A livello istituzionale si continua a raccomandare di rimandare l’individuazione di eventuali errori commessi nella gestione della vicenda a dopo il rientro in Italia di Massimiliano Latorre e Salvatore Girone.
Sono, comunque, già in corso iniziative destinate a fare chiarezza sulla vicenda.
Il partito politico Fratelli d’Italia ha depositato la richiesta dell’istituzione di una commissione di inchiesta che chiarisca le responsabilità governative intorno al caso e l’iniziativa sembra che sarà reiterata anche dal Movimento 5 Stelle.
L’esortazione ad aspettare non è quindi più condivisibile. Troppo tempo è trascorso e fare chiarezza rappresenta un obbligo che qualsiasi democrazia non può negare ai propri cittadini e, nella fattispecie, non si andrebbe nemmeno a coinvolgere la controparte indiana che potrebbe sentirsi “infastidita” dall’azione italiana.
Fin dal primo momento l’intera vicenda è stata caratterizzata da scarsa trasparenza e dopo che il 22 marzo 2013 si è piombati nel peggiore oscurantismo dopo che i due marò sono stati rimandati in India.
Un esempio fra tutti gli 8 mesi trascorsi prima che, l’allora ministro della difesa ammettesse in parlamento che la difesa aveva dato l’assenso per un approdo dell’Enrica Lexie sul porto di Koci.
Perchè il tempo non cancelli la memoria è opportuno fissare i “paletti” intorno a cui è ruotata l’intera vicenda ed iniziare a capire chi è perché ha deciso determinate azioni. Solo così l’Italia potrà riconquistare rapidamente il consenso internazionale necessario per riappropriarsi del diritto di giudicare i propri militari riportandoli immediatamente a casa.
Ripercorriamo il diario a ritroso, partendo dai fatti recenti che spesso hanno confermato molti dei dubbi emersi in questi due anni.
La Corte Suprema indiana si è pronunciata su un ricorso di Latorre e Girone, avverso all’affidamento delle indagini alla NIA, presentato come singoli soggetti giuridici e non come Stato italiano. I due militari hanno esercitato un loro diritto che sicuramente non indebolisce la posizione italiana in materia di giurisdizione. A tale riguardo, però, si deve chiarire chi in una precedente udienza abbia deciso di costituire in un giudizio indiano lo Stato italiano. Costui ha gravi responsabilità perché l’atto potrebbe portare ad un indebolimento della posizione italiana sul piano della giurisdizione, anche per la visibilità data alla decisione con la presenza in Aula di un rappresentante ufficiale del governo, il dott. Staffan de Mistura. Perché l’Italia ancora non abbia avviato l’arbitrato internazionale che l’India sicuramente non desidera sapendo bene quali sarebbero le conclusioni arbitrali dopo la sentenza della Alta Corte indiana del 18 gennaio 2013. Perché è stato deciso di rimandare i due militari a Delhi nonostante che fossero a rischio di un giudizio che poteva prevedere la pena di morte e si è accettata una dichiarazione indiana di non applicabilità della stessa, assolutamente irrilevante sul piano giuridico italiano (Sentenza della Suprema Corte italiana n. 223 del 27giugno 1996). Tutto in assenza di una decisione di un tribunale italiano (Sentenza n. 40283 del 10 ottobre 2008). Pur nel rispetto dell’assoluta libertà decisionale della Procura della Repubblica, come mai nonostante che Massimiliano Latorre e Salvatore Girone fossero indagati per omicidio volontario non sia stato adottato nei loro confronti alcun provvedimento restrittivo, primo fra tutti la possibilità di espatrio, rinuncia che di fatto ha conferito prevalenza e precedenza all’indebita azione giudiziaria indiana. Chi ha deciso il “risarcimento ai fini umanitari” delle famiglie dei due poveri pescatori morti, elargendo 145.000 Euro? Un riconoscimento di responsabilità e non un semplice “atto di generosità” come a suo tempo specificato dall’ex ministro della difesa Di Paola. Un accordo raggiunto nell’aprile del 2012 dal capo di gabinetto del ministero della difesa italiano dopo averlo negoziato con gli avvocati di parte indiana. Le trattative erano in corso da diversi giorni con protagonisti negoziatori italiani coordinati dal ministro della difesa, Giampaolo di Paola, e i legali dei familiari dei due pescatori uccisi. In quei giorni il Times of India parlava di una prima offerta di risarcimento di 7 milioni di rupie (all'incirca 102mila euro) subito rifiutata, per poi arrivare ad un accordo di 10 milioni di rupie a ciascuna delle parti. Una elargizione definita atto di generosità, ma di fatto ricerca di una contropartita