La giornata di oggi si è aperta con scontate critiche all'abbigliamento del nostro primo ministro in visita ieri al nostro contingente ancora presente in Afghanistan. Dopo i risultati delle elezioni era d'obbligo spostare altrove l'attenzione e manifestare vicinanza a chi il 2 giugno lo avrebbe trascorso a migliaia di chilometri di distanza.
Renzi è un grande comunicatore e come tale ha approfittato dell'occasione per farsi fotografare assieme ai nostri soldati ma, per suscitare simpatia, ha deciso che jeans e mimetica con camicia bianca fossero una combinazione vincente.
Personalmente non mi sento di criticare il gesto ma la tenuta per i seguenti motivi:
- era scontato che - essendo oramai di dominio pubblico che non ha fatto il servizio militare - gli avrebbero rotto le scatole sui giornali;
- essendo in presenza del presidente afgano Ghani in abito formale, sarebbe stato carino ricambiare evitando almeno i jeans;
- avendo citato svariate volte il presidente USA Obama nel suo discorso afgano di proroga della missione (qualche mese) avrebbe potuto prendere esempio dal collega e vestirsi da "Renzie", risultando molto più fico.
Non voglio poi entrare nel merito degli onori alla memoria di soldati mandati a difendere la pace e portare democrazia che sono stati resi di fronte un presidente afgano che di corrette e regolari elezioni se ne è infischiato, stravolgendo un risultato che lo dava per sconfitto (v.articolo). Sono logiche afghane e - da afghani - si sono già accordati. Fatto sta che lo scorso anno siamo stati a guardare ed ancora oggi mi ribolle il sangue quando sento la retorica dei complimenti "per il percorso democratico intrapreso dal Paese", sopratutto pensando a chi, credendoci, per quello ha dato a vita.
La celebrazione del 2 giugno in Italia è passata come sempre, con il solito entusiasmo di plastica - c'è poco da essere allegri per come sta andando il Paese - e tante parole originali.
Ma in fondo c'era l'inaspettata notizia del giorno a sollevare gli entusiasmi: il primo 2 giugno del presidente Mattarella!
All'estero in compenso non si celebra la retorica ma si affronta la cruda realtà.
In Iraq il primo ministro ha dichiarato che, solo con la caduta di Mosul, 2300 Humvee (veicolo tattico multiruolo che possiamo - anche se qualcuno storcerà il naso - far corrispondere ai nostri Lince) sono finiti nelle mani dell'ISIS assieme ad un gran numero di armi. Tanto per rendere un idea le forze armate italiane di VTLM Lince, dovrebbero averne poco più della metà.
Dove voglio arrivare?
Vorrei far comprendere che mentre passiamo il tempo in cerimonie come fossimo in anni spensierati e tranquilli, altrove si spara e si muore. L'ISIS è a meno di cento chilometri da Baghdad e non è difficile immaginare che centinaia di militanti siano già infiltrati in città. Ieri tre terroristi suicidi si sono fatti saltare per aria guidando, per l'appunto, Humvee carichi di esplosivo, uccidendo 30 soldati iracheni e ferendone 40.
Dalla Turchia giunge una notizia positiva: buona parte dell'intellighenzia del Paese si è schierata con il giornale di opposizione Cumhuriyet.
La testata aveva denunciato nei giorni scorsi l'invio (camuffato da aiuti umanitari!) di armi e munizioni ai ribelli antigovernativi in Siria, con l'assistenza dei Servizi turchi.
Il giornale "la pagherà cara" è stata la reazione del presidente turco Erdogan. Si è sempre detto e scritto che "la Turchia appoggia i terroristi in Siria", da oggi si dovrà dire che "il governo turco" e non i turchi - non la maggioranza almeno - appoggia ed alimenta la guerra oltreconfine.
Certo però, che fortuna vivere in Italia.
Andrea Cucco