1° reggimento cc paracadutisti Tuscania: 40 anni non convenzionali

(di Tiziano Ciocchetti)
03/02/21

Il 1° reggimento carabinieri paracadutisti Tuscania, fino al 2002, era parte integrante della brigata paracadutisti Folgore, con cui ha partecipato a tutte le missioni internazionali, dal Libano a Timor Est, che hanno visto impiegata la Grande Unità.

Dal 2002 - in seguito all’elevazione dell’Arma dei Carabinieri a rango di Forza Armata avvenuto – il Tuscania viene inquadrato nella 2ᵃ brigata mobile dei carabinieri, insieme ai reggimenti 7° di Laives, 13° di Gorizia e al GIS (Gruppo d’Intervento Speciale).

Dalla brigata mobile si è attinto il personale per formare le MSU (Multinational Specialized Unit), impiegate in Bosnia dal 1996, in Kossovo dal 1999 e in Iraq durante l’operazione Antica Babilonia dal 2003 al 2006.

Nell’ultimo ventennio l’apparato militare nazionale ha visto la nascita e lo sviluppo di numerosi reparti speciali, affiancati a quelli con maggiore tradizione operativa come il Nono Col Moschin dell’Esercito e il GOI della Marina Militare.

Nel 2004 venne creato il CO.F.S. (Comando Interforze per le Operazioni delle Forze Speciali) di cui fanno parte il GOI, il Col Moschin, il 17° stormo incursori dell’Aeronautica Militare e il GIS dei carabinieri (nello stesso anno l’unità antiterrorismo viene validata come forza speciale). Dal 2017 ne fanno parte anche il 4° reggimento ranger Monte Cervino e il RRAO.

A tale comando l’Esercito contribuisce quindi con tre reparti, su una forza complessiva di circa 97.000 effettivi, mentre i carabinieri, con una forza di circa 111.000 effettivi, contribuiscono con un solo reparto.

In questo scenario di ampia considerazione di cui godono (soprattutto a livello politico) attualmente le forze speciali italiane, sembrerebbe che il Tuscania sia stato messo in secondo piano, mentre altri reparti che solo ora si affacciano alle operazioni non convenzionali godono di ben altra considerazione.

Se analizzassimo le capacità che un reparto dovrebbe possedere per connotarsi come speciale, anche secondo quanto detto dal generale Marco Bertolini nella diretta su Difesa ON AIR di mercoledì 27 gennaio (v.link), ovvero poter condurre azioni dirette, ricognizione in profondità e assistenza militare (military assistance), il reggimento Tuscania le possiede tutte e le mette in pratica da anni. Tali capacità sono riscontrabili nelle molteplici attività svolte sia sul territorio nazionale che nelle missioni all’estero.

Da diversi anni i carabinieri paracadutisti del Tuscania vengono intensamente impiegati contro la criminalità organizzata, soprattutto in contesti poco permissivi. Infatti, prima che si organizzassero i reparti di Cacciatori, il Tuscania è stato chiamato ad operare in particolari contesti extraurbani, ad alta intensità criminale e in zone di difficile accesso, scelte come rifugio per i latitanti (come ad esempio l’Aspromonte in Calabria piuttosto che la Barbagia in Sardegna).

Le attività di supporto ai reparti della Territoriale dei carabinieri, da parte degli operatori del reggimento, si rivela particolarmente importante allorquando è necessario dover “saturare” aree piuttosto ampie, dovendo catturare latitanti che conoscono perfettamente il territorio e magari godono dell’appoggio locale. Nonostante nel corso degli ultimi anni il Tuscania sia stato fortemente impiegato in operazioni fuori area, il contrasto alla criminalità organizzata (e non solo) sul territorio nazionale non è mai venuto meno.

Per quanto concerne le operazioni all’estero, come accennato in precedenza, il Tuscania è stato impiegato in tutte le missioni che hanno visto protagoniste le Forze Armate italiane negli ultimi 40 anni.

Nel corso della missione in Libano (1982-84) il Tuscania era l’unico reparto dell’Esercito italiano, insieme al Col Moschin, ad avere tra le proprie fila un numero elevato di professionisti, quindi gli venivano assegnati i compiti più delicati.

I primi operatori del battaglione (diventerà reggimento nel giugno del 1996) arrivarono a Beirut il 24 settembre 1982, agli ordini del generale Franco Angioni comandante di ITALCON. Ovviamente si trattava di un teatro operativo del tutto nuovo rispetto al territorio nazionale. Tuttavia gli uomini del Tuscania seppero sopperire alle carenze di equipaggiamento (si trattava delle prime missioni all’estero e le carenze in fatto di equipaggiamento erano significative e comuni a tutti i reparti) e garantirono, per tutta la durata della missione, la protezione della sede diplomatica italiana, fornendo al contempo il servizio scorte e la protezione – insieme agli altri reparti del contingente – dei civili all’interno dei campi profughi palestinesi.

Successivamente alla missione in Libano, alla fine degli anni ’80, il Tuscania è impegnato nella difesa dell’ambasciata e del personale italiano in Somalia. Piccoli distaccamenti del reparto si occupavano di scortare i funzionari fuori dalla sede diplomatica, garantendone la sicurezza in un contesto molto rischioso.

In diversi casi, i distaccamenti del Tuscania hanno dovuto provvedere all’evacuazione dei nostri connazionali e quelli di altri paesi, potendo contare solo sulle loro capacità.

Pochi sanno che il giorno di Natale del 1989 un C-130H della 46ᵃ aerobrigata di Pisa è atterrato a Bucarest, con a bordo un nucleo del Tuscania incaricato dell’evacuazione del personale dell’ambasciata, che si era venuto a trovare in una situazione di pericolo a causa della rivolta del popolo rumeno contro il dittatore comunista Ceausescu.

All’inizio degli anni ’90 parte una nuova missione presso la sede diplomatica dello Zaire, operazione che durerà fino alla fine del 1994. Mentre nel 1992 si richiede l’impegno degli operatori del Tuscania per difendere l’ambasciata di Lima in Perù, minacciata dai rivoluzionari d’ispirazione maoista Sendero Luminoso.

Nello stesso anno la situazione in Somalia comincia a precipitare. La capitale Mogadiscio è infestata di bande armate (anche con armi pesanti), il complesso di edifici dove si trova l’ambasciata italiana diventa il punto di raccolta per molti connazionali e stranieri. Quindi si rese necessario mettere in piedi un’operazione d’evacuazione in condizioni assai difficili. Gli uomini del Tuscania riuscirono a portare a termine le operazioni di evacuazione nel migliore dei modi, ricevendo vari riconoscimenti per il coraggio e le capacità dimostrate.

Nel dicembre del 1992 parte l’Operazione Ibis, su base brigata paracadutisti Folgore, in Somalia (missione ONU Restore Hope). Il Tuscania torna a Mogadiscio con un contingente più massiccio, i suoi compiti vanno dalla protezione dell’ambasciata italiana, che riaprono, alle attività di pattuglia fino al contrasto delle bande di miliziani che scorrazzano per la città. Essendo anche carabinieri i parà del Tuscania riuscirono a portare a compimento in Somalia molte operazioni di intelligence, riuscendo spesso ad avvalersi della collaborazione dei locali. Quando nel 1995 venne ritirato il contingente italiano gli operatori del Tuscania furono gli ultimi a lasciare la Somalia.

Sempre nel 1995 i parà del Tuscania sono inviati in Bosnia al seguito del contingente internazionale IFOR, al fine di far rispettare la tregua faticosamente raggiunta dopo tre anni di guerra nella ex Jugoslavia tra serbi, croati e bosniaci.

Oltre ai canonici compiti di polizia militare, i carabinieri paracadutisti svolgono anche il compito di protezione del comandante del contingente, incentrato sulla brigata bersaglieri Garibaldi, generale Pedone. Un incarico non privo di complicazioni visto che la città di Sarajevo era piena di armi e di possibili cecchini.

Ricordiamo che il Tuscania, insieme al Nono e al GOI, era uno dei pochi reparti delle Forze Armate italiane ad avere un addestramento approfondito nel tiro di precisione, quindi è possibile che in alcuni casi, i carabinieri paracadutisti, armati con il fucile bolt action H&K MSG-90 calibro 7,62x51, si siano trovati nella necessità di effettuare dei tiri anti-cecchinaggio.

Importante evidenziare come il consigliere giuridico del generale Pedone fosse il colonnello Leso, comandante del Tuscania. Visto il particolare contesto tattico, Leso propose la creazione di un’unità di gendarmeria che potesse svolgere compiti di polizia e, se la situazione dovesse precipitare, anche sostenere combattimenti contro forze ostili. Questa unità è nota come MSU (Multinational Specialized Unit), al suo interno vennero inseriti molti operatori del Tuscania (oltre a militari di altri paesi), proprio in virtù della loro preparazione e della loro esperienza operativa in vari scenari. L’efficacia della MSU fu assai elevata e, tra i suoi compiti, provvide all’addestramento della polizia locale.

Mentre era in corso la missione in Bosnia, nel 1997 la situazione economica e politica dell’Albania precipitò dando origine a gravi sommosse da parte della popolazione. Nel mese di marzo i parà del Tuscania svolsero un importante ruolo nell’evacuare i civili stranieri dal Paese in preda ai disordini. Subito dopo iniziò l’operazione Alba, una missione europea a guida italiana. Il Tuscania, appena diventato reggimento, partecipa con una forte rappresentanza, svolgendo le sue attività nell’area di Valona e della capitale Tirana dove affronta bande armate di malavitosi che spesso desistevano dai loro intenti criminali grazie alla determinazione dei carabinieri paracadutisti.

La situazione nella regione balcanica rimaneva infuocata, nel 1999 la NATO interviene contro la Serbia per evitare un genocidio nel Kossovo, a maggioranza albanese. A giugno dello stesso anno le forze della KFOR entrano in Kossovo, ovviamente non possono mancare gli operatori del Tuscania con la MSU, visto gli ottimi risultati che questa unità aveva ottenuto in Bosnia.

Nel settembre 1999 gli operatori del Tuscania, insieme ad altri reparti dell’Esercito, giungono a Timor Est nell’Oceano Pacifico, nel quadro dell’operazione di peacekeeping dell’ONU Stabilise. Nella ex colonia portoghese bande armate, soprattutto di matrice islamica, stavano uccidendo la popolazione locale, a maggioranza cattolica. Si tratta della missione più lontana dalla patria mai effettuata dalle forze italiane.

Il problema primario da affrontare (requisito essenziale di un reparto nel campo delle operazioni speciali) per gli uomini del Tuscania era quello di relazionarsi con la popolazione locale. I contatti venivano tenuti grazie agli interpreti e chi tra gli operatori riusciva ad esprimersi in portoghese, lingua ancora conosciuta dalla popolazione più anziana.

I carabinieri paracadutisti studiavano le condizioni tattiche, nel caso la situazione fosse degenerata, il che significava mappare l’ubicazione degli italiani, nonché individuare apposite zone dalle quali effettuare le procedure di evacuazione.

Altra attività fondamentale era prendere contatto con gli abitanti dei villaggi situati nella giungla fuori la capitale Dili.

I parà del Tuscania venivano trasportati in elicottero a una certa distanza dai villaggi, successivamente si avvicinavano a piedi attraverso la vegetazione fittissima (stessa tecnica utilizzata dall’SAS britannico in Malesia).

Una volta arrivati ai villaggi facevano un ingresso plateale, cercando di trasmettere una sensazione di potenza ma senza essere aggressivi. Lo scopo di tali tipologie di missioni è quello di conquistare i cuori e le menti (tipica missione delle forze speciali), instaurando così un rapporto di collaborazione con i locali, onde poter disporre di una corretta informazione circa il contesto operativo.

Il XXI secolo si apre con gli attacchi terroristici dell’11 settembre e gli americani lanciano l’operazione Enduring Freedom in Afghanistan. Dopo la caduta del regime talebano gli operatori del Tuscania furono i primi militari italiani a giungere a Kabul, con il compito di riaprire l’ambasciata italiana e garantire la sicurezza dei funzionari.

Nel 2003 il governo Berlusconi inviò in Afghanistan, a Khost, il contingente Nibbio, di cui faceva parte anche un plotone del Tuscania. I carabinieri paracadutisti condussero diverse ricognizioni lungo il confine con il Pakistan, da dove passavano i rifornimenti per i talebani. In un teatro operativo come quello afghano, dove le strade sono delle vere e proprie mulattiere, e dietro ogni pietra potrebbe nascondersi un IED, andare di pattuglia diventa un’attività estenuante.

Contemporaneamente, a seguito del crollo del regime di Saddam Hussein dopo l’invasione americana dell’Iraq, l’ONU approvò una missione per la stabilizzazione del Paese. L’Italia partecipò con l’operazione Antica Babilonia, dislocato a Nassirya, dal giugno 2003. I parà del Tuscania non solo si occuparono di gestire l’ordine pubblico (la polizia irakena si era dissolta) ma curarono anche l’addestramento delle nuove forze di polizia.

Nella Battaglia dei Ponti, dell’aprile 2004, il Tuscania combatté a fianco dei bersaglieri, dei marò e dei carristi contro i miliziani di al-Sadr che volevano occupare la città di Nassirya. Gli sniper del Reggimento eliminarono diversi miliziani evitando danni collaterali alla popolazione civile.

Intanto continua l’impegno in Afghanistan del Tuscania, occorreva costituire una forza di polizia al servizio del nuovo regime democratico. Infatti una delle missioni in teatro del Reggimento è quella di fornire addestramento alle forze locali (military assistance), con attività di mentoring. Questo vuol dire non solo fornire un addestramento ma accompagnare i reparti in missione, quindi partecipare in modo diretto alla formazione e alle attività sul campo.

Nel 2010, nel distretto di Adraskan, 80 km a sud di Herat, gli uomini del Tuscania iniziano l’addestramento degli agenti della polizia afghana. Nel 2012 un attacco dei talebani con razzi causò la morte di un carabiniere del 13° reggimento di Gorizia e il ferimento di altri due.

Attualmente, il Tuscania continua il suo impegno nella missione Prima Parthica in Iraq, finalizzata a sostenere i peshmerga curdi contro le milizie jihadiste dello stato islamico.

Da mettere in evidenza l’importante ruolo svolto dal Tuscania nella crisi libica del 2011, allorquando l’ambasciata italiana era l’unica sede diplomatica aperta a Tripoli, questo grazie al personale del reggimento che provvide non solo alla difesa della sede e del personale diplomatico ma si occupò di censire gli italiani presenti nella capitale libica, nel caso - probabile - che si dovesse provvedere ad una evacuazione d’urgenza. Tutte queste attività sono state svolte in piena autonomia e senza alcun appoggio da parte esterna.

Tutte queste missioni sono state portate a termine dal Tuscania con un organico numericamente ridotto (attualmente il Reggimento schiera meno di 500 elementi), frutto di uno sforzo continuo che ha imposto a tutto il personale del reparto non pochi sacrifici.

Il 1° reggimento carabinieri paracadutisti Tuscania schiera un battaglione con tre compagnie operative: la 1° anfibia, la 2° mountain warfare e la 3° TCL.

Gli operatori del reparto vengono quindi addestrati per operare in molteplici contesti ambientali, in modo da poter mettere in campo più opzioni di infiltrazione che possono andare dai raid anfibi con battelli d’assalto ai lanci TCL con paracadute a vela, compresi quelli in zone montuose.

Inoltre, particolare attenzione viene posta alle attività di interdizione d’area, affinate da molti anni nelle varie esercitazioni, tra cui l’esercitazione Mangusta, svolta in seno alla brigata Folgore, dove i reparti appartenenti alla Grande Unità affinano, tra le altre attività, le capacità di muoversi e portare attacchi, in un ambiente operativo ostile (non permissivo), al dispositivo logistico avversario.

In questa carrellata di operazioni svolte dai parà del Tuscania traspare l’identità di un reparto che svolge attività speciali (non convenzionali) ormai da 40 anni, dimostrando una duttilità d’impiego che ha pochi paragoni (se non nessuno) nelle Forze Armate italiane.

Tuttavia, in un contesto militare che ha visto le forze speciali italiane ricevere un forte impulso da parte degli Stati Maggiori, appare incomprensibile invece la scarsa visibilità – e considerazione - che il Comando Generale dei carabinieri conferisce al reggimento paracadutisti Tuscania.

Una ipotesi potrebbe essere quella che il Tuscania, essendo un reparto prettamente militare, stonerebbe con una immagine più “pacifista” ostentata dai vertici dei carabinieri, che vedono nel GIS un reparto maggiormente “spendibile”. Infatti, per la risoluzione di criticità di carattere nazionale, si è riscontrata sempre più l’importanza dell’utilizzo delle capacità di negoziazione, curate e sviluppate all’interno del GIS.

In questi ultimi anni comunque, data la natura asimmetrica del terrorismo jihadista, sempre più imprevedibile (si vedano gli attacchi di Parigi del 2015 e altri), si è avvisata l’esigenza di un coordinamento delle operazioni di contro-terrorismo. Ovvero di organizzare una sinergia tra l’unità anti-terrorismo per eccellenza, il GIS e un reparto ad elevatissima capacità operativa come il 1° reggimento paracadutisti Tuscania. Visto anche il mutamento degli scenari che prevedono l’occupazione di grandi infrastrutture in zone urbane, dove l’impiego di un numero limitato di operatori non sarebbe sufficiente.

Foto: autore / ministero della Difesa