Che cosa è un’Operazione Speciale

(di Tiziano Ciocchetti)
20/09/21

Con quest’articolo apriamo una filiera di servizi dedicati alle Operazioni Speciali. La scelta potrebbe sembrare un’operazione di marketing visto che il tema è gettonato, piace, coinvolge, attrae ed è anche inclusivo perché “speciali” ci sentiamo un po’ tutti. Invece, lo scopo è sorprendentemente diverso. Quello che ci proponiamo, infatti, è di approfondire l’argomento nel modo più pragmatico possibile offrendo una panoramica sicuramente ristretta – poiché le testimonianze e i documenti originali nel settore sono scarsi per ovvi motivi di riservatezza – ma realistica, comprovabile, oggettiva e, per questo, speriamo anche interessante per i lettori.

Per pochi lettori!

Sì, perché quello che scriveremo rischierà di essere esclusivo invece che inclusivo, ovvero di restringere il campo di quello che spesso si è considerato speciale o specialistico e che invece, sulla base delle considerazioni che faremo, probabilmente, dovrà assumere un’altra connotazione. Vogliamo anche fornire un parere qualificato scevro da indirizzi interni, direttive, norme di linguaggio ed interessi di parte.

Per questo pezzo citeremo riferimenti ufficiali ma allargheremo deliberatamente lo spettro dell’analisi – che non vuole assolutamente presentarsi come un “Bignami” della normativa in vigore – a testimonianze, analogie, storie vere, paragoni, e a quanto ci sembrerà più appropriato a conferire tangibilità e concretezza agli scritti sempre cercando di imprimere uno stile scorrevole, e speriamo anche avvincente, all’articolo.

In ultimo, ci rivolgiamo a chi nel settore ci lavora e a quelli che ne dovranno decidere il futuro sperando di fornire loro un contributo, sicuramente critico e spesso vibrante e pungente, ma altrettanto sicuramente in buona fede. Non scritti per i soli specialisti ma anche per chi si approccia a questo oceano per fargli prendere il mare con la vela giusta. Spesso ci riferiremo alla situazione nazionale che costituirà il fulcro delle considerazioni che faremo.

Quello che diremo sarà tutto tranne che "politically" correct. Siamo sicuri che attireremo nuovamente aspre reazioni. Ma le critiche, quando costruttive, referenziate ed autorevoli, sono sempre le benvenute e sicuramente ci aiuteranno a raggiungere lo scopo che ci prefiggiamo. D’altra parte, i recenti articoli sul trattamento economico delle forze speciali hanno già alzato un bel polverone, cosa che costituisce incontrovertibile indicatore d’interesse. Moltissime le testimonianze di plauso per quanto pubblicato e, inevitabilmente, anche diversi "rimbrotti".

L’unico rammarico è che le disapprovazioni che sono giunte, oltre a essere per lo più anonime o, comunque, coperte dallo stratagemma della pseudonimia, non abbiano scalfito minimamente l’impianto normativo e giustificativo posto alla base soprattutto del secondo articolo, ma si siano limitate a tesi generiche, autoreferenziali, totalmente opinabili e, talvolta, anche irrispettose se non addirittura offensive. Ma va bene così. Ci piace pensare che la verità non sia sempre facile da accettare!

Chiaramente, i nostri articoli si basano sulla nostra esperienza personale come giornalisti e divulgatori e sulle testimonianze che siamo riusciti a raccogliere tra gli esperti, gli addetti ai lavori e qualche autorevole voce che si è anche di recente espressa sulla nostra piattaforma.

L’alfabetario delle Operazioni Speciali

Definire, riconoscere e caratterizzare un’operazione speciale fa parte dell’abc, di chi si diletta, anche amatorialmente, nel settore. Concetti che s’imparano in prima, massimo nella seconda elementare delle scuole degli addetti ai lavori e che, se non acquisti, comportano la bocciatura senza appello dagli istituti di formazione – quelli veri.

Come vedete, si comincia da subito ad essere “esclusivi”!

La prima caratteristica delle Operazioni Speciali è l’obiettivo, ovvero lo scopo che si propongono, che deve essere di grandissima importanza. In gergo si dice “strategico”, in quanto il ricorso ad operazioni speciali per conseguire obiettivi di natura operativa o tattica è considerato solo eccezionalmente1. In poche parole, si svolgono operazioni speciali solo se si devono conseguire obiettivi di valore elevatissimo ai fini della campagna militare, oppure di rilevante valore politico e che quindi implicano anche un elevato rischio politico.

Come traspare da queste prime considerazioni la parola rischio ha fatto prepotentemente apparizione e il ricorso all’operazione speciale viene scelto anche perché, spesso, non vi è altro modo “accettabile” per conseguire lo stesso obiettivo.

Da questa prima caratteristica derivano molteplici conseguenze e considerazioni.

Essendo l’obiettivo di livello strategico-politico viene assegnato proprio dai massimi vertici dell’organizzazione politico-militare. Inoltre, proprio per l’importanza dell’obiettivo e per la conseguente sensibilità dello stesso non esistono intermediari tra chi assegna la missione e chi è incaricato della pianificazione ed esecuzione dell’operazione speciale. Ecco perché nel mondo “evoluto” i Comandi o i Direttorati delle Forze Speciali sono posti alle dirette dipendenze del commander in chief (capo di stato maggiore della Difesa) o, addirittura, del Ministro della Difesa2. Per lo stesso motivo questi comandi dedicati alle OS sono blindati, riservati, poco accessibili, e composti solo da selezionatissimi ed esperti addetti ai lavori.

Curiosamente, questa considerazione è in aperto contrasto con la recentissima decisione nazionale di implementare il Comando Operativo di Vertice Interforze (COVI) che introduce un ulteriore scalino di comando che separa il Comando per le Operazioni delle Forze Speciali (COFS) dal commander In chief.

Anche nel panorama internazionale, e prendendo ad esempio le realtà USA, Regno Unito e Francia, i Comandi per le Operazioni Speciali fanno riferimento direttamente al commander in chief pur confrontatosi da anni, tutte queste nazioni, con le operazioni Multidominio da cui la realizzazione del COVI trae origine. Questo provvedimento, che speriamo venga presto ripensato, spingerebbe ancora di più il comparto speciale nazionale nella dimensione africana delle SOF dove contano i numeri piuttosto che la qualità e dove premia la fedeltà al regime piuttosto che la professionalità, competenza e l’efficacia. Alcuni paesi innovativi e molto esperti nel settore hanno fatto delle Operazioni Speciali un “service” a parte (una forza armata a parte) alle dirette dipendenze del Chief of Defence (CHOD) o addirittura del Ministry Of Defence (MOD). L’Italia, con l’introduzione di un ulteriore livello di comando, sembrerebbe andare in direzione opposta.

Per dare una valenza anche tangibile a quanto abbiamo appena asserito vogliamo fare qualche esempio pratico che evidenzi l’importanza dell’obiettivo nelle operazioni speciali più conosciute.

Per cominciare con una delle prime operazioni considerate “speciali” citiamo l’obiettivo della riconquista del Col Moschin da parte degli arditi del maggiore Messe nel giugno 1918. Se il Colle non fosse stato ripreso, infatti, le forze austro-tedesche avrebbero dilagato nella pianura padana ribaltando probabilmente gli esiti della Prima Guerra Mondiale sul fronte italiano.

Altro esempio storico e conosciuto è l’affondamento del Valiant e del Queen Elizabeth ad Alessandria da parte degli incursori di marina nel dicembre 1941. Tale azione ha comportato infatti il ribaltamento del rapporto di forze navali nel Mediterraneo.

Sempre dello stesso periodo, la presa del forte di Eben Emael da parte dei paracadutisti di Student. Senza quel perno di manovra l’invasione del Belgio e poi della Francia sarebbe stata impossibile o sarebbe costata, in termini di vite umane e di equipaggiamento, molto di più.

La liberazione di Mussolini a Campo Imperatore da parte del commando tedesco di Harald-Otto Mors serve a spiegare l’alta valenza dell’obiettivo. Lo scopo, infatti, era del massimo livello politico: all’indomani dell’8 settembre 1943 la Germania voleva rimettere in piedi in Italia un governo amico che concorresse ad opporsi ed a ritardare l’avanzata degli Alleati e la guerra partigiana.

Anche la liberazione degli ostaggi a Entebbe, nel 1976, da parte del Sayeret Matkal (equiparabile al 22° SAS e al Nono) israeliano (insieme ai Sayeret Golani e Tzanhanim), aveva uno scopo di altissima valenza politica in quanto il diffuso terrorismo contro il popolo ebraico metteva in gioco l’esistenza stessa dello stato di Israele.

Ma per riferirci a periodi più recenti possiamo prendere in considerazione il compito dato alle forze speciali in Afghanistan dal 2006 al 2014, ovvero la disarticolazione della leadership dell’insurrezione. Tale obiettivo era tra i più importanti dell’intera campagna USA e della NATO in Afghanistan in quanto ritenuto fondamentale per decapitare, e quindi privare di capacità decisionale, i vari gruppi rivoltosi che si opponevano alle truppe, per lo più occidentali, che operavano in supporto al Governo Afgano.

Ultimo esempio è la cattura e, successivamente la neutralizzazione, di Osama bin Laden da parte di un nutrito team di Seal. Riteniamo non ci sia nulla da aggiungere per marcare l’importanza che questo obiettivo aveva sia da un punto di vista strategico, ma soprattutto politico, per la leadership politica statunitense. Inoltre, era il presidente degli Stati Uniti che, dalla sala ovale, ha seguito l’evento in diretto contatto con il comandante del Joint Special Operations Command incaricato dell’operazione, non vi era nessun altro intermediario o COVI che li separasse!

Altra caratteristica delle operazioni speciali è quella di essere eseguite da unità specificatamente designate, selezionate, addestrate, equipaggiate e organizzate che impiegano peculiari e specifiche tecniche e procedure3.Anche da questa semplice e forse banale frase derivano molteplici conseguenze che cercheremo di sintetizzare di seguito.

Le forze speciali non s’improvvisano né si creano all’ultimo momento4. Sono unità che nascono diverse, proprio perché devono impiegare, sin dalla fase di pianificazione, tecniche e procedure peculiari, tipiche e distinte. Questo non vuol dire che gli incursori siano marziani con le antenne o una versione (ancora) con le stellette di James Bond, ma significa che da sempre e per sempre si addestrano ad eseguire attività e procedure che si distinguono, a volte anche sostanzialmente e a volte anche solo per alcuni dettagli, da quelle normalmente impiegate dalle forze convenzionali.

