In occasione del vertice NATO di Madrid del 29 e 30 giugno prossimo, i capi di Stato e di Governo dei 30 paesi alleati approveranno il nuovo Concetto Strategico della NATO, a meno di poco probabili rinvii a causa della guerra in Ucraina. Questo importante documento orienterà, negli anni a venire, la politica dell’Alleanza e la sua strategia militare per fronteggiare le sfide e le minacce attuali e future, garantendo la sicurezza nell’area Euro-Atlantica, come avvenuto dal 1949 ad oggi.
L’ottavo concetto strategico viene elaborato a più di dieci anni di distanza e in un contesto geopolitico e di sicurezza decisamente differente rispetto al precedente, emanato a Lisbona nel 2010, prima dell’annessione della Crimea da parte russa, della crisi in Siria e dell’avvento dell’ISIS.
La drammatica evoluzione della crisi ucraina, con la guerra presente nuovamente nel vecchio continente, non fa che avvalorare la necessità di rafforzare la difesa collettiva sostenuta fortemente da più parti, dopo più di vent’anni di focus sul peacekeeping.
Accanto a questa, quali saranno le nuove direttrici del Concetto Strategico 2022? Ci sarà uno stravolgimento o sarà la consueta prudenza a far convergere su una versione equilibrata? E le nuove sfide, come cyber e spazio?
Procediamo con ordine.
Alla fine del primo decennio del 2000, la NATO, pienamente impegnata nelle crisis response operations nei Balcani e in Afghanistan, si preoccupava di mantenere la sua raison d’être come Alleanza politico – militare. Il Concetto Strategico 2010 definiva, così, un nuovo paradigma strategico, basato su tre direttrici, denominate core task, rispettivamente, collective defence, crisis management e cooperative security.
La nuova strategia riusciva a conciliare tra loro le diverse visioni in seno a un’alleanza che contava già 28 paesi. La Francia si era da poco reintegrata la struttura militare, dopo esserne uscita nel 1966 e gli USA avevano avviato il loro strategic pivot to Asia, reclamando un maggior peso (e investimenti) da parte degli alleati europei. Una parte importante di paesi ad est, preoccupati dal ritorno della Russia nei giochi di potere, iniziava a reclamare maggior peso per la difesa collettiva.
Il Concetto Strategico del 2010, basato sul contributo di un gruppo di esperti guidati da Madeleine Allbright1, risultó equilibrato e pienamente rispondente allo scopo, restando in vigore per più di undici anni, nonostante i cambiamenti di situazione. Questo, va detto, è avvenuto anche grazie ai numerosi adattamenti nelle policy discendenti, che indicano nel dettaglio la strategia settoriale: military implementation, defence planning, ecc.
Sicuramente il compito del segratario generale Jens Stoltenberg non è dei più facili: delineare il baricentro politico-militare dell’alleanza, garantendo la rilevanza, l’unità e la capacità di adattamento nei prossimi dieci anni. Le sfide e i rischi saranno molteplici, assieme alle opportunità, come vedremo più avanti. Ancora una volta l’equilibrio sarà una caratteristica essenziale, in particolare nella delicata fase di negoziazione del documento, in cui si dovranno faticosamente discutere le varianti, talvolta discordanti, richieste dai singoli alleati, per giungere al consenso finale.
Nelle capitali europee, interessate anche all’emanazione dello Strategic Compass dell’UE2, già il 24-25 marzo 2022, fervono i lavori per contribuire a delineare i contenuti di questi importanti documenti, su cui si baserà la sicurezza futura del continente europeo. Molti sono gli interrogativi sui contenuti, sia da parte degli addetti ai lavori, sia da parte di quanti guardano con attenzione e ansia alle evoluzioni del quadro geopolitico, sperando conferme dal lato NATO e una maturazione della dimensione difesa dell’UE, attesa da anni.
Una maniera coerente per rispondere può partire dall’analisi di sfide, rischi e opportunità, per delineare, quindi, un paradigma concettuale che ci appare pertinente: continuità, cambiamento e consistenza, le tre “C” su cui si dovrebbe basare il Concetto Strategico NATO 2022.
