Questa mattina sento definire in tv Aleppo come “una città in macerie”.
Certo, se non fossi tornato da quel Paese da pochi giorni ci avrei creduto senza esitazioni, ma così non è.
Ora vi spiego ciò che non vi racconteranno altri, sopratutto perché giornalisticamente non paga...
Ciò che colpisce arrivando in Siria è la vitalità della popolazione. Nella capitale c'è traffico, gente che va a scuola ed al lavoro. Anche qualche disperato che chiede l'elemosina, cosa – a detta dei locali – mai vista prima della guerra.
Fino a due anni addietro Damasco era molto meno frizzante, maggiori posti di controllo e più “invasivi”, negozi che chiudevano al calar del sole, poca gente per le strade. Certo, non è ancora la città in cui ci si poteva sedere in un ristorante a qualsiasi ora del giorno e della notte, ma si sta ridestando.
La guerra? È ricordata da saltuarie detonazioni in lontananza. Sono ancora due i quartieri di Damasco ostaggio dei terroristi: qualche migliaio di “ratti” (è il nome con cui i siriani chiamano un nemico che - come un sorcio - si è infilato nelle loro case) occupa e controlla aree abitate da decine di migliaia di cittadini che non vogliono lasciar loro oltre alla libertà, anche le proprie abitazioni.
La notizia che arriva da noi? È sempre la stessa: l'attentato.
Durante il reportage avremmo potuto facilmente recarci sul luogo di molte sciagure ma sarebbe stata una menzogna. Avremmo servito non l'informazione ma i mandanti delle stragi. Non perché non avvengano, ma perché non è quello che deve essere correttamente testimoniato.
Molti si sono inoltre complimentati con noi per il “coraggio” nell'essere andati in Siria. Non ci sentiamo eroi perché è semplicemente vergognoso andare qualche settimana in un simile ambiente e non considerare EROI i siriani che QUOTIDIANAMENTE scendono in strada, portano i bambini a scuola, salgono su un taxi e vanno in ufficio o a fare la spesa. Il tutto, certo, con una granata che può cadere in strada, un'autobomba che può saltare all'angolo, ma è la vita “normale” ed è questa popolazione a dover essere onorata.
Tornando alla “città in macerie” mi vengono in mente le parole di un funzionario di un'agenzia delle Nazioni Unite incontrato a colazione in un'altra città siriana. Sapendo che dopo il caffè si sarebbe recato ad Aleppo (!) ho chiesto subito quale fosse la situazione sul terreno. Dopo anni di scontri la immaginavo come un'unica spianata oramai.
Dal funzionario (un pingue africano proveniente da uno dei Paesi più poveri della terra) mi sento rispondere che “è una delle più belle città della Siria”, “ci sono i migliori ristoranti e non vedo l'ora di sedermi in uno di quelli armeni: si mangia benissimo!”.
Voi comprenderete lo stupore nel sentir descrivere qualcosa che ero stato portato a considerare “Hiroshima”, come fossero “i castelli” (periferia capitolina rinomata per la cucina).
“E i combattimenti con i terroristi?” - chiedo.
“Ma no, quello avviene oramai solo in un quartiere. Ed è ben circondato dall'esercito...”, la risposta sorridente.
Tornando in Italia ho attraversato Beirut. In mezzo a palazzi e condomini moderni ho intravisto un rudere sforacchiato risalente alla guerra civile (foto). Se tutti i collegamenti dalla capitale libanese si girassero là, sicuramente Beirut sarebbe ancora una città devastata.
(foto: Difesa Online)