Quasi tutto il tempo della loro vita operativa lo passano ad addestrarsi e a ripetere e ripetere, e a ripetere ancora proprio queste tecniche e procedure sino a quando, solo raramente, vengono chiamati per impiegarle. E questo spiega anche perché molti convenzionali considerano gli incursori dei “consuma risorse” e dei privilegiati che passano il tempo a fare solo attività arrapanti come lanci, immersioni e demolizioni, alternando le esercitazioni con intense riprese in palestra sostenuti magari da qualche personal trainer. Quello che spesso questi estroversi criticoni si dimenticano è che quelle rare volte che gli incursori vengono chiamati a operare, non è più concesso il minimo margine di errore! Non c’è la possibilità di rimettere a posto le cose se vanno male. Non esiste rincalzo! E se ad un operaio che lavora in fabbrica, anche se con rammarico, mi posso permettere di far mancare qualche risorsa, la stessa leggerezza non la posso compiere con i pompieri che devono intervenire quando la fabbrica va a fuoco, se non voglio correre il rischio di perdere irrimediabilmente tutto e di licenziare, successivamente, tutti gli operai!

Queste tecniche e procedure spesso – se non immancabilmente, in alcune occasioni – implicano l’impiego di equipaggiamento innovativo e poco diffuso che, se non costituisce una scoperta scientifica di grande valore tecnologico e di assoluta segretezza, comunque rappresenta una novità, un’evoluzione, un cambiamento nell’ambito delle dotazioni normalmente utilizzate a scopi bellici.

E qui facciamo qualche esempio perché altrimenti rischiamo di essere confusi e aprire il campo alle più svariate interpretazioni.

Queste tecniche particolari sono a volte rocambolesche e strabilianti, come il lancio col paracadute da quote altissime o l’impiego di mezzi insidiosi subacquei. Altre volte sono quasi al limite della banalità, come la capacità, sviluppata ai tempi della Guerra Fredda, quando si temeva un’invasione sovietica, di rintanarsi per un mese in un buco di un metro per un metro senza mai uscirne e senza essere individuato per fornire informazioni la cui importanza era comprovata, in un territorio prima amico ma che, a causa della repentina avanzata dell’Armata Rossa, sarebbe diventato ostile (tecnica dello scavalcamento).

Le innovazioni associate a queste tecniche vanno considerate nel quadro del periodo storico in cui sono state impiegate. Se il paracadute e l’aliante sono le innovazioni che hanno permesso la presa del Forte di Eben Emael nel 1940 da parte degli incursori di Student oggi, le stesse tecniche e gli stessi equipaggiamenti non potrebbero più definirsi innovativi. E lo stesso dicasi per il Siluro a Lenta Corsa del sottotenente di vascello Durand de la Penne o dei visori notturni usati nel 1976 dagli israeliani durante l’operazione Thunderbolt (poi ribattezzata operazione Yonatan) a Entebbe. Inoltre, le procedure peculiari una volta impiegate diventano quasi subito usuali perché il nemico le studia, le impara e l’impiego delle stesse non assicura più la sorpresa che è un requisito fondamentale di ogni operazione speciale. Quindi, queste procedure e tecniche particolari devono essere innovative e segrete e ce le possiamo spendere una volta sola in quanto “fatta la prima” l’innovazione e la segretezza è definitivamente persa.

Spesso, la segretezza non è riferita alla tecnica in sé ma ai dettagli, alle specificità, al modo con la quale è applicata. Il fatto che un obiettivo navale possa essere attaccato da sott’acqua usando mezzi subacquei appositamente concepiti è ormai cosa nota, ed era nota anche nel 1941. Quello che garantisce la sorpresa, e che deve quindi essere mantenuto segreto è, per esempio, la distanza d’ingaggio, il sistema di guida e scoperta, le caratteristiche che ne garantiscono l’invisibilità, le tecniche usate per l’avvicinamento, etc.

Lo stesso dicasi per un’irruzione. Tutti sanno che in un edificio si può irrompere ma le tecniche specifiche riguardano, per esempio, la capacità di passare attraverso delle brecce nei muri invece che di usare le aperture già presenti, di entrare dalla soletta del pavimento, da un buco praticato sul tetto o l’impiego di gas nervini paralizzanti che neutralizzano, a premessa, tutto il personale che si trova all’interno dell’edificio pur mantenendolo in vita. Anche la tecnica d’impiego delle flash bang o di altri artifizi conferisce specificità alla tattica impiegata e costituisce patrimonio riservatissimo del reparto che l’ha studiata e concepita e può fare la differenza fra il più clamoroso dei successi e la più totale e drammatica sconfitta!

