Tra il 23 e il 24 ottobre 1942, a El Alamein, 100 km a ovest del Nilo, si combatte la più grande battaglia in terra d’Africa del Secondo Conflitto Mondiale.
La prima metà del 42 (l’anno fatidico dell’intera guerra mondiale) aveva visto l’Afrika Korps avanzare nel deserto in modo fulmineo. Malta, base britannica al centro del Mediterraneo, era stata messa a tacere, almeno temporaneamente, Tobruk era stata riconquistata, lasciando alle truppe di Rommel ogni genere di materiali, mezzi, carburante e 30.000 prigionieri di Sua Maestà.
Il Cairo sembrava ad un passo, nonostante il pessimismo dilagante nei comandi italo-germanici, Rommel, in poco più di tre mesi aveva portato le sue scarne divisioni a pochi km dal Nilo, senza però riuscire ad occupare Alessandria d’Egitto.
La corsa aveva prosciugato le riserve e allungato pericolosamente le linee di rifornimento – obbligando i reparti logistici a coprire centinaia di km sull’unica strada costiera percorribile, sotto il costante attacco della RAF – arrestando l’avanzata dell’Afrika Korps, costretta poi ad una terribile battaglia di logoramento, fatta di artiglierie e scontri con masse di corazzati.
Proprio la massa fece la differenza, infatti la vittoria britannica era scritta nei numeri: 250.000 soldati contro 120.000, 1.500 carri armati contro 500 (la maggior parte modelli antiquati), l’artiglieria parlava di un rapporto a favore dei britannici di 3 a 1.
La RAF poteva inoltre schierare 1.500 velivoli da combattimento contro appena 350 da parte degli italo-germanici.
Ingenti quantità di carburante a disposizione degli inglesi, mentre per l’Afrika Korps le riserve erano scarse.
La battaglia grande, cominciata alle 21.40 (ora italiana) del 23 ottobre, inizia con l’assenza di Rommel, convalescente in Austria, e vede la morte del suo sostituto, Stumme, deceduto a causa di un infarto nel corso di una ispezione alle prime linee.
Quando Rommel rientra e comincia ad impartire le prime disposizioni per cercare di arginare l’attacco britannico, il destino dell’Afrika Korps è già segnato.
L’operazione di Montgomery (comandante dell’VIII Armata britannica) inizialmente si concentra sul fianco sud del fronte (Operazione Lightfoot), dove tuttavia incontra la forte resistenza delle Divisioni FOLGORE e PAVIA; per molti giorni si susseguono scontri ravvicinati tra carri armati, le fanterie si battono fino all’ultimo sangue, con contrattacchi e manovre aggiranti, cadono migliaia di uomini.
Lo scontro si sposta verso nord (Operazione Supercharge) che sancirà l’atto finale della battaglia. Alle ore 01.05 del 2 novembre Montgomery, grazie alla superiorità numerica e materiale, dà inizio alla spinta finale.
Il Comando tedesco comprende che la soluzione migliore è quella di salvare le unità ancora operative, che tentano di disimpegnarsi dalla presa nemica, iniziando il 3 novembre a ripiegare combattendo. Gli ordini da Berlino (confermati da Roma) condannano le forze dell’Afrika Korps alla distruzione sul posto.
I soldati italiani combattono con grande coraggio. Le divisioni LITTORIO e ARIETE, per consentire lo sganciamento dei reparti germanici, contesero il passo al nemico fino all’annientamento. I bersaglieri si sacrificano fino all’ultimo uomo.
Le divisioni BOLOGNA e TRENTO vengono travolte il 4 novembre; nel pomeriggio del 5 dovette cedere le armi la divisione BRESCIA, il giorno dopo fu la volta della BRESCIA e della FOLGORE (300 sopravvissuti dai 5.000 partiti da Tarquinia).
Il comandante del XXXI battaglione guastatori alpini, maggiore Paolo Caccia Dominioni, disse che i nostri soldati si aggrapparono, ciascuno al proprio pezzo di deserto, quasi fosse terra promessa.
I britannici, nonostante la loro schiacciante superiorità in uomini e mezzi, furono costretti a guadagnarsi la vittoria a caro prezzo, metro su metro.
I nostri soldati sopperirono alla loro condizione di inferiorità con il cuore, il coraggio e un amore per la Patria che al giorno d’oggi solo pochi possono comprendere.
Foto: web / Imperial War Museum