Quando si parla di guerra le ragioni possono essere riconosciute sia ad una che all'altra fazione.
Quando si sente parlare di “golpe” il governo in carica assume automaticamente il ruolo di vittima.
All'indomani del maldestro tentativo di putsch in Turchia la “retorica per piccini” ha sbrodolato termini quali democrazia, giustizia e libertà. Si sono poi sprecati i paralleli storici con precedenti episodi nel Paese o all'estero.
Il paragone corretto andrebbe fatto con il tentato putsch che vide protagonisti dei tedeschi nel '44. Un episodio che il cinema ha ben trasposto nel film “Operazione Valchiria”. In quell'occasione dei militari attentarono alla vita di Hitler e cercarono di prendere il potere. Andò male e 5.000 persone furono giustiziate. Allora, in guerra, nessuno si sognò di giudicare negativamente l'azione e di congratularsi per la sopravvivenza delle istituzioni o della “democrazia”. Oggi non siamo in guerra con la Turchia e questo fa una bella differenza.
Che il presidente turco sia una figura indifendibile è noto anche ai meno informati: dittatore tutt'altro che laico (in un Paese che della laicità, prima del suo avvento, aveva fatto il proprio fondamento) è odiato da buona parte dei suoi stessi concittadini. Quali? Quelli democratici e liberali, per esempio! Vogliamo ricordare le decine di giornalisti incarcerati perché scomodi o irriverenti?
Ma parliamo dei militari turchi. Le forze armate coincidono con la bandiera nazionale dal “Padre dei Turchi”, Kamâl Atatürk, fino all'arrivo di Erdogan. Oggi la Turchia rappresenta (almeno numericamente) la seconda forza della NATO. Patria ed Onore sono valori comuni ad ogni divisa, tuttavia per i cinque anni del massacro siriano quei militari hanno dovuto assistiere, alimentare, curare, armare e proteggere veri e propri “assassini”, i cosiddetti “ribelli moderati” (prima), jihadisti dell'ISIS ed al Nusra, dopo.
A febbraio eravamo a Salma (leggi articolo), città siriana a pochi chilometri dal confine settentrionale, appena riconquistata. Le orde di al Nusra (leggi “al Qaeda”) erano protette dal fuoco dell'artiglieria turca. Ma il nostro alleato, non doveva combattere i terroristi?
Si sentivano orgogliosi delle loro azioni i soldati che caricavano gli obici per azioni tanto infami preordinate da Ankara? Non lo credo. Come sono sicuro siano nel giusto i giornalisti che, denunciate le forniture di armi ai terroristi in Siria ad opera dei servizi segreti, stanno pagando con anni di carcere la loro testimonianza. Chissà perché tra gli obiettivi presi di mira dagli insorti la scorsa notte c'era proprio la sede dei servizi...
In preda ad un delirio di onnipotenza Erdogan lo scorso anno è stato responsabile dell'abbattimento di un cacciabombardiere russo in Siria. Ha gettato altra benzina sul fuoco, se mai ce ne fosse stato bisogno. Lo scorso mese il Sultano è poi tornato sui sui passi cercando di riallacciare i rapporti con Putin.
Negli ultimi mesi la politica di appoggio al caos oltreconfine, in Siria ed in Iraq, è stata “opportunamente” rivista. La prima conseguenza sono stati numerosi attentati il cui prezzo, spesso, è stato pagato da militari.
Ma torniamo ad oggi: le migliaia di soldati che pagheranno il “prezzo più alto” (in centinaia lo hanno già fatto) un giorno verranno riconosciuti come “eroi”. Sicuramente maldestri ma eroi.
Non hanno compreso che il mondo mediatico è uno spettacolo con attori e scene e hanno commesso errori gravi. Si sono fatti “scappare” (anche loro) il Führer. Con il coprifuoco hanno impedito di far scendere nelle strade la metà dei turchi che si oppongono al regime, facendo così apparire che i manifestanti, chiamati a raccolta dal capo e dai suoi devoti e pii mullah, rappresentassero “il popolo turco” e non la corte di un dittatore. Hanno quindi lasciato mano libera a professionisti dell'informazione che li hanno massacrati senza pietà.
Infine nemmeno un po' di pudore per la storia... La foto “costruita” che è stata utilizzata dai media nelle ultime 24 ore è quella di un uomo di fronte ad un carro armato. “Come Piazza Tienanmen!” si è commentato eccitati. Peccato che il cinese di fronte ai carri armati nell'89 (foto) avesse a che fare con lo strumento principale di un regime (“Il potere politico nasce dalla canna del fucile”, insegnava Mao), non di suoi ingenui oppositori. Ed infatti, a differenza dei cinesi nell'89, i soldati turchi non hanno aperto il fuoco sui civili facendo tremila morti e diecimila feriti.
Con la repressione in corso ai conti aperti, interni ed esterni, di Erdogan se ne aggiungerà uno nuovo. A qualcuno potrà anche sembrare l'occasione per consolidare a piacimento il potere del regime turco. Ad altri, quelli che sono rimasti a guardare, servirà a non sbagliare la prossima volta?
(foto: Twitter / Web / Presidenza turca)