Per due giorni consecutivi, lo scorso febbraio, la Cina ha inviato i propri bombardieri strategici sopra lo Stretto di Taiwan, con la conseguenza di far salire la tensione tra Pechino e Taipei.
Il Ministero della Difesa dell’isola rese noto che i bombardieri H-6, scortati da caccia J-11, avevano volato oltre la metà che divide le acque dello Stretto, verso le coste di Taiwan. I velivoli hanno prima portato al massimo la potenza dei motori per poi ritirarsi. Si è trattata della seconda denuncia da parte di Taiwan, dal 2016, di sconfinamento dei jet cinesi nello Stretto.
Gli H-6 utilizzati nell'operazione facevano parte di una "missione di addestramento nel Pacifico".
I velivoli erano prima passati attraverso il Canale Bashi, che separa Taiwan dalle Filippine, e poi si erano diretti verso lo Stretto, secondo quanto affermato dal Ministero. Non ci furono commenti da parte di Pechino sull’accaduto. Tuttavia, lo stesso giorno, l’Ufficio cinese per gli Affari di Taiwan esortò il Partito Democratico Progressista (DPP), al potere nell’isola, a “non giocare con il fuoco”. Secondo Pechino, il DPP aveva “adottato una posizione che aumenta gli scontri nello stretto, intensificando nuove operazioni di Taiwan e degli Stati Uniti, sfruttando l’occasione per cercare l’indipendenza con provocazioni apertamente pericolose”.
La Cina aveva criticato tali fatti affermando che Taiwan rimane la questione più delicata nelle sue relazioni con gli Stati Uniti.
Da parte sua, il Presidente di Taiwan, la signora Tsai Ing-wen, aveva dichiarato che Pechino dovrebbe concentrarsi sul controllo della diffusione del coronavirus, piuttosto che perdere tempo a minacciare Taiwan.
Taiwan accusa da molto tempo la Cina per la politica di “accerchiamento” che sta portando avanti nei confronti dell’isola. L’episodio di tre mesi fa aveva visto i caccia cinesi J-11 e i bombardieri H-6 sorvolare il Canale di Bashi, a Sud di Taiwan, per poi dirigersi verso il Pacifico, prima di tornare alla base, attraverso lo Stretto di Miyako, situato tra le isole giapponesi di Miyako e Okinawa, a Nord-Est di Taiwan.
“Per rispondere a questa provocazione, la ROCAF (Republic of China Air Force) ha fatto decollare gli F-16 Block 20 e ha attivato il dispositivo di difesa anti-aerea (Taiwan può disporre di 6 batterie di missili superficie-aria Sky Bow I/II/III; 6 batterie di Skyguard; 19 batterie di MIM-23 I-Hawk; 18 lanciatori di MIM-104 Patriot PAC-3, NdA) in conformità con le norme di prontezza al combattimento”, aveva riferito il Ministero della Difesa di Taipei.
“Le missioni a lungo raggio in mare aperto della Cina comunista hanno un impatto sulla sicurezza e la stabilità regionali e mettono in pericolo la pace e il benessere condivisi da tutte le parti”.
Taiwan viene considerata dalla Cina una provincia secessionista, che dovrà tornare, prima o poi, nell’orbita della madrepatria se necessario anche con l’uso della forza. Una volontà riaffermata nel 2005, con la legge anti-secessione e ribadita nel 2018 attraverso le dichiarazioni del presidente (a vita) cinese Xi Jinping che asseriva che la storia avrebbe inferto una punizione esemplare a tutti quelli che avessero nuociuto all’unità del Paese.
Tuttavia l’isola gode, de facto, di un governo indipendente che si auto-definisce Repubblica di Cina (ROC), in continuità con la prima repubblica fondata sul continente cinese nel 1912 dal Partito Nazionalista Cinese (Guomindang), giunto a Taipei alla fine della guerra civile cinese nel 1949.
Nello stesso anno, a Pechino veniva fondata la Repubblica Popolare Cinese che si definisce, invece, unico governo legittimo di tutto il popolo cinese e chiede a tutti i Paesi con cui istituisce rapporti diplomatici di accettare il principio di “una sola Cina”.
Le relazioni tra Taipei e Pechino sono ulteriormente peggiorate a seguito della diffusione del COVID-19.
Taiwan ha accusato Pechino di impedire all’isola di accedere alle informazioni sanitarie complete fornite dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS).