I nostri lettori sicuramente ricorderanno l’esternazione di qualche mese fa (nel corso del primo Governo Conte) del presidente del consiglio dei ministri, Giuseppe Conte, in merito al fatto di aver convinto il ministero della Difesa a rinunciare alla spesa, già stanziata, per 5 fucili e convogliarla a sostegno delle iniziative dell’associazione Rondine Cittadella della Pace, dedita alla trasformazione creativa del conflitto, attraverso l’esperienza di giovani che scoprono la persona nel proprio nemico (chissà un curdo che persona potrebbe scoprire in un turco).
All’obiezione della Difesa su che cosa avrebbero fatto quei cinque militari senza fucili, il nostro presidente rispose che li avrebbero mandati nelle retrovie a parlare di pace: applauso scrosciante degli astanti (v.video).
Si capiva, quindi, da tali esternazioni che il Governo prendesse una strada votata al pacifismo, se non ché, dopo le elezioni europee di fine maggio, l’accoppiata Di Maio/Trenta annunciava lo sblocco, da parte del MEF, di 7,2 miliardi da investire nell’acquisto di nuovi armamenti ed equipaggiamenti (v.articolo). Confermato poi dallo stesso Conte (più che altro perché gli americani cominciavano a storcere il naso) nell’incontro di pochi giorni fa con il Segretario Generale della NATO Stoltenberg.
Visto l’attacco sferrato da Erdoğan oltre il confine turco-siriano, il presidente Conte sembrerebbe intenzionato a riprendersi quei cinque fucili.
Altra situazione paradossale è la convocazione dell’ambasciatore turco, Murat Salim Esenli, da parte del Ministro agli Affari Esteri Luigi Di Maio. Questi ha esposto le rimostranze italiane nei confronti dell’attacco di Ankara ai curdi in territorio siriano, la risposta dell’ambasciatore è stata assai poco diplomatica: le forze turche continueranno nella loro azione contro i terroristi, checché ne dica l’Unione Europea.
Ci chiediamo come l’Italia, che solo l’anno scorso ha permesso alle unità militari turche di allontanare la Saipem 12000, una nave per prospezioni petrolifere dell’ENI, dalle acque territoriali cipriote, possa permettersi di fare la voce grossa con Ankara (v.articolo).
Parliamoci chiaro, l’atteggiamento ondivago dell’Amministrazione Trump ha dato luce verde all’intervento turco, mentre l’Unione Europea - come al solito quando si parla di politica estera – si è trovata completamente spiazzata dagli eventi. Le dichiarazioni di condanna delle cancellerie europee lasciano il tempo che trovano. Ankara può fare uso di un’arma coercitiva formidabile: gli oltre 3 milioni di profughi, ai quali spalancherebbe le porte dell’Europa occidentale se solo si sentisse minacciata, economicamente, da quest’ultima.
La Germania ha nei propri confini una grande comunità turca, e non vuole certamente disturbare i russi, che tacitamente avallano l’invasione turca. In Francia, il presidente Macron sta attraversando una fase politica poco felice e sembra non molto interessato alle questioni siriane.
Rimane l’Italia che, geograficamente, è il paese più coinvolto nella situazione, in quanto la regione al confine turco-siriano rientra nella sfera d’influenza di Mediterraneo allargato, concetto elaborato dalla Marina Militare.
La Turchia è un alleato della NATO (aveva un senso durante la Guerra Fredda, per impedire ai sovietici l’accesso al Mediterraneo dal Mar Nero) anche se, nel 1974, ha combattuto una guerra con la Grecia, altro paese facente parte dell’Alleanza.
Tuttavia per quanto ancora l’Italia dovrà tollerare l’atteggiamento sempre più aggressivo della politica estera di Erdoğan?
Oltre all’invasione del territorio siriano (dopo che per anni ha sostenuto e armato lo stato islamico), Ankara appoggia da tempo le milizie di Misurata in Libia, le quali a loro volta supportano il governo fantoccio di al-Sarraj.
A tale attivismo, l’Esecutivo italiano si mostra incerto, con i soliti appelli al diritto internazionale e agli organismi sovrannazionali (UE, ONU). Ci si dimentica troppe volte che nelle relazioni internazionali vige lo stato di anarchia e che l’Unione Europea non potrà mai esprimere una politica estera comune, in quanto ogni stato membro ha interessi nazionali che superano quelli europei.
Quindi la domanda è: cosa dovrebbe/potrebbe fare l’Italia? La risposta è assai poco.
Quando una Nazione rinuncia a priori all’utilizzo della forza militare, come mezzo per tutelare i propri interessi, rinuncia di conseguenza alla politica e quindi è destinata a subire le scelte di altri.
Foto: presidenza del consiglio dei ministri / Twitter / presidenza della repubblica turca