Fly Navy e l'Italia dei campanili

(di Renato Scarfi)
08/08/21

Mentre molti atleti italiani stanno mietendo successi sportivi alle Olimpiadi, portando lustro all’Italia e causando molti mal di pancia ad alcuni colleghi stranieri decisamente poco sportivi, continua ad andare in onda, in tutta la sua asprezza, il mai completamente sopito antagonismo tra Aeronautica e Marina Militare, che certamente non porta lustro alla nostra bandiera.

Mi riferisco all’orientamento del capo di stato maggiore della Difesa, risalente alla primavera del 2020, di non assegnare in priorità alla Marina i velivoli F-35B (versione “navale”, a decollo corto e atterraggio verticale) che le sono necessari per sfruttare pienamente le sue piattaforme navali, allo scopo di poter dotare l’Aeronautica della capacità di rischierare aerei dove non esistono piste lunghe. Una decisione in contrasto con il gentlemen’s agreement di alcuni anni fa che, a detta di molti autorevoli esperti, causerebbe un sensibile ritardo nel raggiungimento della piena capacità operativa della nostra portaerei Cavour, ammiraglia della flotta italiana.

In merito, l'antipatica situazione che si é venuta a creare, unita alle già forti preoccupazioni dei Vertici della Marina per la carenza di strumenti operativi moderni, ha recentemente portato il comandante in capo della squadra navale cedente a fare amare riflessioni nel corso del suo discorso di saluto.

Lo strumento aereo e il mare

Da strumento inizialmente immaginato in appoggio alle operazioni “terrestri”, il mezzo aereo si è subito rivelato estremamente utile anche quando impiegato sul mare, a sostegno delle manovre navali. Ciò fece comprendere alle principali marine del mondo le potenzialità del “nuovo” mezzo, imbarcato ai fini della sorveglianza avanzata, della difesa della formazione navale, dell’attacco alle navi avversarie e della proiezione di potenza. Queste, a partire dalla fine della Prima Guerra Mondiale, approfondirono quindi le specifiche esperienze fatte in quei terribili anni per rendere le portaerei più operativamente efficaci, marcando la sostanziale fine dell’epoca delle corazzate.

Quegli approfondimenti evidenziarono la notevole differenza esistente tra il teatro operativo della Marina e quello dell’Aeronautica, i diversi impieghi e, di conseguenza, il diverso addestramento cui dovevano essere sottoposti i piloti, inducendo le principali Marine a costituire forze aeree (mezzi e personale) dedicate e dipendenti da una catena di Comando che facesse capo ai vertici della Marina e non a quelli dell’Aeronautica.

Purtroppo, quelle esperienze non furono valorizzate dall’Italia, che fece prevalere la corrente di pensiero, favorita da chi evidentemente desiderava allora mantenere un casalingo dominio dei cieli, che vedeva la nostra penisola come “…un’enorme portaerei protesa sul Mediterraneo…”. Venne, pertanto, seguita la rotta della costruzione di corazzate, già ovunque ormai operativamente sul viale del tramonto, invece delle innovative portaerei, con tutte le tragiche conseguenze che la storia del secondo conflitto mondiale ci ha tramandato (es.: richieste di copertura aerea che dovevano superare due catene di comando e intervento mancato o in ritardo, a battaglia già tragicamente conclusa o mancata protezione aerea dei convogli di rifornimenti destinati al fronte africano).

Fortunatamente oggi non è più così e l’Italia ha compreso che la portaerei rappresenta la capital ship di una flotta, che aggiunge un significativo valore politico e operativo alla nazione, soprattutto per quanto riguarda il suo prestigio nelle relazioni internazionali.

Il progresso tecnologico ha poi favorito il passaggio dagli iniziali velivoli imbarcati molto “essenziali” ad aerei in versione navale sempre più sofisticati e in grado di interfacciarsi sempre meglio con i sistemi a bordo delle unità della Marina, delle quali oggi essi rappresentano a tutti gli effetti un importante ed efficace sistema d’arma.

Il Lockheed Martin F-35 “Lightning” è costruito in tre versioni, la prima delle quali è denominata “Alfa”, quella a decollo e atterraggio convenzionale (CTOLi), che opera dagli aeroporti.

