Crisi russo-ucraina: un’analisi militare sui rischi dell’escalation

(di Nicola Cristadoro)
15/02/22

Gli studi più recenti sulle tattiche russe si sono concentrati sulle operazioni svolte in Crimea, Ucraina Orientale e Siria. La Russia ha sfruttato i conflitti ucraino e siriano per sperimentare nuovi materiali ed armamenti e, nondimeno, verificare procedure tecnico-tattiche che costituiscono importanti lezioni apprese.

In particolare, Mosca ha avuto modo di testare numerosi sistemi d’arma aerei, navali e terrestri sul teatro siriano, verificandone punti di forza e vulnerabilità.

Nello specifico del teatro operativo ucraino, la Russia ha avuto otto anni di tempo per apprendere in dettaglio le procedure tecnico-tattiche delle forze regolari ucraine, osservando quanto della vecchia dottrina militare sovietica, patrimonio intrinseco alla cultura militare dell’Ucraina, sia ancora consolidato e quanto sia stato modificato dopo il crollo dell’Unione Sovietica. A titolo esemplificativo ricordiamo come, a partire dal 2014, l’Ucraina abbia potenziato i propri arsenali con l’acquisizione di armamenti di produzione dell’area della NATO, quali i sistemi missilistici anticarro Javelin e i droni forniti dalla Turchia.

Non va dimenticato che quando faceva parte dell'URSS, Ukroboronprom (l’Industria della Difesa dell’Ucraina) produceva un terzo dell'armamento sovietico. È un fatto che, in caso di conflitto armato i due contendenti si troverebbero a combattere prevalentemente con gli stessi armamenti, ben noti ad entrambi, ma non solo: le stesse tattiche e, addirittura, la stessa lingua! Tuttavia, sotto quest’ultimo aspetto, gli Ucraini godono del piccolo vantaggio di avere un idioma proprio, non necessariamente intelligibile da parte dei militari russi.

Ho definito “piccolo” tale vantaggio perché, non dimentichiamolo, la componente “asimmetrica” composta da formazioni paramilitari filorusse e capaci di comprendere entrambe le lingue da otto anni attive nel Donbass, possono significativamente contribuire a ridurre tale vantaggio.

Il fatto che i Russi applichino determinate tattiche in una situazione non significa che facciano lo stesso in un’altra. Su questo aspetto, Il generale Gerasimov – capo di stato maggiore delle Forze Armate russe - parafrasando l’eminente stratega russo generale Alexander Svechin, si è così espresso: “Ogni guerra rappresenta un caso isolato, che richiede la comprensione della sua particolare logica, del suo carattere unico.”1

Tale affermazione induce a pensare che i Russi non combatterebbero un avversario paritetico sul piano della guerra convenzionale con le stesse modalità attuate nei recenti conflitti che li hanno visti impegnati contro avversari di grandezza e capacità inferiori. Mentre nelle dottrine militari occidentali attuali si è molto orientato il focus alla minaccia asimmetrica (bande criminali, terroristi, insorti, mercenari, gruppi paramilitari, hacker ecc.), sono state abbastanza trascurate le modalità con cui la Russia attualmente svilupperebbe le proprie operazioni in un ambito di guerra simmetrica, con l’impiego di unità a livello di brigata pluriarma e di divisione.

Le unità a livello di battaglione sembrerebbero lo strumento più idoneo per la proiezione delle forze russe nell’Ucraina Orientale, ma i Russi ritengono essenziale una combinazione di divisioni e brigate per il combattimento con strumenti tecnologicamente avanzati contro forze paritetiche. A conferma di ciò, l’intelligence disponibile indica tra le unità russe schierate lungo il confine russo-ucraino la 150^ divisione di Fanteria motorizzata, unità dalle forti radici storiche che affondano nelle imprese svolte durante la “Grande Guerra Patriottica” (denominazione russa della II Guerra Mondiale).

È necessario, dunque, essere in grado di dare priorità alle minacce in relazione a queste capacità. Le bande criminali, i terroristi e gli insorti possono essere in grado di impedire a un comandante di raggiungere i propri obiettivi, ma queste entità generalmente non possono distruggere unità quali una brigata regolare. Le “forze asimmetriche” citate non sono certamente equiparabili alle forze convenzionali russe pesanti. Pertanto, è interessante analizzare come la Russia abbia combattuto fino ad oggi nel Donbass e in Siria contro avversari di inferiore livello e capacità, ma è altresì opportuno concentrarsi sulle formazioni e sulle capacità che i Russi stanno sviluppando e su come queste vengono addestrate per combattere avversari di pari livello.

