1000 giorni sono trascorsi da quando i nostri due fucilieri di marina Massimiliano Latorre e Salvatore Girone sono stati imprigionati dall'India senza che nei loro confronti fossero formalizzati atti di accusa circostanziati.
Un soggiorno obbligato dall’Italia nel momento che il 22 marzo 2013 lo Stato decise di riconsegnarli alla giustizia indiana nonostante prevedesse la pena di morte e negando loro ogni diritto connesso allo status di militari impiegati in operazioni fuori area volute dal parlamento nazionale e da risoluzioni ONU per il contrasto alla pirateria marittima.
E' fuori di ogni dubbio che in quella occasione l'Italia ha eseguito un atto di estradizione passiva, scegliendo di delegare all’India la gestione di un’azione giudiziaria assolutamente indebita, peraltro non suffragata da prove.
Fatti che si trascinano da 1000 giorni e protetti da "verità nascoste" che hanno suggerito al governo Monti di riconsegnare due militari in mani “palesemente ostili”. Una decisione in assoluto contrasto con la cultura giuridica ed etica italiana e presa senza rispettare la Costituzione e l’articolo 698 del Codice di Procedura Penale che vieta l’estradizione di chiunque, italiano o non, rischi di essere oggetto di un procedimento penale senza la garanzia dei diritti fondamentali della difesa ed in assenza prove certe.
Una decisione istituzionale di dubbia congruità legale ed all’epoca giustificata dall’assicurazione formale dell’India sulla non applicazione della pena capitale. Documento, però, privo di consistenza giuridica, come espressamente sancito da unasentenza della corte costituzionale (n. 223 del 27 giugno 1996) con cui la suprema corte ha ritenuto la semplice garanzia formale della non applicazione della pena di morte, atto insufficiente alla concessione dell’estradizione.
Un vero e proprio arbitro i cui motivi non sono chiari e per questo i fatti sono stati sottoposti all'attenzione della procura della repubblica di Roma.
Una decisione abnorme per un Paese come il nostro, tradizionalmente in prima linea nel combattere la pena di morte. In quel triste giorno, invece, l'Italia ha voluto tutelare interessi di dubbia natura considerati prevalenti rispetto alla certezza della difesa del diritto alla vita, solennemente proclamato in tutti gli atti internazionali sui diritti della persona, a cominciare dalla Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo del 10 dicembre 1984.
Un’Italia che in quella occasione, a distanza di più di due secoli, ha dimenticato che la “pena di morte non è un diritto, ma è guerra di una nazione contro un cittadino”, come scriveva Cesare Beccaria in “Dei delitti e delle pene”.
L'eventualità che l'India possa applicare la pena capitale, peraltro, non è ancora scongiurata se si analizzano recenti agenzie di stampa sulla vicenda. Un' AGI da New Delhi del 30 agosto che riporta tra l’altro “…La polizia antiterrorismo Nia, che ha istruito il caso dei marò accusati dell'uccisione di due pescatori indiani nel febbraio 2012, lo ha affidato al tribunale speciale, nonostante l'opposizione della difesa che sostiene che la Nia non avesse più competenza ...e su cui si è in attesa delle controdeduzioni del governo di New Delhi”.
Controdeduzioni che non risulta siano ancora arrivate per cui rimane “pending” la competenza della NIA e quindi l’applicazione della Sua Act (legge antiterrorismo) e, conseguentemente, il rischio della pena capitale non è ancora cancellato.
Dopo 1000 giorni, quindi, nulla è certo sulla sorte dei due nostri militari e lo Stato italiano continua a barcamenarsi confermando la vergogna di aver deciso di rinunciare alla sovranità nazionale e di aver lasciato in mani ostili due nostri concittadini colpevoli solo di aver scelto di servire il proprio Paese in uniforme.
1000 giorni rotti solo da dichiarazioni di intenti e da nessun risultato, che offendono l’Italia, le sue tradizioni e la sua cultura. Quasi tre anni in cui la sovranità italiana è stata cancellata per proteggere interessi economici di lobby e personali non meglio connotabili.
Una storia senza fine, inaccettabile ed in cui le parole dominanti sono state sempre “riservatezza e profilo basso". 1000 giorni caratterizzati da un’indifferenza totale e quasi generalizzata a livello politico, incomprensibile da parte di chi invece avrebbe dovuto far sentire la propria voce in maniera incisiva. Primo fra tutti il presidente della repubblica custode della Costituzione ed al quale la Carta Costituzionale all’articolo 87 assegna l’alto Onore di Capo delle Forze Armate.