Le altre due sono denominate “Bravo” e “Charlie” e sono versioni navali progettate per rispondere a precise caratteristiche costruttive e operative delle unità sulle quali devono essere imbarcati, ovvero portaerei o unità anfibie con o senza ski-jump (versione “B” STO/VLii, a decollo corto e atterraggio verticale) e portaerei in configurazione CATOBARiii, ovvero dotate di catapulte e cavi di arresto (versione “C”).

Si tratta del velivolo da combattimento più avanzato al mondo, che unisce alle caratteristiche stealth (ovvero bassissima visibilità al radar - riservata ai paesi dell'alleanza "Five Eyes", NdD) anche elevatissime capacità di collegamento tra sistemi d’arma e pilota e tra velivolo e sistemi di comando e controllo.

Naval suasion e tutela del prestigio nazionale

Una peculiarità della Marina è la capacità di allungare il braccio armato dello Stato ovunque sia richiesto, non facendo ricorso alla forza ma essendo pronta a usarla, applicando in sostanza la “naval suasion” principalmente per difendere la libertà di navigazione contro i pirati o chiunque agisca per limitare tale facoltà, indispensabile per assicurare la libera circolazione delle merci e l’approvvigionamento delle materie prime, in particolare in un mondo globalizzato quale l’attuale. Ma la capacità operativa delle Marine può essere impiegata anche per la lotta al terrorismo internazionale, al traffico di armi, droga o di esseri umani (ispezioni a bordo dei mercantili) e per compiti di protezione civile internazionale come portare soccorso e aiuti alle popolazioni colpite da disastri naturali. Non a caso, dalla seconda metà del XX secolo è notevolmente aumentato l’impatto delle questioni navali e marittime sulla politica estera degli Stati.

In tale quadro, la portaerei e i suoi aerei imbarcati rappresentano un sistema d’arma importantissimo per una Marina moderna, la cui piena operatività è fondamentale per lo sviluppo di idonee strategie di salvaguardia degli interessi nazionali (v.articolo).

L’Italia è tra le pochissime marine del mondo ad avere una portaerei e una flotta militare d’altura, in grado di operare in ambiente tridimensionale ovunque nel mondo, con sistemi di combattimento modernissimi e un’aviazione navale quantitativamente contenuta ma qualitativamente d’eccellenza, come dimostrano i numerosi riconoscimenti ricevuti e l’elevatissima efficienza e operatività dimostrata in ogni occasione. Una flotta e un’aviazione navale che sono in grado di affrontare un’ampia gamma di missioni e capaci di proiettare ovunque, per la loro innata capacità expeditionary, l’immagine dell’Italia a sostegno della politica estera e degli interessi economici e politici nazionali.

Una Marina in grado di proiettarsi efficacemente in acque lontane, assicurando presenza e sorveglianza in aree di importanza strategica del proprio Paese è, quindi, indispensabile per la tutela degli interessi nazionali, per il suo prestigio internazionale ma anche per poter adeguatamente partecipare sui mari e gli oceani del mondo ai dispositivi navali internazionali operanti sotto egida ONU, NATO, UE o di coalizioni ad-hoc, come nel caso delle missioni antipirateria, sorveglianza degli Stretti o in esecuzione di accordi internazionali.

Una Marina forte a garanzia degli interessi nazionali

Ma per fare ciò è indispensabile essere pronti, avere personale perfettamente addestrato ai compiti specifici e un sufficiente numero di mezzi idonei a conseguire gli obiettivi della missione assegnata. A molti osservatori appare, quindi, assolutamente anacronistica e strategicamente cieca l’attuale ipotesi di suddivisione delle assegnazioni dei nuovi velivoli F-35B, che impone un inutile ritardo nel raggiungimento della piena capacità operativa della Marina e della sua portaerei, ormai indispensabile in contesti di minaccia elevata.

Sarebbe, quindi, preferibile rimuovere ogni motivo di attrito interno alla Difesa smettendo di essere guidati solo da obiettivi di piccolo cabotaggio e cominciare ad agire avendo ben presenti gli interessi nazionali e, quindi, collettivi, in un’ottica di più ampio respiro strategico.

