Sono circa sessanta i militari USA, effettivi alla base di Vicenza che sono stati posti in isolamento dopo essere stati in Liberia in attività finalizzate a fronteggiare il diffondersi dell’Ebola.
Il comandante dell’unità impiegata in Africa, anche lui in isolamento, ha dichiarato ieri di essere rientrato a Vicenza, nel rispetto degli ordini ricevuti dalla catena di comando statunitense. Nello stesso tempo la nostra ministro della salute Beatrice Lorenzin si è preoccupata di rassicurare gli italiani ed in particolare i vicentini sull'assenza di un eventuale pericolo per la popolazione locale.
La ministro rassicura, compiendo quello che potremmo chiamare “un atto di fede” in quanto garantisce le possibili conseguenze di un qualcosa che non può gestire perché affrontato in un’area extra territoriale come è una base militare statunitense in territorio italiano, presumibilmente fuori del controllo delle autorità sanitarie nazionali.
Il rischio di contagio sarà anche molto basso considerando che i militari “sembra” non presentino segnali di malattia conclamata, ma rimane il dubbio sul perché l’Italia abbia accettato la decisione americana di far rientrare su una base italiana militari provenienti da un’area a rischio quale la Liberia e non preteso invece che trascorressero il periodo di “isolamento” in un sito attrezzato sul territorio statunitense.Peraltro, i protocolli USA non prevedono ad oggi la “quarantena” di personale in servizio proveniente dalle zone africane a rischio a meno che non abbiano avuto un contatto diretto con persone già colpite dal virus, ma solo una separazione dal contesto in cui il personale vive ed opera.
Non risulta o almeno non è dato da sapere se i militari soggiornino in un’area asettica della base, isolata dall’esterno e se nella fase di isolamento non abbiano contatti con altro personale destinato al loro sostegno logistico ed ai controlli medici. Potrebbe verificarsi, quindi, un contatto fugace ed involontario con altri, in una fase iniziale della manifestazione della malattia e senza che essa sia stata ancora diagnosticata, con una conseguente trasmissione del virus.Tutto ciò considerando che se si osservano i “casi e non più i decessi, nei Paesi a rischio il contagio sembrerebbe peggiorare e di parecchio con un’accelerazione dell’epidemia. (fonte OMS: i casi sono in media 2,15 volte superiori e i morti sono già almeno 15000 - http://apps.who.int/iris/bitstream/10665/137376/1/roadmapsitrep_29Oct2014_eng.pdf?ua=1).
In Guinea tra il 21 e 27 ottobre in 6 giorni erano attesi 230 nuovi casi e ne sono comparsi 353. In Sierra Leone tra il 22 e 27 ottobre in 5 giorni erano attesi 990 nuovi casi e ne sono comparsi 1339. In Liberia in 5 giorni tra il 19 e 25 ottobre in 6 giorni erano attesi 1157 nuovi casi e ne sono comparsi 1860, nonostante che per questo paese di parli di una benvenuta ma dubbiosa stabilizzazione per via dei funerali clandestini (la cremazione preclude il paradiso) e del fatto che sono spariti 300 morti dal ultimo bollettino OMS di 5 giorni orsono.
Affermare, quindi, l’assenza di rischio a fronte di predisposizioni contro il contagio prese dagli USA nella base di Vicenza e non meglio chiarite o di quarantena da trascorrere in un sito non predisposto allo scopo sembra essere azzardato. Perplessità confermata anche da una notizia di oggi che informa che un cittadino di Quart (Valle d’Aosta) di ritorno dalla Sierra Leone dove ha prestato servizio in un ospedale di Emergency, potrebbe essere posto in quarantena nella sua abitazione di Quart e non in una struttura sanitaria.
Parlare di quarantena, quindi, non è esatto. Il termine ha, infatti, antiche origini che risalgono a metà del 1300 quando durante l’epidemia di peste nera chi arrivava da luoghi a rischio doveva trascorrere almeno quaranta giorni “in luoghi isolati” in attesa di vedere se i sintomi della peste si sviluppassero. Un provvedimento antico che in chiave moderna dovrebbe essere interpretato prevedendo una dislocazione areale sul territorio nazionale di siti appositamente attrezzati, dove convogliare chi potrebbe essere a rischio di conclamare la malattia.
Le notizie che giungono da Aosta invece lasciano intendere che il ministero della salute italiano stia affrontando con grande ottimismo una minaccia dai connotati ancora non completamente chiari nemmeno alla comunità scientifica internazionale ed accetti di ospitare sul proprio territorio possibili “portatori del rischio” senza essere nemmeno nelle condizioni di verificare le condizioni di isolamento applicate nei loro confronti.
Predisporre siti attrezzati sicuramente comporta elevati oneri economici. Parlare, rassicurare e promettere è certamente meno costoso, ma di fronte ad una minaccia del genere adottare soluzioni semplicistiche è pericoloso.
Tranquillizzare è d’obbligo, ma non predisporre adeguatamente per abbattere con elevata probabilità i rischi di propagazione del virus e garantire la salute pubblica nel rispetto della Costituzione, è un dovere che non può essere delegato né tantomeno affrontato con leggerezza.
Fernando Termentini
(Foto: archivio US DoD)