Altra caratteristica di una Operazione Speciale è quella di essere “speciale” dal principio - ovvero sin dalla sua concezione e pianificazione - sino alla fine - ovvero al momento del hot wash up (attività che viene condotta quando tutto è terminato, tutti gli assetti sono al sicuro in sede e si ricapitola l’intera operazione per vedere di trarne tutti gli insegnamenti necessari). Nulla di più sbagliato di relegare l’operazione speciale alla materiale liberazione degli ostaggi, all’intervento sull’obiettivo o alla cattura o neutralizzazione della personalità. Quella è solo una piccola fase di un articolato complesso di attività peculiari che, nel loro insieme, costituiscono l’operazione speciale.

Ecco perché le operazioni speciali non possono che essere concepite da uomini speciali. Ed ecco perché i comandi convenzionali non pianificano né conducono né coordinano operazioni speciali. Sarebbe come far pianificare e condurre un Gran Premio al consiglio d’amministrazione della Fiat invece che alla Scuderia Ferrari!

Anche questa particolarità è poco accettata dai pluristellati ufficiali provenienti dalle forze convenzionali che ritengono un’operazione speciale una semplice attività di fanteria condotta da qualche sparafucile più addestrato e meglio equipaggiato. Come se John Elkann considerasse l’ultimo bolide rosso dal Cavallino Rampante come un Doblò che corre semplicemente più veloce!

Se ne sono sentite di tutti i colori. Soprattutto nell’ambito dell’Esercito, infatti, si fa molta fatica a non assimilare il reparto incursori ad un normale reparto di fanteria. Anche perché, quando ci si trova di fronte ad una novità che non si riesce o, peggio ancora, non si vuole spiegare, il nostro cervello funziona per analogie. E allora il “convenzionale” vede che, tutto sommato, un reparto di incursori è costituito essenzialmente da uomini (non hanno né carri armati, né elicotteri, né aviogetti, né radar, né mezzi di incredibile sofisticazione) è suddiviso in compagnie (o roba simile), fa un addestramento spinto, ma che tutto sommato può essere ricondotto a quello della fanteria, ed assimila l’unità alle tante che lui conosce.

Un esempio eloquente sono le tabelle organiche del 9° reggimento Col Moschin che, per le più disparate regole di forza armata devono rifarsi ai canoni dell’Esercito che prevede compagnie, battaglioni, periodi di comando e chi più ne ha più ne metta invece di potersi attagliare realmente alle effettive necessità del reparto.

Più difficile in Marina o in Aeronautica dove, effettivamente, è problematico assimilare un reparto incursori ad una nave o ad un aereo, mancano le eliche, i motori, i radar, la sala macchine, la carlinga… e quindi il processo di assimilazione è più arduo e i convenzionali sono più propensi a “maneggiare con cura” uno strumento che non conoscono e a essere molto più flessibili e adattabili quando si tratta di tabelle organiche.

È dall’inizio, quindi, che uomini speciali concepiscono attività speciali. Uomini speciali organizzati in comandi dedicati alle cui dipendenze si trovano le unità che poi l’operazione la devono eseguire e che contribuiscono alla sua pianificazione. La catena di comando e controllo delle OS è infatti “piatta” ovvero priva dei vari livelli di comando tipici delle catene gerarchiche articolate, proprio per facilitare un rapidissimo decision making.

Il modo in cui è concepita, organizzata ed eseguita conferisce la specifica caratteristica all’operazione speciale. Il modo in cui si impiegano gli indispensabili supporti, il susseguirsi delle tempistiche e delle fasi, le tecniche per riportare a casa il dispositivo e l’impiego di quelle tattiche e procedure tipiche, nonché di equipaggiamenti innovativi, conferiscono, tutte insieme, la caratterizzazione di “Speciale” ad un’operazione.

La fase dell’irruzione, l’azione sull’obiettivo è probabilmente il momento meno significativo! Quella su cui si concentrano i paesi terzomondisti che continuano a produrre aitanti e allenatissimi soldati con la tartaruga sulla pancia e la perfetta conoscenza di improbabili arti marziali. Unità che pubblicizzano su internet la propria esistenza e virilità, senza però sviluppare le capacità di pianificazione, le tecniche di inserzione ed estrazione, la capacità di collaborare con gli assetti dedicati, la mentalità non convenzionale. In gergo si chiamano i “keeking doors”, ovvero quelli che sanno prendere a calci le porte. In 6 mesi se ne producono brigate senza grosse difficoltà …ma andateli a chiamare Forze Speciali! In qualche anno si producono reggimenti dall’aria cazzutissima, tuttavia nella storia, queste unità, hanno spesso collezionato drammatici e spesso tragici fiaschi!

Le Operazioni Speciali sono immancabilmente joint by nature, ovvero, sono interforze per natura5. Tali attività, infatti, si sviluppano in tutte le componenti aria, terra, acqua, spazio e dimensione elettromagnetica utilizzano gli assetti di tutte le Forze Armate per le inserzioni/estrazioni ma anche per il necessario supporto di intelligence, logistico, di Intelligence Surveillance e Reconnasissance (ISR), delle comunicazioni e tattico.

È anche per questo che la connotazione di singola forza armata ha un orizzonte estremamente limitato sia nelle forze speciali che nelle operazioni speciali. Ed è anche per questo che la validazione e l’approntamento delle unità di Forze Speciali per un eventuale impiego non può prescindere da una consistente e intensiva fase interforze.

