Difesa dei nostri interessi in Mediterraneo

14/05/20

La storia ci insegna che le vie marittime sono fondamentali per l’economia e, a partire dal XIX secolo, indispensabili per sostenere la capacità industriale di ogni Paese. Tuttavia, per loro stessa natura, esse sono esposte a eventuali azioni aggressive da parte di chi desidera trarre illecito profitto da tali azioni o ad opera di elementi che intendono ostacolare i normali commerci internazionali. In questo quadro le flotte militare e commerciale hanno un’importanza vitale per la sicurezza e la prosperità delle Nazioni in particolare quando, per la scarsità delle risorse del Paese, la capacità produttiva sia subordinata alle importazioni per via marittima.

Per l’Italia è evidente la vitale necessità di importazioni dal mare, in particolare a causa della scelta di basare la nostra economia su una forte industrializzazione. Anche se é geograficamente definita una penisola, l’Italia può infatti essere assimilata a un’isola quando si parla della sua forte dipendenza dalle importazioni e, quindi, dalla disponibilità di linee di comunicazione marittime. Il mare ha, quindi, un ruolo centrale per il nostro Paese perché la scarsezza di materie prime ci costringe ad andare lontano per l’approvvigionamento. In sostanza l’Italia deve appoggiarsi all’estero per mantenere in vita il suo sistema economico. Dall’impero romano in poi, quando ha avuto a disposizione flotte per tutelare i propri interessi sul mare essa ha prosperato, quando non ha avuto a disposizione navi per contrastare la volontà dell’avversario del momento la sua economia è regredita.

Per assicurare che le materie prime necessarie al processo industriale arrivino in Italia e che il prodotto lavorato possa essere venduto, è quindi indispensabile che sia garantita la libera navigazione lungo le rotte marittime, che sono ancora il sistema più economico per il trasporto delle merci. L’80% del commercio internazionale viaggia tuttora sull’acqua.

Ma i mari e gli oceani del mondo sono pieni di passaggi dove è possibile effettuare abbordaggi a scopo di riscatto o che offrono la possibilità di impedire il transito marittimo, anche da terra o con mezzi navali relativamente limitati. Basti pensare, tanto per citare quelli di più diretto interesse italiano, gli stretti di Bab-el-Mandeb, Hormuz, Malacca. Tutte aree dove la pirateria è estremamente attiva e dove una eventuale crisi internazionale potrebbe creare le premesse per il blocco del transito dei mercantili.

Per contrastare la pirateria sono pertanto state avviate con successo operazioni di pattugliamento e scorta in acque distanti dall’Italia (foto apertura), prevalentemente condotte dalla nostre unità navali militari inserite in un dispositivo multinazionale. Proprio grazie a questi interventi gli abbordaggi da parte dei pirati sono drasticamente calati come numero. L’attenzione, tuttavia, deve rimanere alta per evitare che un eventuale ammorbidimento delle misure di prevenzione possa favorire la ripresa del fenomeno.

Detto questo, non va sottaciuto che l’area di nostro più diretto interesse, il Mediterraneo, rappresenta ancora oggi una delle regioni dove è più forte la conflittualità, a causa di situazioni che affondano le radici in nodi politici da troppo tempo irrisolti, sui quali oltretutto, si sono innestati fatti di terrorismo. E questa conflittualità cresce allorquando si parla di sfruttamento delle risorse marine, che riguardino indifferentemente l’estrazione di idrocarburi o la pesca. Stiamo, infatti, attraversando un periodo nel quale la ricerca di risorse rende molti Stati smaniosi di crearsi uno spazio vitale sempre più ampio, spesso con azioni che sfruttano una lettura prepotente e muscolare delle norme internazionali. Il campo principale sul quale tali azioni si manifestano è il mare, particolarmente ora che la tecnologia può permettere di raggiungere le sue risorse più intime e nascoste. Da autostrada delle merci e fornitore di cibo, il mare rappresenta ora un nuovo, ma vecchio, motivo di contenzioso internazionale.

