L’iter formativo che abilita un soldato a diventare operatore delle Forze Speciali varia da esercito a esercito, tuttavia tutti hanno in comune l’estrema durezza delle prove psicofisiche a cui vengono sottoposti i candidati. Il SAS, i Berretti Verdi come in Italia il 9° “Col Moschin” hanno elaborato un percorso addestrativo che ha come scopo principale quello di forgiare militari capaci di lavorare in condizioni estreme, sempre consapevoli dei propri limiti e in grado di uscire indenni da ogni possibile situazione di difficoltà.
Gli scenari bellici recenti hanno portato ad un innalzamento della domanda di “forze speciali”, in quanto interpreti privilegiate del nuovo tipo di guerra asimmetrica imposto dalla guerriglia irachena piuttosto che dai talebani. Questa spinta ha costretto gli stati maggiori di alcuni eserciti ad allargare il bacino di reclutamento destinato alle unità scelte, predisponendo inoltre percorsi addestrativi più brevi e talvolta meno efficaci dei precedenti. Un problema molto grave che ha messo al centro delle polemiche soprattutto gli Stati Uniti, laddove è sempre più urgente la necessità di “Berretti Verdi” e SEAL da inviare in ogni angolo del mondo.
A fine novembre, la celebre U.S. Army J. F. Kenned Special Warfare Center and School ha aperto un’inchiesta scaturita da una mail anonima nella quale diversi istruttori venivano accusati di brevettare candidati inadatti, abbassando volutamente la difficoltà di alcune prove attitudinali. Questo perché – sempre secondo il delatore – sarebbe pratica comune favorire le carriere personali e i programmi politici, rispetto la qualità delle truppe selezionate da inviare ai reparti. Un discorso che ha coinvolto anche le donne, ammesse di recente alle prove di accesso per le forze speciali, le quali avrebbero ottenuto trattamenti di favore da diversi istruttori.
"The cruelty of the situation – ha ribadito il maggiore generale Kurt Sonntag, comandante della scuola – is that any woman with the fortitude to attempt this training would most definitely have wanted the standards to remain the same". Lo stesso comandante ha rigettato tutte le accuse, garantendo che ai corsi per “Berretti Verdi” non si fanno sconti e che ogni candidato esce da Fort Bragg “combat ready” ai massimi livelli.
Sebbene le accuse debbano essere ancora provate, la mail anonima ha evidenziato un problema reale che, dal 9/11, assedia le Special Forces e il Pentagono. La decrescita del livello qualitativo degli operatori americani è un fatto attestato da alcuni media del settore, i quali hanno puntato il dito contro la politica del “tutto e subito” imposta dalla Casa Bianca. Questo è un problema che si sta allargando anche ad alcune unità europee le quali, però, non dispongono dello stesso personale reclutabile degli Stati Uniti. La denominazione “speciale” fa certamente gola a molte unità delle forze armate e sembra – in modo sbagliato e fuorviante – che il valore di un esercito si misuri sulla disponibilità di schierare in teatro unità scelte. Forse una soluzione più plausibile sarebbe quella di accrescere la qualità della fanteria (nella cui semplicità risiede effettivamente l’esperienza di un esercito), proprio grazie all’apporto di istruttori motivati e preparati ad hoc in seno alle unità speciali.
In Italia – da sempre in lotta con bilanci e conti da far quadrare – si guarda soprattutto all’ottimizzazione delle spese, al fine di rendere il nostro piccolo esercito sempre più performante rispetto i canoni richiesti dalle missioni all’estero. In questo frangente il discorso sulle Forze Speciali dell’esercito risulta complesso ed è in continua evoluzione; l’unica certezza riguarda l’alta qualità dei nostri corsi fondati prevalentemente sulle competenze degli incursori del 9° reggimento “Col Moschin”, titolare primigenio del tanto agognato suffisso “speciale”.
(foto: USMA / U.S. Army / U.S. Air Force)