La fase di singola forza armata serve solo a garantire la base, il substrato, il minimo sindacale per essere pronti all’impiego, che poi va completato ed integrato da una consistente fase interforze che deve essere valutata dal Comando responsabile dell’impiego. Anzi, l’addestramento interforze deve caratterizzare il continuum addestrativo di tali unità secondo il principio train as you fight.

L’ambizione delle singole forze armate di avere unità indipendenti e autosufficienti è quindi una mera chimera che sarebbe il caso terminasse al più presto a favore di una connotazione più joint che farebbe risparmiare tempo e risorse sia umane che materiali e permetterebbe l’esistenza di uno strumento più affidabile ed efficace.

Un’operazione speciale non può essere concepita in assenza di un assiduo, efficace e protratto supporto di intelligence6. E questa caratteristica, qualcuno potrebbe obiettare, è comune a qualsiasi operazione... Non è esattamente così. Quello che serve agli incursori è una actionable intelligence ovvero un supporto informativo concreto che conferisca la possibilità di poter agire puntualmente. E anche qua ce la caviamo, per spiegare questo concetto, con un esempio...

Sapere che un pericoloso leader avversario si trova in un centro abitato controllato da forze nemiche è un’informazione importante ma non sufficiente per condurre un’operazione speciale. La stessa informazione può essere invece sufficiente per condurre un’attività convenzionale durante la quale, concentrando una preponderante quantità di forze per un prolungato periodo di tempo e godendo della superiorità aerea e terrestre si isola l’abitato e lo si rastrella casa per casa sino a trovare il pericoloso leader. È vero anche che probabilmente con una siffatta operazione il pericoloso leader non verrà mai preso in quanto dispone di una rete di early warning che gli consente di squagliarsela prima che il mastodontico dispositivo venga messo in atto.

Per un’operazione speciale serve sapere in che casa e a che ora vi si trova l’obiettivo, come è fatto il tetto della casa, lo spessore dei muri, le abitudini di chi vi abita vicino e le abitudini dell’obiettivo stesso (quello che in gergo si chiama pattern of life) per riuscire a condurre, con un pugno di uomini addestratissimi e con mezzi innovativi, un’operazione puntuale e circoscritta che in pochi minuti neutralizzi il target senza andare a toccare il resto dell’abitato e senza causare (o quasi) danni collaterali.

È chiaro che gli assetti di intelligence e le capacità degli stessi per fornire tali particolari dovranno essere diversi. Ecco spiegato il perché le OS necessitano di assetti di intelligence dedicati. D’altra parte se Durand de la Penne e Emilio Bianchi avessero trovato nel porto di Alessandria due sgangherati motopescherecci al posto del Queen Elisabeth (foto) e del Valiant che operazione speciale avrebbero condotto?

Le Operazioni Speciali, nella quasi totalità dei casi, non possono essere svolte senza assetti e uomini di supporto. Se è vero che questo supporto può essere convenzionale, e spesso lo è stato, è altrettanto vero che per le più complesse e anche riuscite azioni non convenzionali gli incursori hanno beneficiato di un supporto dedicato, specifico ed orientato. Gli assetti di supporto sono spesso velivoli (ad ala fissa e rotante) con i loro equipaggi, droni, unità navali di superficie o subacquee, assetti di ISR (anche humint), unità di forze convenzionali, spesso di fanteria robusta, unità delle trasmissioni o di guerra elettronica, assetti per il controllo dello spazio aereo, assetti di particolare valenza tecnologica e la lista non si esaurisce qui.

Altra constatazione che spesso sfugge ai meno esperti è che proprio questi assetti di supporto sono quelli che fanno la differenza e quelli che consentono, più di ogni altro fattore, l’esecuzione dell’operazione speciale. Tanto per riferirci ad esempi ed analogie, negare il supporto ad un’operazione speciale sarebbe come presentarsi al Gran Premio con una Ferrari fiammante, un pilota da urlo ma poi non avere la squadra che cambia le gomme o il team di meteorologi che sono in grado di dirci a che ora e con che intensità pioverà durante la corsa! Chi lo farebbe? E come è facilmente deducibile, quei gommisti non sono quelli dell’autorimessa sotto casa ma sono “dedicati”: si addestrano sempre, e non part-time, in team inseparabile ed affiatatissimo con i piloti, i meccanici e la scuderia. I meteorologi, invece, potrebbero essere quelli di un qualsiasi istituto di meteorologia, purché in grado di fornire dati sicuri. Certo che, se fossero dedicati, magari, qualche consiglio o qualche parere in più in caso di incertezza, imponderabilità e aleatorietà della situazione potrebbero fornirlo... roba che farebbe guadagnare qualche centesimo di secondo, insignificante per un taxi, ma che può garantire il podio in un Gran Premio. Ma spesso non si hanno le risorse per avere tutto dedicato.

Le operazioni speciali sono quasi sempre condotte dal debole al forte. Tale caratteristica conferisce alcune imprescindibili proprietà alle operazioni speciali come quelle di avvantaggiarsi necessariamente dei principi della sorpresa e della velocità per realizzare la superiorità limitata ad un brevissimo arco temporale e ad una limitatissima porzione di spazio (in gergo chiamata superiorità relativa)7 ed avere ragione di forze estremamente più numerose, meglio armate e meglio organizzate a difesa8. E qui gli esempi sono semplici e immediati.