Come non ricordare il lungo braccio di ferro tra la Turchia e l’ENI per i diritti di estrazione al largo della costa sudorientale di Cipro dove Ankara, con una mossa intimidatoria e senza fondamento giuridico, ha impedito nel 2018 le trivellazioni, regolarmente autorizzate da Nicosia, da parte della nave Saipem 12000. In quel caso la volontà politica turca si è espressa facendo navigare le proprie navi militari nelle acque assegnate all’ENI, impedendogli di svolgere le proprie operazioni e costringendola a rinunciare alla ricerca di idrocarburi in quell’area.

A questo si aggiunge poi la proclamazione di una zona economica esclusiva di ben 400 miglia da parte dell’Algeria che, in un mare piccolo come il Mediterraneo, significa essersi assegnata il diritto di uso delle risorse marine fino al limite delle acque territoriali spagnole (Ibiza) e italiane (Sardegna), contravvenendo all’articolo 74 della convenzione ONU sul diritto del mare. Le Autorità algerine si sono dichiarate disponibili a ridiscuterne con l’Italia, ma il fatto resta, come resta la certezza che sarebbe stato meglio avviare il dibattito prima di quell’atto unilaterale.

Come si comprende da questi esempi, ma è così da più di duemila anni, sul mare in generale e sul Mediterraneo in particolare gravitano interessi nazionali fondamentali ed è indispensabile essere pronti in qualunque momento a far valere le nostre legittime ragioni a tutela degli interessi nazionali, principalmente con la diplomazia e in punta di diritto, ma anche essendo pronti a mostrare i muscoli, se indispensabile.

Sul mare, l’unico principio che bisogna sempre difendere è la sua libertà di uso. Una verità ovvia e indiscutibile di cui appariva superflua ogni spiegazione ma che, anche con l’aumentare degli interessi relativi alle risorse marine, è stato necessario regolamentare con la prima e la terza conferenza delle Nazioni Unite sul diritto del mare, comunemente note come la Convenzione di Ginevra sull’alto mare (1958) e quella di Montego Bay del 1982 (Unclos I e III). Sembrava che questi strumenti giuridici di garanzia e di controllo fossero sufficienti ad assicurare la libertà di navigazione e di uso del mare. Ma le minacce rappresentate dalla pirateria, dal terrorismo transnazionale, dal narcotraffico e, come detto, dalla volontà di taluni Stati di arrogarsi diritti su porzioni sempre maggiori di mare (e relative risorse), rendono necessario mantenere efficaci strumenti che siano in grado di far rispettare le norme internazionali anche, se necessario, con l’uso della forza.

L’Italia deve essere pronta, come già lo sono i paesi più progrediti, a garantire la libertà di navigazione su tutti i mari e la protezione dei propri interessi nazionali, a garanzia del rispetto del diritto internazionale. La storia ci insegna che …quando si muovono le navi si muove l’economia…. Un insegnamento che non deve essere dimenticato, soprattutto da coloro che hanno la responsabilità politica e militare di fornire gli strumenti idonei a proteggere gli interessi nazionali sul mare. Un concetto che, purtroppo, sembra oggi sottovalutato da taluni, forse vittime della parzialità di certe visioni obsolete e nostalgiche, che tante offese sta arrecando all’intelligenza e agli interessi del nostro paese.

In un periodo di disordine ed emergenza mondiale come quello che stiamo attraversando e di presenza sulla scena mondiale di influenti soggetti non statuali, appare indispensabile avere ben chiara la rotta da seguire e, nel caso, identificare l’interesse nazionale e fornire alla Marina gli strumenti adeguati come, per esempio gli indispensabili aerei V/STOL da imbarcare (F-35B), in modo che le nostre unita portaerei possano raggiungere la full operational capability e siano capaci di perseguire gli obiettivi prefissati.

Ne va dei nostri interessi nazionali e del rilancio dell’economia, duramente provata dall’emergenza Covid-19 e dalle recenti crisi mondali.

c.v. (ris) pil. Renato Scarfi

Foto: Marina Militare / U.S. Navy / Türk Silahlı Kuvvetleri / presidenza del consiglio dei ministri