Le realtà mussulmane ospitano ciclicamente momenti storici ripetitivi, che ormai fanno parte integrante di quelle culture. Gli eventi parigini, preceduti da quelli di Londra e con ogni probabilità destinati a ripetersi in altri Paesi occidentali, rappresentano l'oggettiva espressione di un mondo dove la religione condiziona la gestione dello Stato e manovra le folle esasperandole fino all'estremo.
Ancora una volta, si conferma e risulta vincente il fanatismo religioso che in molte realtà islamiche condiziona ancora in maniera prevalente la politica. Un fenomeno, purtroppo, in crescita dopo gli interventi dell'Occidente sui governi sovrani che seppure "dittatoriali" secondo l'ottica occidentale, riuscivano comunque a mantenere gli equilibri interni e quindi a garantire una certa stabilità e sicurezza anche in tutta l'area circostante. Iniziative, peraltro, iniziate e portate avanti senza predisporre adeguate soluzioni politiche per il dopo individuate attraverso un'attenta analisi e pianificazione strategica.
Un'azione dell'Occidente che si è concentrata su alcuni Paesi mussulmani escludendo altri. Un Ben Alì dominava in Tunisia in modo non troppo diverso da quello del re in Arabia Saudita. Forse lo faceva anche in maniera meno coercitiva, considerando che a Tunisi le donne erano autorizzare a guidare e non tutte indossavano il velo mentre a Riad tutto ciò era ed è proibito. Ben Alì, Mubarak e Gheddafi sono stati deposti con la violenza, i padroni di Arabia Saudita, Kuwait, Yemen e Qatar ancora gestiscono le proprie dittature, anche se qualcuno è finanche sospettato di finanziare gruppi eversivi.
La primavera araba, da moltissimi analisti considerata come la panacea di tutti i problemi islamici, ha dimostrato invece di essere stata uno dei più grossolani errori della politica internazionale dell'Occidente che ancora una volta si è lasciato sfuggire l'occasione di portare avanti nei confronti delle popolazioni islamiche una costruttiva azione di "Capacity Building" nell'assoluto rispetto delle tradizioni e realtà locali. Ha contribuito a complicare, almeno in alcune aree, situazioni di per se già complesse, accelerando i processi di esasperazione politica e di antiche controversie etniche come quelle fra sunniti e sciiti in Siria ed in Iraq.
Non ci si deve meravigliare, quindi, dell'auto-proclamazione del Califfato islamico, un ISIS che attraverso le moderne tecnologie comunicative ha rapidamente esteso il proprio network, riscuotendo il consenso di moltissimi giovani mussulmani ormai cittadini occidentali ma pronti ad immolarsi per i fratelli meno fortunati, nel pieno rispetto della solidarietà coranica.
Lo Stato Islamico si sta consolidando in Occidente, proprio facendo leva sui mussulmani di seconda e terza generazione, cittadini francesi piuttosto che inglesi, svedesi o norvegesi integrati nelle rispettive nazioni, ma sempre e comunque facile preda degli Imam. Il consenso si sta pericolosamente allargando anche nei Paesi africani ed arabi in generale. Formazioni che guardano con simpatia al Califfato germogliano e crescono in Libia, Tunisia (Ansar Al Shaaria), in Nigeria con i Boko Haram, Somalia e Kenia con gli Shabaab mentre Al Qaeda del Magreb giorno dopo giorno nel nome del Califfato occupa aree sempre più vaste in Mali.
Il cancro del fondamentalismo sta quindi "lanciando le proprie metastasi" attraverso il passaggio all'indipendenza attraverso l'autodeterminazione, peraltro favorita dall'Occidente quando in occasione della Primavera Araba ha dimenticato di valutare tutte le possibili implicazioni che si sarebbero innescate sul piano sociale, in realtà culturali abituate ad essere gestite piuttosto che autogestirsi.
Quello stesso Occidente che ora guarda spaventato alla minaccia ma che avventatamente ha accettato di ospitare la proliferazione di moschee e centri islamici clandestini e non ha monitorato il flusso dei propri cittadini di religione islamica verso la Siria per arruolarsi nell'ISIS. Prima fra tutti l'Italia che ha atteso solo dopo Parigi di inscrivere 20 persone nel registro degli indagati per terrorismo, quando sono mesi che si parla del rischio di un nuovo fondamentalismo.
Fernando Termentini