Un pugno di uomini con pochi mezzi hanno avuto ragione di due imponenti navi e di una organizzazione difensiva impressionante nel porto di Alessandria nel dicembre 1941. E lo stesso dicasi per la presa del forte di Eben Emael e per la liberazione degli ostaggi da parte degli israeliani a Entebbe.

Nelle stesse condizioni si trovavano i piccoli team di incursori che in Afghanistan si inserivano in territorio controllato dagli insorti per la neutralizzazione dei capi dei rivoltosi che spesso si rifugiavano in agglomerati presidiati dai talebani. Il fatto di essere in pochi consente, infatti, di muoversi rapidamente, di evitare le isteresi dovute all’emanazione e ricezione degli ordini, di essere tutti concentrati sull’obiettivo proprio perché tutti facenti parte di piccolissimi nuclei selezionatissimi e affiatatissimi9.

La piccola dimensione elimina, o comunque minimizza, quelli che Clausewitz chiamava gli “attriti della guerra”. Per gli incursori “less is more”! Ecco perché le Forze Speciali non possono permanere sull’obiettivo, non possono tenere le posizioni, non possono controllare il territorio. Queste attività hanno tutte bisogno di tempo e di massa, ed il tempo e la massa sono proprio due fattori di cui gli incursori non dispongono mai!

Sempre per essere precisi, le operazioni speciali sono condotte in ambienti ostili, non permissivi o politicamente sensibili e rischiosi10. Non avrebbe senso pianificare inserzioni rocambolesche, attuare movimenti in clandestinità, ricorrere alla dissimulazione con l’ambiente circostante se poi le condizioni del momento consentono invece procedure molto più sicure e di facile realizzazione. Che bisogno c’è di uomini addestratissimi, tattiche peculiari ed equipaggiamenti innovativi se poi all’obiettivo ci posso arrivare a ridosso senza alcun problema, fischiettando con le mani in tasca perché l’ambiente lo consente?

Alcune importanti considerazioni discendono da questa caratteristica.

La prima è che gli incursori esistono per operare in ambienti ostili. Tutto il loro addestramento e, la loro preparazione, è rivolta a tale tipologia di territorio e tutti i loro automatismi tattici sono improntati a tale realtà. E quindi devono godere di ampissima autonomia e della capacità di impiegare ferri del mestiere di circostanza. Si, perché in ambiente ostile non ti possono rifornire quando vuoi. Se perdi l’esplosivo sott’acqua o al siluro non funzionano i motori, se l’autorespiratore fa acqua o se si rompono i visori o le radio quando atterri dopo un lancio devi comunque avere la capacità di provvedere con materiali ed equipaggiamenti di circostanza. L’obiettivo va comunque conseguito.

Se qualcosa va male devi saper esfiltrare, anche da solo, anche per centinaia di chilometri, senza farti prendere e senza compromettere l’attività di altri commilitoni che, magari, stanno operando a poche miglia di distanza. Devi conoscere possibilmente la lingua del paese dove operi, le usanze, i costumi. Devi spesso contare solo sulle tue forze senza poter invocare l’aiuto di nessuno. E l’addestramento dell’incursore è basato tutto su questa caratteristica.

Nel 1987, i sottufficiali incursori del 9° rgt Tiberi e Pisanu morirono, mentre il sergente maggiore De Roma perse le gambe e le dita di una mano, mentre si esercitavano con esplosivi e artifizi di circostanza. Non perché non avessero quelli “d’ordinanza” ma perché bisogna sapersela cavare anche quando i mezzi ortodossi e in dotazione non funzionano e non sono a disposizione. Questa abilità e competenza caratterizza il continuum addestrativo dell’incursore.

La seconda è che, per quanto una pletora di "super esperti" continui a classificarle come tali, nessuno ci convincerà che le attività tipiche delle forze di polizia, anche a ordinamento militare, che si svolgono in territorio “metropolitano”, inteso come amico, dietro la cornice di sicurezza offerta dalle preponderanti unità territoriali che hanno isolato il luogo dell’attività si possano anche solo lontanamente accostare alle operazioni speciali. Mi riferisco esplicitamente alle attività tipiche delle unità SWAT.

Vengono presi degli ostaggi in una capitale europea. La polizia “ordinaria” cintura la zona, isola l’edificio, schiera un cordone impenetrabile, controlla con tutti gli assetti necessari il quartiere. Intercetta ogni comunicazione che coinvolge l’area impedendo, tramite jamming, che dall’obiettivo si possa comunicare a chicchessia. Con camere termiche mostruose e radar specifici, fatti affluire su mezzi ruotati commerciali utilizzando la viabilità cittadina, tanto nessuno li fa saltare per aria, sa esattamente dove si trova il personale all’interno dell’obiettivo. Quando il tutto è realizzato dagli sbirri superconvenzionali e sotto uno stretto e rigido controllo, che farebbe invidia alla Stasi di Berlino Est, si presentano una ventina di bellimbusti tutti equipaggiati con scudi antiproiettile, caschi con lanterne da minatore, fucili a pompa e mazze sfondaporte, con l’immancabile mephisto nero che fa figo e che evita che il prode agente sia riconosciuto dalle sempre attente schiere di terroristi, piazzano gli esplosivi, entrano, neutralizzano i tre/quattro malcapitati e liberano gli ostaggi.