considerato che secondo il network televisivo Cnn-Ibn e il quotidiano on line The First Post, il governo italiano si è subito dopo rivolto alla Corte Suprema locale sollecitando la revoca della denuncia per omicidio a suo tempo formalizzata dalla polizia indiane nei confronti dei due fucilieri di Marina e chiedendo di aver riconosciuta l’immunità funzionale. Un tentativo andato a vuoto come i fatti hanno dimostrato e che suscita perplessità sui motivi che a suo tempo lo hanno consigliato. Non è chiaro chi abbia autorizzato il pagamento di quasi 150.000 euro sicuramente non imputabili ai capitoli della gestione corrente dell’amministrazione dello Stato né tanto meno della difesa. Non risulta, infatti, che siano previste voci di spesa titolate “risarcimento ai fini umanitari” o “per atti umanitari”? Non è ipotizzabile, nemmeno, che la cifra sia stata contabilizzata nella gestione corrente della difesa, giustificata da un atto dispositivo che ne dichiarasse i reali motivi. Non può, quindi, che essere stata eseguita una “gestione extra bilancio”, di cui il presidente del consiglio non poteva essere all’oscuro. Forse fondi “riservati” con una contabilizzazione a parte, di cui qualcuno dovrebbe rendere conto, considerando anche gli scarsi risultati ottenuti. Come mai per due anni ha continuato a gestire le trattative con l’india il dott. de Mistura che da sottosegretario agli esteri ebbe a dichiarare il 18 maggio 2012 alla stampa indiana: “La morte dei due pescatori è stato un incidente fortuito, un omicidio colposo. I nostri marò non hanno mai voluto che ciò accadesse, ma purtroppo è successo”. Un’ammissione di colpa che coniugata con “L’atto di generosità” dell’ex ministro Di Paola sicuramente non ha messo il commissario di governo nelle migliori condizioni nel mediare con la controparte indiana. Elementi che potrebbero emergere in occasione delle future udienze se l’Italia non otterrà rapidamente il dovuto sostegno internazionale per sottrarre alla giustizia indiana i due fucilieri di Marina.
Punti da tenere ben presenti in un momento in cui, peraltro, giungono dall’India notizie poco rassicuranti per i nostri ragazzi.
La prima che il tribunale speciale indiano, dopo aver preso atto della sospensione del procedimento penale decisa tre giorni fa dalla Corte Suprema, sembra abbia fissato l'udienza al 31 luglio, dopo le elezioni locali. La seconda notizia sicuramente più preoccupante è quella riportata dall’ANSA di Delhi che riferisce che il premier del partito nazionalista indiano Narendra Modi attacca Sonia Gandhi sulla vicenda fucilieri e chiede perché non sono in carcere. Modi ha ironizzato sulle origini italiane di Sonia e, come riporta l'Hindustan Times, ha detto: "Signora Sonia, dal momento che lei ha contestato il nostro patriottismo, vogliamo sapere in quale prigione vengono tenuti i due maro'' italiani".
La vicenda in India, contrariamente alle aspettative dei più ottimisti, si complica. A questo punto sarebbe essenziale che il capo dello Stato facesse sentire la Sua voce, a dire il vero in questi 24 mesi molto esitante nello specifico.
C’è delusione, infatti, fra molti cittadini italiani per il tono quasi distaccato con cui ha affrontato la vicenda il presidente della Repubblica, voluto dalla Costituzione “Capo Supremo delle Forze Armate”. A parte, infatti, particolari formali come i ricevimenti al Quirinale dei due marò o parole di circostanza per le famiglie, null’altro di incisivo è emerso nell’azione del capo dello Stato.
Personalmente come uomo che crede nello Stato e negli obblighi indotti dall’essere un comandante, avrei auspicato, invece, una maggiore presenza del presidente Napolitano, in particolare nel richiamare l’attenzione del mondo internazionale sulla vicenda.
Sicuramente, e non mi permetterei di mettere in dubbio quanto riferito dal Quirinale, l’attenzione del capo dello Stato sarà stata ed è costante e continua, ma forse è mancata l’evidenza di un’azione che avesse ottenuto di riconsegnare all’Italia i diritti che Le spettano come Stato sovrano.
Presidente, le notizie appena arrivate dall’India non rassicurano. I nostri militari potrebbero essere rinchiusi in carcere in attesa del processo se, dopo le parole di Modi, venisse rispolverata ed accolta dal giudice della Suprema Corte la richiesta della pubblica accusa di togliere l’affidamento giudiziario all’ambasciata italiana ed assegnarla al tribunale.
Qualsiasi ritardo, dunque, potrebbe essere fatale per i nostri ragazzi.
Fernando Termentini