Come scrive Germano Dottori, l’Italia sta vivendo una situazione grottesca in quanto “…disponiamo di una portaerei leggera, il Cavour, e di una nave multifunzionale ancora più grossa, il Trieste, entrambe capaci di ospitare degli aerei F-35B che rappresenterebbero la punta di lancia del nostro sistema militare … ma non esiste la loro linea di volo…”iv.

Nonostante i ritardi nell’assegnazione dei nuovi aerei la Marina sta lentamente continuando a percorrere la strada verso la piena capacità operativa (Full Operational Capability – FOC). Lo scorso mese di marzo, infatti, negli Stati Uniti il Cavour ha completato le prove per ottenere la certificazione alle operazioni aeree (campagna Ready for Operations) e il 30 luglio, accompagnato da fortissima emozione da parte di tutti i marinai d’Italia, è appontato il primo F-35B per iniziare l’addestramento dei piloti per l’acquisizione della “Caratteristica Bravo”, ovvero la certificazione della capacità di appontaggio e decollo dai ponti di volo delle navi.

Come ha sottolineato il Capo di Stato Maggiore della Marina, Ammiraglio Giuseppe Cavo Dragone, si tratta di passi significativi “…verso l’obiettivo strategico di dotare la Difesa e l’Italia di una capacità portaerei con aerei imbarcati di ultimissima generazione. Una capacità che ci proietta in un’élite di pochi Paesi al mondo elevando, quindi, il peso e l’importanza internazionale dell’Italia…”. Un prestigio internazionale che non è fine a sé stesso, ma serve per tutelare efficacemente gli interessi economici e politici nazionali nel mondo (v.articolo). Obiettivi che potrebbero essere raggiunti più rapidamente se si dimenticassero quelli che sembrano essere piccoli e poco accorti interessi di parte di alcuni settori.

È per questo motivo che sarebbe auspicabile un ripensamento del criterio di distribuzione dei futuri velivoli F-35B da parte della Difesa, assegnando rapidamente alla Marina tutti i quindici aerei previsti (al momento ne ha in dotazione solo tre) per completare la linea di volo da imbarcare e provvedendo alla successiva assegnazione all’Aeronautica dei caccia in versione navale a essa assegnati con il citato accordo tra gentiluomini, per gli usi che intenderebbe farne. Una decisione che metterebbe d’accordo le esigenze strategiche nazionali con gli obiettivi delle due Forze Armate, senza creare inutili malumori né frenare le rispettive efficienze operative, e mettendo definitivamente da parte rivalità ormai anacronistiche.

Va perso atto che la globalizzazione e i progressi tecnologici hanno moltiplicato gli scambi commerciali internazionali, la grande maggioranza dei quali avviene per via marittima ed è principalmente sull’acqua che tali interessi economici andranno protetti. Uno Stato moderno, con orizzonti strategici che vadano oltre lo steccato del proprio orticello, ha bisogno di una Marina destinata anche a navigare lontano dalle proprie acque territoriali perché la sicurezza marittima, in tutti i suoi aspetti, costituisce un valore innegabile e irrinunciabile di qualunque Stato indipendente. E una portaerei pienamente operativa è un valore aggiunto cui l’Italia non può rinunciare.

In un panorama mediterraneo e mondiale di crescenti sfide, tensioni e competizione, dove si sta assistendo a una sempre più accentuata territorializzazione del mare, una forte Marina Militare è la migliore garanzia per tutelare gli interessi economici e politici italiani sul mare e non solo (v.articolo).

Rallentare inutilmente le capacità operative e strategiche di una Forza Armata, limitandone il ruolo internazionale e rinunciando a perseguire l’obiettivo di avere Forze Armate complementari e non antagoniste, significa ragionare ancora in termini di campanile, arretrando le lancette dell’orologio Italia, che non ne ha alcun bisogno.

i Conventional Take Off and Landing

ii Short Take Off/Vertical Landing

iii Catapult Assisted Take Off But Arrested Recovery

iv Limes 10/2020 pag. 83

Foto: Marina Militare / IWM / U.S. Navy