Bravissimi! Ma tutto è tranne che un’operazione speciale. Dov’è la caratteristica dal debole al forte? Dove quella degli ambienti ostili e non permissivi? Dove la jointness by nature? Anche sull’importanza dell’obiettivo abbiamo le nostre riserve, perché se il verduraio sotto casa viene preso ostaggio da uno squilibrato che minaccia di ucciderlo a colpi d’ascia o col fucile da caccia del nonno sempre i soliti venti bellimbusti col mephisto nero vengono chiamati. Gli stessi che opererebbero se la più pericolosa e potente organizzazione terroristica prendesse in ostaggio la più importante personalità politica nazionale!

Anche sulle procedure tipiche e peculiari abbiamo il nostro personale parere. Quelli che usano queste particolari e inusuali procedure, tecniche e tattiche, in questa tipologia di azioni, sono gli esperti poliziotti convenzionali, quelli che intercettano, quelli che fanno jamming, quelli che recuperano le planimetrie dell’edificio, quelli che dal cordone riescono a inviare informazioni a volte fondamentali per la successiva azione di forza.

I bellimbusti saranno sicuramente ottimi tiratori e atleti agilissimi ma sino ad un minuto prima di entrare in azione potevano degustarsi una bella bibita ghiacciata dentro lo shelter adibito alla preparazione dell’attività. E alla fine dell’azione, che generalmente dura da pochi minuti o, al limite, qualche ora, se ne tornano tranquillamente alle loro case per fare una doccia calda e scrollarsi l’adrenalina di dosso.

Un mestiere duro, pericoloso, sicuramente non usuale ma lontano anni luce da quello dell’incursore e dal contesto delle operazioni speciali!

Le Operazioni speciali possono essere clandestine o usare tecniche e procedure clandestine

La NATO definisce per clandestina “An operation planned or conducted in such a way as to assure secrecy or concealment”. In italiano si tradurrebbe in segreta, riservata.

Quest’approccio va nel senso politically correct dell’Alleanza. Ma noi qua ci riferiamo all’impiego anche strettamente nazionale delle operazioni speciali, quello inteso a difendere e preservare interessi nazionali vitali e non negoziabili.

In questi casi l’accezione che si dà alla clandestinità è quella del non riconoscimento della paternità di un’operazione o, qualora se ne riconoscesse il coinvolgimento, di non svelare mai l’identità delle forze impiegate o la loro tipologia.

Chi non ha visto in Afghanistan schiere di armatissimi e barbuti energumeni occidentali vestiti come dei Mujaheddin del Panjshir? E le convenzioni internazionali? Come mai non erano in uniforme e non vestivano le insegne nazionali?

Per fare un esempio ancora più esplicito, ve lo ricordate il Rainbow Warrior? La nave di Green Peace, affondata il 10 luglio del 1985 nel porto di Auckland, in Australia. I francesi inizialmente non ammisero apertamente l’operazione né sono state mai svelate le identità degli incursori subacquei che hanno condotto l’attività e che, probabilmente, erano stati prestati dal Commando Hubert (incursori di marina) alla Direction Générale de la Securité Exterieure. Successivamente le forze di polizia e controspionaggio neozelandesi scoprirono molto di più.

Sempre per essere espliciti potremmo anche citare l’attacco di sabotaggio effettuato il 6 aprile del 1979 per far saltare i cuori in acciaio di 2 reattori nucleari destinati all’Iraq nel porto di Brégaillon la Seyne. Attacco che si attribuisce al Mossad che probabilmente ha impiegato operatori delle Forze Speciali israeliane.

Se questa caratteristica può far venire la pelle d’oca ai puristi della correttezza, agli ortodossi della legalità e agli ossessionati dai magistrati, per chi ha un po’ di conoscenza, anche storica, delle Operazioni Speciali è semplice e ordinaria quotidianità. Potremmo citare anche “Gladio” e tutta l’organizzazione stay behind messa in piedi dopo la seconda guerra mondiale ma rischieremmo di dilungarci troppo.

Le Operazioni Speciali, quindi, devono sapere e potere evolvere sul filo del rasoio, nelle zone grigie tra ciò che è concesso e ciò che non lo è, tra ciò che si può dire e ciò che sarà perentoriamente negato e tra l’esigenza di rispettare ciecamente le leggi e le norme nazionali e internazionali e quella di spingersi un po’ oltre sempre per difendere valori e interessi che assumono priorità assolute. Altra caratteristica che, tra l’altro, fa propendere per un dispositivo speciale estremamente ridotto perché si sa, quando si è in più di uno a sapere qualcosa si è già in troppi!

Quale ultima caratteristica che ci pare completi un quadro abbastanza esaustivo sulle operazioni speciali, sosteniamo che tali attività comportino necessariamente il dispiegamento di una forza nell’area di operazioni per il conseguimento dell’obiettivo. Anche questa peculiarità può sembrare banale, invece, più la tecnologia progredisce e più si è tentati di far passare per “speciale” ciò che invece rientra in altre, seppur pregevolissime, attività.

