gruppi armati e migliaia di combattenti, Il gruppo Ahrar al-Sham, "Uomini liberi della Grande Siria, gruppo armato che raduna varie formazioni minori d'impronta ideologica islamista e salafita. Tutte fazioni estremistiche che hanno dichiarato come scopo principale quello di creare uno Stato islamico.
In Africa settentrionale e magrebina opera il gruppo “Al-Qaïda au Maghreb islamique” (AQMI), organizzazione estremistica di origine algerina nata con lo scopo di rovesciare il governo algerino e costituire uno Stato islamico.
In Nigeria opera da tempo la setta islamista Boko Haram, attiva nella regione fin dal 2002 che ha l’obiettivo di far cadere l'attuale governo nigeriano per fondare uno stato islamico africano, basato sula sharia.
In Somalia è attivo il gruppo islamico al-Shabab, parola originata dall'arabo "al-Shabāb", la Gioventù. Gruppo insurrezionale islamista, di fatto una cellula somala di Al Qaeda considerata da moltissimi governi occidentali come una vera e propria organizzazione terroristica. Uno degli obiettivi primari del gruppo è la istituzione della regola della Sharia come legge delle Stato somalo. E’ presente anche in altri Paesi africani, ed è stato protagonista nell’attentato del 2013 a Nairobi al centro commerciale Westgate che provocò la morte di 68 persone.
In Egitto, opera il gruppo Ansar Bayt al-Maqdis gruppo terroristico basato nel Sinai, che recentemente ha diffuso un video sulla decapitazione di quattro persone perché sospettate di appartenere al Mossad. Noto anche come Ansar Jerusalem è un gruppo jihadista salafita che opera nella Striscia di Gaza e la penisola del Sinai. Ansar Jerusalem impiega per lo più beduini locali con lo scopo di "liberare la nostra Ummah e i musulmani dalla schiavitù dei regimi apostati oppressivi, stabilire la giustizia, la dignità e la libertà per loro, solo al servizio di Allah ed attraverso la corretta attuazione della Sharia”. E’ considerata dal Dipartimento di Stato USA un’organizzazione terroristica e sembra essere finanziata dai Fratelli Mussulmani. Al momento non risulta siano legati all’ISIS.
In Libia opera il gruppo chiamato Ansar al-Sharia, (Partigiani della legge islamica), milizia islamista che sostiene una rigida attuazione della Sharia ed è nata durante la guerra civile libica. Il leader è tale Emir Mohamed al-Zahawi che sviluppa una costante attività terroristica contro civili libici e americani. Nel 2012 è stata l’artefice principale della eliminazione dell'ambasciatore USA Christopher Stevens.
In Afghanistan e Pakistan, i Talebani che acquisirono il potere nel 1990 da sempre convinti sostenitori della Sharia, operano ancora nel Paese nonostante l’intervento Occidentale del 2001, dislocati in molte aree dell’Afghanistan, in particolare a ridosso delle Aree Tribali pakistane.
Infine Al Qaeda che dopo le vicende afgane si è ricompattata nella Penisola Arabica e nello Yemen. Il gruppo che agisce sotto l’acronimo Aqap, è considerato dagli USA come la più pericolosa compagine terroristica del mondo. Il loro scopo è costituire un califfato islamico facendo cadere l’attuale governo yemenita e la monarchia saudita.
Un quadro di situazione, quindi, molto complesso e variegato dove l’ISIS potrebbe rappresentare il naturale coagulo ideologico e radicale, davvero pericoloso e potente se completasse l’aggregazione con quello che resta della vecchia nomenclatura di Al Qaeda, che in questi giorni risulta stia compiendo un avvicinamento al Califfato. Un’unione con lo scopo di portare avanti una lotta comune e ad oltranza, con azioni terroristiche eclatanti per le quali potrebbe essere preziosa la consolidata expertise della vecchia organizzazione di Bin Laden.
Decisione che in verità ha colto di sorpresa molti analisti e che potrebbe nascondere altri fini oltre a quello di una semplice alleanza. Il vertice di Al Qaeda, infatti, aveva disconosciuto l’auto proclamazione del Califfato islamico e denigrato il ruolo di al Baghdadi con un proclama di al Zawahiri che dall’Afghanistan aveva espresso il proprio dissenso, dicendo “Il Califfato non è un’evoluzione del nostro movimento e non ne riconosciamo legittimità e obiettivi in Irak”.
Ora Al Qaeda invoca, invece, l’unità di azioni e di intenti forse perché si è resa conto che il Califfato ha raggiunto un obiettivo sempre sfuggito a Bin Laden: individuare un territorio esteso per insediare le proprie postazioni permanenti e dar vita ad una forma di vera e propria “statualità” con il concorso attivo di tutti i gruppi radicali del mondo islamico.
Un’alleanza da cui il terrorismo potrebbe riuscirne rinvigorito producendo azioni ben più eclatanti rispetto a quella dell’11 settembre. Attacchi terroristici realizzati anche con ordigni “sporchi” (chimici, nucleari e biologici), colpendo organi istituzionali ed i vertici delle altre religioni. Il tutto per creare condizioni destabilizzanti di vasta portata in un Occidente peraltro in difficoltà economiche e quindi lento a reagire.
In questo contesto, Al Qaeda potrebbe rappresentare la “mente operativa” e l’ISIS garantire due aspetti di primaria importanza nell’oggettivazione di una strategia terroristica. Consistenti risorse economiche (si parla di 2 miliardi di dollari) di gran lunga superiori a quelle della vecchia Al Qaeda, e la capacità di coinvolgere nell’azione estrema un massiccio numero di combattenti stranieri - immigrati di prima o seconda generazione o convertiti all’Islam - reclutati anche attraverso l’efficacia del messaggio estremo che riesce a far circolare sui media e sulla rete.
Peraltro, la costituzione del Califfato sta assumendo connotazioni geografiche ben precise ed il suo leader Al-Baghdadi attribuisce alla propria famiglia un’appartenenza ad una delle fazione piè radicali sunnite ed una discendenza diretta dal Profeta. Si richiama, inoltre, alla interpretazione più rigorosa della sharia dando corpo alle proprie parole con le inaudite violenze sui cristiani, gli sciiti e gli yazidi.
E’, comunque, poco realistico che il Califfato sarà in grado di esercitare la sua influenza su tutto il mondo islamico. Sicuramente, però, la proclamazione dello Stato islamico rappresenta una minaccia mortale per quello che resta di Al Qaeda e di tutte le altre fazioni radicali ad essa affiliate. Ciò potrebbe accelerare il processo delle alleanze che se avessero successo non metterebbero in discussione solo gli equilibri geopolitici del Medio Oriente, ma rappresenterebbero una nuova minaccia per la sicurezza internazionale.
Di fronte a questi rischi è assolutamente urgente ed imperativo che l’Occidente alzi immediatamente il livello di guardia non limitandosi a colpire L’ISIS e Al Qaeda, ma ampliando le azioni di “guerra preventiva” anche contro tutte le altre organizzazioni che potrebbero entrare a far parte del Califfato.
Qualsiasi ritardo favorirebbe, infatti, aggregazioni anche su vasta scala, incrementando il livello della minaccia terroristica che potrebbe evolvere unendo le risorse e l’esperienza delle singole organizzazioni, in primis di Al Qaeda e dei suoi accoliti, e che sarebbe accompagnata e supportata dalle risorse economiche ed idealistiche del Califfato.
Occorre, quindi, fare in fretta, in particolare con il coinvolgimento pieno di una disarmata Europa confinante con le principali aree a rischio, ma priva di qualsiasi spunto di politica estera concreta.
Fernando Termentini