Quando le potenze europee si spartirono l’Africa con la Conferenza di Berlino nel 1884, gli assunti erano due: il Vecchio Continente era il baricentro del mondo; affinché tutto restasse così, ogni mezzo andava considerato legittimo.
Parliamo del mondo declinato secondo la regina Vittoria, fatto di regole e valori oggi certamente fuori luogo, ma imperanti per decenni. Eppure è bastato un secolo perché quel sistema di principi svanisse. In poco più di 100 anni l’equilibrio tra potenze che generava un mondo eurocentrico si è ridotto a una tavola rotonda di Paesi eunuchi, culla di un pensiero così debole da non essere buono nemmeno per piangersi addosso.
Se l’Europa del colonialismo imperialista si ergeva su assiomi oggi irricevibili è quanto meno curioso però che l’eredità di quel mondo si risolva tutta nell’Unione Europea, sulla carta famiglia di popoli, in realtà insieme morbido di zombies che non si riconoscono ma sono tenuti insieme da mafie finanziarie e caste politiche.
Cosa ci è successo?
La risposta spetta agli storici. A noi compete l’analisi di ciò che vediamo per trarne spunti geopolitici.
Partiamo dal Belgio, uno dei tanti casi da prima pagina e ottima sintesi per capire come vanno le cose in Europa.
La terra delle patatine fritte e della birra trappista in poco più di un secolo è passata dal “colonialismo personale” di Leopoldo II alla laicizzazione delle feste cristiane di Pasqua, Natale e Ognissanti. Da culla del cattolicesimo reazionario e del Rexismo è diventato la nazione dell’eutanasia infantile (permessa per legge), prima in classifica nel continente anche nella speciale classifica dei suicidi.
La patria di Goffredo di Buglione (nell'immagine d'apertura), che oggi accoglie la capitale virtuale della nuova Europa e la sede della NATO, è il primo Paese per esportazione di miliziani islamisti, frutto di quel serbatoio multiculturale tanto caro alle menti illuminate del continente. Ci sono aree ghetto di Bruxelles come la ormai famigerata Mollenbeek, dove essere bianco e cristiano è un limite serio. Siamo a meno di 3 km dalla Grand Place, il cuore del cuore d’Europa…
Non parliamo di eccezioni ma di realtà ormai irreversibili in molti centri teoricamente solidi della cultura europea: da Oslo a Copenaghen, da Parigi a Colonia, da Londra ad Amsterdam…
Tutto questo non è casuale ma frutto di un virus della coscienza una volta detto masochismo, ma che oggi invece si spiega con quella sociologia buona a intendere gli psicodrammi collettivi.
Il problema di noi europei moderni è in effetti sostanzialmente psicologico, probabile eredità di un’opulenza eccessiva goduta da generazioni che non hanno contribuito a costruirla.
Chi è arrivato maggiorenne nel secondo dopoguerra oggi ha superato i 90 anni. Non ci sono quasi più testimoni diretti dei “tempi difficili” e l’attuale classe dirigente attinge a piene mani tra i nati nella forbice 1950-1965, generazione educanda ai tempi degli eschimo e della cultura “anti”.
Noi europei sotto i 70 anni siamo in sostanza portatori naturali di un’impotenza generazionale diventata rifiuto di ogni identità, soprattutto di quella legata al passato, considerato chissà perché colpevole unico della nostra inappetenza. In altri termini, ci comportiamo come il rampollo coglione di una famiglia blasonata, abituato al patrimonio del nonno senza averlo sudato, ma talmente stordito da essere capace di distruggerlo.
La scivolosa evanescenza di un pensiero sempre più debole e uniforme trova la sua massima espressione non a caso nel “terzomondismo per sentito dire”: dotati di una buona dose di ignoranza in Storia e Geografia ci permettiamo di reputare migliore tutto ciò che è alieno o esotico e se possibile anche di promuoverlo a nostra vittima, così da aumentare l’effetto colpa.
In questo modo la civiltà europea finisce per annullare se stessa in una corsa al rovesciamento di ogni status, generando ribaltamenti continui, ben oltre il limite della logica.
I casi di follia da cui trarre spunto sono infiniti: ci mobilitiamo per un cane abbandonato ma finanziamo il traffico di feti umani; vendiamo armi all’Arabia Saudita ma aboliamo i soldatini dai nostri giocattoli; togliamo i Crocefissi dalle scuole ma permettiamo che esista la lapidazione…
Scontiamo colpe inesistenti come sorta di redenzione di una coscienza annoiata, impaurita, non più padrona dei propri riferimenti. Siamo lontani da ogni simmetria del rispetto ma continuiamo a fingerci tolleranti. Accettiamo di essere respinti in quanto “miscredenti” davanti a una moschea ma riempiamo pagine di multiculturalismo ebete, emetico almeno quanto l’ipocrisia che ci si nasconde dietro. Siamo così ossessionati dal rispetto degli altri da dimenticare che anche noi siamo “altri”, quando il punto di vista cambia.
Cosa sarà dell’Europa e dei valori su cui è si è sviluppata nei secoli?
In molti dicono che è proprio la tolleranza il perno attorno cui è cresciuta e in virtù di questo non si debba fare assolutamente nulla per deviare lo tsunami culturale che ci sta travolgendo.
È bizzarro pensare però che l’indulgenza valga per tutti, tranne che per noi stessi. Ma in fondo non c’è da stupirsi: la contraddizione è l’essenza dell’autolesionismo, male incurabile di cui noi europei siamo indiscutibilmente vittime.