Così, per esempio, un hacker-attack contro un obiettivo di valenza strategica e portato con tecniche peculiari ed insolite potrebbe assimilarsi all’azione di cattura di Osama Bin Laden. Tale insidiosa e cibernetica aziona offensiva rispetta spesso anche altre caratteristiche specifiche delle OS: dal debole al forte, l’ambiente ostile (se pensiamo a quello virtuale dei networks), il supporto di intelligence etc.

I lettori più attenti penseranno che stiamo scherzando. E invece, c’è chi ci prova anche argomentando con sottili e sagaci ragionamenti. L’Aeronautica Militare italiana, per esempio, ci risulta che abbia tentato, qualche anno fa, di far passare come Operazioni Speciali le attività di bombardamento di precisione o di ricognizione aerea contro obiettivi puntuali cercando di inquadrarle, a tutti gli effetti, come Direct Actions o Special Reconnaissance. Così come sempre la stessa Aeronautica Militare italiana ha tentato di attribuire l’indennità di incursore a chi effettuava le “incursioni aeree” suscitando le vibranti risposte della Direzione del Personale Militare che ha precisato inequivocabilmente, con stile puntuale e cazziante, che cosa si intenda per incursore sottolineando contestualmente le evidentissime differenze che distinguono una tale professionalità da quella, sempre di altissima caratura, del pilota da guerra11.

Un documento amministrativo a cui ricorreremo anche nel prosieguo delle nostre dissertazioni per ribadire concetti e verità che spesso vengono deliberatamente offuscati da chi cerca di confondere perché, forse, nella nebbia “tutti i gatti sono grigi”!

1 Special operations create strategic or operational level effects or are executed where significant political risk exists (AJP 3.5);

NATO SOF are strategic assets to be employed to help achieve strategic and specified operational level objectives (AJP 3.5);

2 SOF are commanded through a special operations component command (SOCC) which exist alongside other service or functional component commands with a joint staff to plan and direct special operations (AJP 3.5)

SOF organizational structures are characterized by flat hierarchies designed for rapid decision making (AJP 3.5)

3 Special operations are military activities conducted by specially designated, organized, trained, and equipped forces using distinct techniques and modes of employment. AJP 3.5

4 SOF cannot be mass produced. Competent SOF cannot be created after emergencies occur. www.soc.mil

5 Special operations are, by nature, joint (AJP 3.5)

6 Special operations differ from other operations in the degree of political or military risk, operational techniques, modes of employment, dependence on detailed operational intelligence (INT), and use of indigenous assets (AJP 3.5).

7 High tempo is normally essential to SOF’s ability to conduct special operations. Rapid execution of a mission allows SOF to mass precisely tailored combat power at the critical place and time, accomplish the mission and withdraw before the adversary can react (AJP 3.5).

8 The successful conduct of special operations relies on individual and small unit proficiency in a multitude of specialized operational skills applied with adaptability, improvisation, innovation, and self-reliance. The small size, unique capabilities, and self-sufficiency (for limited periods of time) of SOF units provide the Alliance with additional options for a military response that may not entail the risk of escalation normally associated with employment of inherently larger or more visible conventional forces (AJP 3.5)

Special operations also rely on individual competencies/talents and small unit proficiency in a multitude of specialized operational skills such as adaptability, improvisation, innovation, self-reliance and their adaptable planning capabilities (AJP 3.5)

9 SOF personnel undergo a careful selection process and mission-specific training beyond basic military skills to achieve entry-level special operations skills (AJP 3.5).

10 Special operations are normally conducted in uncertain, hostile, or politically sensitive environments. These operations may be conducted using clandestine capabilities/techniques and require mature and highly trained operators (AJP 3.5).

11 Un reparto incursori è una unità operativa preposta ad addestrare ed impiegare nuclei incursori o singoli incursori. L’Incursore è un militare appositamente selezionato, qualificato e continuamente addestrato per conseguire un obiettivo militare in zona controllata dall’avversario mediante infiltrazione occulta su terra, in/dal mare o dall’aria, con o senza mezzi speciali. È un operatore che è al tempo stesso paracadutista, rocciatore, subacqueo, esperto di armi, di mezzi subacquei e di superficie, di strumenti di neutralizzazione speciali, di esplosivi, di arti marziali, di strumenti elettronici e di comunicazioni. L’addestramento per l’incursore appartenente ad un reparto incursori è quotidiano, a rotazione in una o più delle discipline di cui deve mantenere la piena capacità.” (…)

“…Non si può far rientrare nel significato di incursori - così come potrebbe essere inteso da una lettura disattenta della suddetta norma - anche il personale che partecipa ad una incursione aerea”. (…)

“L’incursione aerea, essendo un’attività di penetrazione di mezzi aerei (reale in territorio nemico o addestrativa in area classificata come ostile) a scopo di ricognizione, offesa o confusione, non può essere assimilata all’attività dell’incursore che si svolge in ambiente e con mezzi, finalità nonché preparazione, completamente diversi” (…)

https://www.difesa.it/SGD-DNA/Staff/DG/PERSOMIL/Circolari/documents/2006/020506_Circolare_Rep-Incursori-sub_allegato1.pdf

Foto: autore / U.S. Air Force / Bundesarchiv / U.S. Navy / Esercito Italiano / Royal Navy / U.S. DoD / U.S. Air National Guard