Siamo onesti, esiste già uno stipendio “di cittadinanza”. È una paga che non garantisce alcun futuro, talvolta nemmeno il pubblico rispetto: è quello dei volontari delle forze armate.
In Italia sono decine di migliaia i ragazzi che prestano servizio al Paese (29.417 in questo momento) per poi trovarsi in mezzo ad una strada - magari dopo 10 anni di impegno - con un curriculum che riporta spesso come unica esperienza lavorativa: “Soldato”. Questa non è un’opinione, lo testimoniano le molte – troppe – lettere che riceviamo in redazione. La maggior parte sono dei genitori.
Il servizio permanente è un orizzonte possibile, ma per pochi.
Nei programmi della Difesa, si vorrebbe aumentare la quota di volontari in ferma prefissata di oltre 5.000 uomini e donne (34.700 nel 2024).
La domanda è: se verranno elargiti i famosi 780 euro, cosa incentiverà un giovane concittadino ad ambire a spezzarsi la schiena con turni e mansioni pesanti, talvolta assai “poco marziali”, sempre umili, per 270 euro in più?
Ricordiamo che in altri Paesi aver indossato la divisa è un merito che apporta enorme rispetto e stima nella valutazione di un candidato. Da noi, ancor oggi, aver servito la Patria è indifferente rispetto alle ben più meritevoli telefonate, lettere di “segnalazione” e tessere di partito.
Tempo addietro il ministro Salvini aveva auspicato il ripristino della leva obbligatoria. Realisticamente il ministro Trenta aveva definito la proposta “un’idea romantica, ma non più al passo con i tempi”.
La Difesa non aveva risorse per alcunché allora, figuriamoci per ripristinare il servizio militare obbligatorio.
Dal momento che i soldi per stipendiare la mera “cittadinanza” oggi vengono trovati - anche con fondi tagliati al già esiguo bilancio della Difesa! -, perché non utilizzare migliaia di giovani abili, già parzialmente retribuiti, per il servire il Paese indossando orgogliosamente/pedagogicamente una divisa?
(foto: Presidenza del Consiglio dei Ministri / Esercito)