La Dottrina Gerasimov sembrerebbe allora arrivata alla sua fase più delicata e cruenta, quella che prevede i boots on the ground delle truppe regolari come azione risolutiva prima della ripresa di attività diplomatiche da intraprendere, possibilmente, dettando le “regole del vincitore”. Nell’ottica della ormai famosa dottrina che prende il nome dal capo di stato maggiore delle Forze Armate russe, questa fase di combattimento dovrebbe esaurirsi rapidamente. Nel 2008 in Georgia è andata così, ma qui non ci si limiterebbe alle vibranti proteste formulate all’indomani del breve conflitto tra Mosca e Tiblisi e la storia ci insegna che anche la blitzkrieg tedesca avrebbe dovuto portare al dominio del III Reich in tempi rapidi, ma così – dopotutto, per fortuna – non è stato.

Negli ultimi due anni i Russi hanno schierato lungo tutto il confine con l’Ucraina, un certo numero di unità militari, alcune delle quali di rilevante consistenza, per un totale stimato di 120.000 uomini. In realtà non si tratta esclusivamente di unità inviate ad hoc per le cosiddette “esercitazioni”, bensì di unità che hanno integrato e rinforzato il dispositivo russo già presente nell’area. In tutto questo, Putin ha potuto beneficiare anche della disponibilità del fido alleato bielorusso, disposto ad accettare sul proprio territorio la presenza di un consistente numero di reparti russi e, nondimeno, ad offrire l’eventuale appoggio con le proprie truppe, qualora fosse necessario. In altre parole, la consistenza dello schieramento russo dalla Crimea (invero occupata senza sparare un colpo) al confine con la Bielorussia ha visto raddoppiate le unità operative lungo tutto il settore.

Premesso che gli attuali rapporti di forza tra le Forze armate russe e quelle ucraine sono di quattro a uno in favore del Cremlino e, pertanto, superano quelli di tre a uno che convenzionalmente sono considerati adeguati affinché la parte che beneficia di questa proporzione favorevole possa condurre un attacco, si può ragionevolmente affermare che l’attuale schieramento russo possa prefigurare l’imminenza di un’invasione del suolo ucraino.

Da diversi giorni le immagini trasmesse dai telegiornali mostrano mezzi militari che transitano costantemente lungo il confine tra Russia e Ucraina, impegnati nello svolgimento di lunghe “esercitazioni” che vedono impiegate decine di unità delle specialità più disparate.

Appare evidente che qui si sta andando ben oltre lo spirito delle cosiddette “grandi manovre” svolte periodicamente da ogni nazione.

Bisogna soffermarsi un momento e riflettere per comprendere il senso di questa surreale atmosfera da “Dottor Stranamore convenzionale”, che definisco tale perché, almeno finora, la minaccia nucleare resta sullo sfondo, per via delle testate tuttora nelle disponibilità di Mosca.

Le immagini che ci vengono mostrate dai media alla maggioranza delle persone potrebbero non comunicare nulla più di un sentimento di amarezza e disagio, umanamente comprensibile e limitato a qualche considerazione da vulgata popolare. In realtà, nella manciata di secondi dei vari fotogrammi che appaiono sullo schermo, un occhio professionale coglierebbe invece il significato dello schieramento dei BMP-2 e BMP-3 che si alternano ai rapidi movimenti dei carri armati T-72 e T-90, che si muovono lungo strade fangose o avanzano in formazione “aperta” attraverso vaste aree rurali.

Altre immagini catturate dai satelliti americani, riprese da reporter in prossimità delle linee di demarcazione territoriale o, fatto estremamente significativo, diramate dalle agenzie di stampa russe, nel quadro della massiccia campagna propagandistica a sostegno della propria “muscolarità” e capacità offensiva, ritraggono i veicoli trasporto truppe della famiglia dei BMP, i carri armati della tipologia citata, oltre a sistemi per la difesa aerea Pantsir S-1, sistemi missilistici antiaerei S-300 e S-400, lanciarazzi multipli BM-21 Grad (foto) – artiglieria apparentemente obsoleta, in realtà tuttora efficace e micidiale nel suo impiego come arma “di saturazione d’area” -, sistemi missilistici superficie-superficie 9K720 Iskander. Ancora, per i non addetti ai lavori, questi nomi e queste sigle possono significare poco o nulla, ma per gli addetti ai lavori consentono di prefigurare diverse ipotesi di sviluppo di guerra convenzionale.

Intanto va detto che, in risposta all’allargamento della NATO verso Est, percepito come una minaccia direttamente rivolta al proprio prestigio, alla propria politica e, nondimeno, alla propria integrità territoriale, Mosca si è ormai spinta troppo oltre per non dare adito ad una “perdita di credibilità” tanto nei confronti dell’Occidente, quanto nei confronti dei suoi alleati storici sparsi sul globo.

Se si vuole evitare la cosiddetta escalation, è necessario che gli Stati Uniti in primis e l’Europa a seguire, offrano a Putin la possibilità di non “perdere la faccia”. In concreto, a dispetto del diritto di ogni Stato di scegliersi gli alleati che preferisce, questo si traduce nel non insistere con un atteggiamento volto ad inglobare a tutti i costi ogni paese che manifesti la propria volontà di adesione alla NATO o all’Unione Europea. Un conto è stipulare relazioni di partnership economica, un altro stringere alleanze di natura militare che possono umiliare il Cremlino, già uscito sconfitto dal confronto della Guerra Fredda. Detto ciò, ci troviamo, innanzitutto, di fronte al rischio della ricerca di un potenziale casus belli da parte del Cremlino. Sono noti i sospetti che dietro gli attentati di Mosca (riusciti) e quello di Rjazan’ (fallito) del 2009, eventi che diedero a Putin la possibilità di organizzare la repressione che sfociò nella 2^ Guerra Cecena, ci fosse la longa manus del FSB.