1000 giorni in cui si sono succeduti tre governi che sembra si siano passati “il testimone” su come gestire il caso. Quello del presidente Monti che ha deciso di rispedire in India i due fucilieri di marina con un ministro della Difesa attento a non abbandonare una nave ormai alla deriva e prossima all’approdo, pur di non rischiare posizioni di privilegio future.
Il secondo, del premier Letta molto distaccato dalla vicenda nella sua azione di governo e che ha preferito delegare la responsabile della Farnesina Emma Bonino, molto brava a promettere ma nello stesso tempo, poco conclusiva negli atti. Piuttosto, molto decisa nelle parole quando affermava “Non è provata ‘innocenza dei due marò”, dissacrando i principi fondamentali dello Stato di diritto.
Un terzo governo, l’attuale, con il presidente del consiglio pronto a dichiarare agli italiani la sua vicinanza ai due marò con telefonate ed altre azioni di facciata, ma poco concreto nei risultati.
Un primo ministro che in base alle sue consolidate esperienze in tema di politica estera preferisce ricorrere ad una "Diplomazia Tranquilla", sinonimo in questo caso di "Diplomazia Dormiente", visti i risultati fino ad ora raggiunti.
Un esecutivo caratterizzato forse più del precedente da sole dichiarazioni di intenti che a nulla hanno portato e che ha anche disatteso una proposta della Croce Rossa Internazionale di occuparsi della vicenda.
Le onorevoli Pinotti e Mogherini, rappresentanti della Difesa e degli Esteri, assolutamente in sintonia nel rivendicare a parole il diritto italiano a giudicare, incisive nel dichiarare di essere pronte ad internazionalizzare il caso, ma pronte il giorno dopo a dichiarare l’intenzione di portare avanti contatti bilaterali basati su approcci di "secret diplomacy" ereditati forse dalla dottoressa Bonino.
Ora un nuovo ministro degli Esteri italiano che si affaccia alla ribalta internazionale dichiarando anche lui, appena nominato, di aver telefonato a Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, per poi tacere.
Gli italiani, invece, continuano ad attendere che due concittadini rientrino in Italia liberi ed a testa alta e le forze armate aspettano un segnale che garantisca loro la tutela dello Stato quando impiegate in operazioni fuori dal territorio nazionale.
Gli italiani che ancora credono nello Stato sono stanchi e non meritiamo ancora una volta le dichiarazioni di speranza come quelle del presidente della commissione affari esteri e comunitari della camera dei deputati, onorevole Cicchitto che recentemente ha auspicato che: "...i due marò Massimiliano Latorre e Salvatore Girone possano contare anche sulla solidarietà europea e della comunità internazionale per una rapida e definitiva risoluzione della loro vicenda" (ANSA 6 nov).
Un’ulteriore dimostrazione, se ce ne fosse bisogno, che parte della politica piuttosto che agire concretamente preferisce affidare l’affidabilità dello Stato alla solidarietà degli altri.
Un'Italia, infine, stanca di essere irrisa all'estero quando il neo ministro degli Esteri on. Gentiloni afferma, a quasi sei mesi dal’elezione del presidente indiano Modi, che il mutato quadro politico in India "produca risultati" sul caso dei due marò.
Una dichiarazione che non tiene però conto del fatto che dopo sei mesi dall'elezioni di Modi nulla è accaduto rispetto al passato. Piuttosto una continuità con quanto già avvenuto in questi 1000 giorni: il continuo rinvio delle udienze dei tribunali indiani aggravato dalla circostanza che si ritorni a parlare dell’applicazione o meno della Sua Act.
Il ministro Gentiloni invece di sperare dovrebbe far leva su quanto stabilito dal diritto internazionale e dalla Convenzione UNCLOS, avviando l'arbitrato tanto promesso dall'onorevole Mogherini, ma che forse dimenticato in qualche cassetto della Farnesina.
L'Italia, infatti, ha tutte le carte in regola per avere riconosciuti i propri diritti da “un arbitro internazionale” così come previsto dalla Convenzione del mare. Non esistono giustificazioni perché ancora non sia stata avviata questa procedura, nonostante che due giorni or sono proprio il presidente Modi abbia dichiarato in Birmania che l’India in tutte le controversie sul Diritto del Mare deve richiamarsi ad UNCLOS.
L'onorevole Gentiloni, quindi, se vuole confermarci la sua fiducia nella nuova politica di Modi, deve avviare immediatamente gli atti internazionali previsti ed in un certo senso indicati dal presidente indiano come la strada da seguire.
Non procedere in questa direzione rappresenterebbe una specifica responsabilità della politica italiana che deve essere chiarita e di cui qualcuno dovrà renderne conto.
Vogliamo parlarne?
Fernando Termentini