Oltre 200 militari della Missione bilaterale di assistenza e supporto in Libia (MIASIT) sono ANCORA bloccati in Libia.
La maggior parte di loro ad aprile ha raggiunto i 6 mesi di permanenza in teatro ma c’è chi li aveva già allora abbondantemente superati.
Il problema? Non vengono rilasciati i visti al contingente che deve dare il cambio.
A fine maggio il ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, Luigi Di Maio, orgogliosamente twittava “Appena rientrato dalla #Libia. Pace, stabilità politica e ripresa economica sono i punti cardine su cui stiamo sensibilizzando anche l'Europa…”
Perché il ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, Luigi Di Maio, non vede di “sensibilizzare” anche il suo ambasciatore a Tripoli?
Perché il ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale Luigi Di Maio non "sensibilizza" il suo collega ministro della Difesa, Lorenzo Guerini, e si fa un giro in Libia, magari anche a Misurata? Perché si mangia male e il pasto non è fresco? (v.articolo)
Perché, dal momento che l'atteggiamento del governo di unità nazionale libico è un palese INSULTO al nostro Paese, non chiudiamo la nostra missione? "Perché ci andremmo a perdere"? Ricordate quale era la posizione nazionale in Libia prima della guerra e quale quella attuale? Non scherziamo, non abbiamo più nulla da farci rubare, se non la dignità...
Ci sono 200 famiglie in attesa che non riescono a segnare una data sul calendario da mesi.
Chi deve rientrare per “gravi motivi” viene tardivamente accontentato attraverso giustificazioni come quelle sanitarie... È tuttavia aberrante che un militare debba venir costretto a ricorrere a questi artifizi quando i “gravi motivi” sono altri e chiari: l’incapacità e/o il menefreghismo di chi dovrebbe aver cura dei nostri uomini e donne.
Da mesi non c’è una data, un orizzonte. Si tengono buoni gli animi con “novità a fine mese”, ma poi si va avanti, per settimane, fino al successivo “a fine mese”.
Per lo meno i libici fanno i levantini con gli stranieri, noi lo facciamo tra italiani.
Foto: ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale