Il presidente russo, Vladimir Putin, ha firmato il suo decreto n. 991, datato 19 novembre 2024, relativo alla “Approvazione dei fondamenti della politica statale della Federazione Russa nel campo della deterrenza nucleare”. In altre parole, Mosca ha revisionato la propria politica d’impiego delle armi nucleari.
La crisi dell’ordine internazionale liberale guidato dagli Stati Uniti, dopo la sfida aperta revisionista lanciatagli da Russia e Cina, ha portato con sé, tra le conseguenze teoriche, una nuova idea sul concetto e sulla funzione dell’arma nucleare, la quale, con la guerra in Ucraina in corso, viene considerata da Mosca – che è la principale sostenitrice di detta teoria – come un’arma “reale” da poter utilizzare anche per raggiungere i propri obiettivi tattici direttamente sul campo di battaglia, il che è una novità assoluta rispetto ai tempi della Guerra fredda.
Se quella nucleare si trasforma in arma “tattica” e non solo “strategica”, ne avviene irrimediabilmente uno sdoganamento politico e persino psicologico che ne fa non più un simbolo della deterrenza – e quasi una “valvola di sicurezza” per la pace quando ogni altro canale salta – ma normale ed accettato strumento di guerra.
Chiaramente, l’aver scelto di firmare un decreto di modifica della dottrina d’impiego delle armi nucleari proprio il giorno dopo l’annuncio da parte dell’amministrazione statunitense dell’autorizzazione all’Ucraina di impiegare i missili ATACMS in territorio russo è una scelta politica. La revisione di una dottrina ed il suo aggiornamento in termini operativi e situazionali non è compito che può realizzarsi in breve tempo. Il contenuto del decreto n. 991 deve essere stato analizzato e strutturato per molto tempo dai vertici militari russi e dal presidente Putin; dunque, esso fa parte di una più ampia riflessione sulla deterrenza nucleare.
Secondo la nuova dottrina di Mosca, l'aggressione di qualsiasi Stato non nucleare, ma con la partecipazione o il sostegno di un Paese nucleare, sarà considerata un attacco congiunto alla Federazione Russa. Inoltre, una risposta nucleare da parte della Russia sarà possibile in caso di minaccia critica alla sua sovranità, anche con armi convenzionali, in caso di attacco alla Bielorussia come membro dello Stato dell’Unione, in caso di lancio massiccio da parte nemica di armi nucleari, aerei militari, missili da crociera, droni e altri velivoli e il loro attraversamento del confine russo.
L’idea di estendere alla Bielorussia l’ombrello atomico nazionale e di includere tutta quella serie di armi e sistemi come droni e missili da crociera quali minacce esiziali alla sicurezza di Mosca sono elementi nuovi, che superano anche il vecchio concetto di natura tattico-offensiva dello “stallo operativo” quale situazione che autorizzava ad utilizzare le armi atomiche. Un salto in avanti determinato anche dal fatto che le truppe ucraine sono riuscite ad occupare una porzione dell’Oblast di Kursk in territorio russo e che la rimozione dei veti americani per l'utilizzo da parte ucraina dei missili ATACMS in territorio russo è legata proprio alla difesa dell’area occupata dalle forze ucraine contro l’attrito russo-nordcoreano.
La “spoliticizzazione” e la conseguente “militarizzazione” dell’arma nucleare aprono a nuovi “scenari Nitze” (dal nome del suo teorizzatore, lo storico segretario della Marina e direttore dell’Ufficio per la pianificazione politica del Dipartimento di Stato, Paul Henry Nitze) sulla percezione errata della strategia nucleare russa e delle “finestre di vulnerabilità” occidentali. Se da una parte, infatti, la nuova dottrina nucleare russa segue il solco della sempre più fragile differenza tra impiego strategico e impiego tattico degli ordigni atomici, emersa proprio con l’invasione dell’Ucraina e l’applicazione delle teorie di esclatating to de-escalate; dall’altra, lo spettro d’impiego delle armi nucleari in funzione “controffensiva” è stato di molto ampliato rispetto alla precedente dottrina.
Foto: Cremlino