Quali sarebbero dunque le principali linee operative che si possono individuare tra le diverse che a potrebbe attuare il Cremlino, se decidesse di implementare la fase più estrema della “Dottrina Gerasimov”, cioè il confronto armato?

Cercherò, sulla base della mia personale esperienza professionale, di delinearne due: una più verosimile e una più pericolosa.

L’ipotesi più verosimile vedrebbe l’attuazione di una serie di attacchi cibernetici mirati a neutralizzare i sistemi di comando e controllo avversari, oltre ad inibire l’uso delle reti elettriche e dei canali per la pubblica comunicazione (internet etc.). L’azione potrebbe proseguire con degli strike condotti con aeromobili e con sistemi missilistici superficie-superficie, a premessa dell’invasione vera e propria con le forze terrestri, per cui è ipotizzabile lo sviluppo dello sforzo principale lungo le direttrici est-ovest che dall’oblast di Rostov (sede stanziale della summenzionata 150^ divisione) adducono al Donbass. In tale ipotesi, l’end-state per Mosca potrebbe essere l’occupazione del Donbass per l’annessione al proprio territorio ed il riconoscimento di questa regione e della precedente conquista (la Crimea) da parte della Comunità Internazionale come appartenenti di fatto al territorio russo.

Il casus belli potrebbe essere offerto dal fatto che, ad oggi, la Russia ha rilasciato oltre 700.000 passaporti ad altrettanti cittadini ucraini russofoni e residenti nella regione contesa. Costoro, visti come cittadini russi a tutti gli effetti, sarebbero visti come popolazione vessata e soggetta alle regole di Kiev e, pertanto, meritevole dell’intervento da parte della “Grande Madre Russia”.

La seconda ipotesi, quella più pericolosa, vede sempre un attacco da est per occupare prima il Donbass e poi estendere la manovra fino a prendere il controllo di tutto il territorio ucraino a est del fiume Dnepr, l’area industriale del Paese. In caso di successo, le truppe russe potrebbero attraversare il fiume Dnepr e proseguire abbastanza speditamente verso ovest, attraverso territori relativamente rurali, simili a quelli su cui hanno svolto le recenti “esercitazioni”. Teniamo presente, ad esempio, la presenza dei missili Iskander sullo scenario operativo che, con un raggio d’azione di 400 km sono idonei a colpire obiettivi in profondità, ben oltre la distanza tra il confine russo e il limite occidentale della regione.

Lo sforzo principale potrebbe essere sviluppato in direzione di Kiev per la conquista della capitale ucraina. Uno sforzo secondario verosimile e significativo sarebbe condotto lungo il Mar Nero per impadronirsi di Odessa e delle sue strutture portuali, k-terrain per un’occupazione su vasta scala. Conquistare Odessa interromperebbe l’accesso dell’Ucraina al mare e ai mercati internazionali e aumenterebbe l’influenza della Russia sul commercio nel Mar Nero. L’end-state potrebbe coincidere con la presa di Kiev e la richiesta alla NATO di non proseguire oltre nell’allargamento dell’Alleanza.

Qualunque sia l’ipotesi, probabilmente la Russia dovrà agire presto o evitare di intraprendere qualsiasi manovra verso Ovest fino ai mesi estivi. A marzo la famigerata rasputitsa, lo scioglimento di neve e ghiaccio, nella zona delle operazioni, trasforma la terra in fango e palude e il terreno fangoso certamente non agevolerebbe la progressione dei mezzi corazzati, oltre a creare “colli di bottiglia” che renderebbero i mezzi facili bersagli per i missili anticarro (foto).

Quali siano le ragioni dell’una e dell’altra parte, chi scatena un conflitto come forza di occupazione in linea di massima ha torto. C’è da chiedersi se Putin non voglia essere ricordato come una sorta di Hitler del XXI secolo. Tra l’altro la scelta di combattere una guerra convenzionale avrebbe un elevato costo in vite umane su entrambi i fronti e, ricordando le parole di una celebre canzone di Sting, c’è da augurarsi che “… Russians love their children too”.

Una scelta sbagliata da parte di Putin potrebbe rivelarsi un boomerang anche a livello del consenso interno, nonostante il senso di Patria che appartiene ai sentimenti di gran parte del popolo russo.

1 V. Gerasimov, Ценность Науки в Предвидении (Il valore della scienza nella previsione), Corriere Militare-Industriale, a cura dell’Accademia Russa di Scienze Militari, 23/02/2013.

Foto: MoD Fed. Russa / MoD Ucraina / Cremlino