Come è noto, lo scopo di una guerra è quello di sconfiggere il nemico al fine di far prevalere i propri interessi, ovvero si elimina l’avversario per rimuovere l’ostacolo alla soddisfazione delle proprie esigenze.
Nel corso dell’attacco dei tedeschi ad Occidente nel 1940, Hitler impedì alle sue divisioni di annientare il Corpo di Spedizione britannico, permettendo alla Royal Navy (fortemente supportata da naviglio civile) di trasportarlo in Inghilterra. Successivamente, l’OKW avrebbe annullato l’operazione Sea Lion (l’invasione delle isole britanniche) per prepararsi all’invasione dell’URSS.
Nel febbraio del 1945, il bombardamento a tappeto della città di Dresda (foto) causò la morte di almeno quarantamila abitanti. L’attacco alla città tedesca faceva parte della strategia degli Alleati (Piano Morgenthau), finalizzata all’annichilimento, demografico e industriale, della Germania.
Per quanto riguarda gli scenari moderni potremmo chiederci se, per sconfiggere il nemico, non sia più necessario il suo completo annientamento.
Il filosofo e stratega cinese del VI secolo a.C., Sun Tsu, asseriva che le capacità di un capo militare non risiedono nel vincere cento battaglie ma nel vincere la guerra senza combattere.
Inoltre, citando Clausewiz, potremmo aggiungere che il combattimento, la violenza e la distruzione sono strumenti in mano alla Politica, che essa utilizza per perseguire degli scopi, con il minor dispendio possibile di risorse.
Allo stato attuale, ogni confronto (non necessariamente militare), consiste nel raggiungimento di un determinato obiettivo, con il minimo dispendio di risorse.
Parliamo infatti della teoria delle Operazioni Basata sugli Effetti, EBO (Effects Based Operations), secondo cui il successo è perseguito tramite l’utilizzo di azioni indirette volte all’indebolimento del nemico, piuttosto che in base ad un confronto basato sulla conta delle perdite. A questo proposito possiamo mettere a confronto la Guerra del Vietnam e l’operazione della NATO in Kossovo del 1999. Dove per quanto riguarda il primo i progressi sul campo, da parte americana, si misuravano in base al numero dei nemici uccisi, mentre per il secondo si mirava, invece, a mettere in ginocchio l’economia serba distruggendo le strutture industriali.
Quest’ultima strategia aveva avuto pieno successo nel corso della prima Guerra del Golfo, nel 1991, allorquando le forze aeree della Coalizione a guida americana, avevano effettuato i primi raid contro le centrali elettriche irakene. Tali attacchi costrinsero il regime di Baghdad a bloccare la produzione di quelle ancora efficienti, onde evitarne la distruzione. In questo caso (concetto EBO) la paura della distruzione delle centrali ancora intatte produsse una volontà di preservarle, eliminando di fatto la necessità, da parte della Coalizione, di distruggerle.
Tuttavia Iraq e Serbia sono due realtà statuali, cui il semplice danneggiamento delle strutture (sia industriali che di erogazione dei servizi) ha inibito la volontà di proseguire il confronto.
I recenti teatri operativi, soprattutto in Afghanistan e in Siria, hanno messo di fronte alle coalizioni occidentali un nemico che non si avvale di strutture logistiche/industriali per poter operare, che combatte in piccoli gruppi, supportato dalla popolazione locale e mosso da forti motivazioni religiose.
Nonostante questo il concetto EBO può essere applicato attraverso la sinergia di armamenti di precisione, droni armati e nuclei di forze speciali che permettono di ridurre notevolmente le forze combattenti necessarie a conseguire determinati risultati.
Dispiegare massicci complessi di forze, oltre che assai costoso, comporta non pochi rischi dal punto di vista operativo, vista la proliferazione di sistemi d’arma moderni anche tra i miliziani dei gruppi jihadisti (esempi significativi sono stati le operazioni delle IDF in Libano nel 2006 e a Gaza nel 2008). Significativo a tal proposito l’intervento della Federazione Russa nella guerra civile siriana ha segnato certamente una cesura con il passato. Infatti Mosca piuttosto che inviare massicce unità corazzate ha preferito pacchetti di forze leggere specializzate (oltre ad un supporto di artiglieria ed elicotteri), potendo così sfruttare una maggiore flessibilità.
La classica distinzione delle operazioni militari in difensive e offensive appare oggi del tutto superata, emerge invece la necessità di produrre gli effetti desiderati, mantenendo l’iniziativa.
L’elemento vincente, negli scenari di crisi odierni, è che a tutti i livelli (dal soldato in teatro operativo alla dirigenza politica) deve essere ben chiaro che la chiave della vittoria risiede nell’utilizzo di tutte le risorse disponibili, anche non militari, al fine di poter obbligare l’avversario a combattere al di fuori dei propri schemi.
Quindi, se non necessariamente l’annientamento del nemico, gli attuali teatri di crisi, per essere definitivamente pacificati necessitano di un costante controllo del territorio, volto a supportare la popolazione civile - anche controllando i (spesso) corrotti governi locali - vera chiave del successo.
Foto: Bensearchiv / U.S. Army / MoD Federazione russa