Le sfide
Nella scrittura del Nuovo Concetto Strategico gli alleati dovranno considerare molteplici sfide che riguardano sia i contenuti del documento, che l’essenza e l’anima stessa dell’Alleanza.
Nei contenuti il Concetto strategico 2022 sarà basato su buona parte della versione 2010 ancora sostanzialmente valida. Parliamo dei tre core task già ricordati, di gran parte del costrutto su deterrenza e difesa e della trasformazione. Sicuramente verrà rivista l’analisi del contesto di sicurezza e la parte relativa ai partenariati.
Ci saranno, altresì delle novità, che riguarderanno i nuovi domini, con particolare riferimento allo spazio (oggetto di un futuro articolo), le tecnologie emergenti, sullo sfruttamento delle quali si è sempre basata la supremazia del c.d. blocco occidentale, tematiche ambientali e le pandemie, molto attuali.
Accanto a questo, occorrerà considerare il ruolo sempre più importante di attori quali le organizzazioni terroristiche che, con ISIS e ISIL, hanno dimostrato di potere, all’occorrenza, assumere anche una connotazione territoriale. Inoltre, le imprese private sono sempre più protagoniste dell’innovazione tecnologica e dell’impiego delle nuove tecnologie in campi quali lo spazio e le telecomunicazioni, una volta appannaggio di militari e altri attori istituzionali.
Sul piano esistenziale, le sfide riguarderanno almeno tre aspetti vitali. Primo, il mantenimento della coesione, di fronte al rischio di dividere la NATO in più “gruppi”, a seconda delle percezioni di rischi e minacce o delle risposte da attuare alle diverse crisi. Poi, il legame da preservare tra le due sponde dell’Atlantico, nonostante le spinte divergenti da un lato verso l’Asia e il Pacifico e dall’altro verso EST e in misura minore verso SUD. Infine, l’equilibrio tra i diversi compiti, difesa collettiva e gestione delle crisi in particolare, cercando anche di rivitalizzare il valore dei partenariati e della cooperazione internazionale.
A nostro avviso, più che preoccuparsi dei contenuti, il dibattito si dovrà orientare verso le due sfide maggiori. La prima riguarda il mantenimento dell’unità e della coesione: ciascun membro dell’Alleanza deve poter sentire che gli altri accorreranno in suo aiuto qualora la sua sicurezza – in senso ampio – sia messa a rischio. Gli alleati ad est3 devono poter contare sull’impegno e sulla solidarietà degli altri alleati per esercitare la deterrenza e, se necessario, respingere una eventuale aggressione, come confermato nell’ultimo periodo.
Non basta, però. Anche gli altri Paesi devono poter contare su un’analoga solidarietà per affrontare sfide più complesse e non meno insidiose (almeno nel medio-lungo termine) provenienti dalle periferie a sud e a sud-est della NATO.
Mentre per le prime minacce la NATO è più preparata, perché storicamente ha dovuto affrontare simili minacce di tipo principalmente (ma non esclusivamente) militare, per le altre lo è meno, poiché la risposta militare non è risolutiva e anche la percezione della pericolosità è più evanescente e discordante.
Nondimeno, bisogna riconoscere che, sebbene nella dialettica ufficiale molti Paesi minimizzino la minaccia proveniente da sud4, in pratica assumono forti iniziative contro, come ad esempio la costruzione di muri e la riattivazione delle frontiere per arginare i flussi migratori, a testimonianza del fatto che, almeno all’interno dei singoli Paesi, tale tipo di minaccia è avvertita come esistenziale.
Si tratta, quindi, di dare prova di volere (e sapere) affrontare tutti i rischi con la necessaria attenzione, senza voler mettere in discussione le priorità e i tempi con cui vengono messi in atto i meccanismi di risposta.
La seconda è la capacità di adattamento di fronte ai mutamenti, operando le necessarie riforme e dimostrando di saper riconsiderare scelte operate in passato, una volta che si siano rivelate inefficaci. È quanto sta avvenendo con la crescente attenzione alle operazioni di tipo war, culminata con l’emanazione del Warfighting Capstone Concept e con la revisione delle strutture di Comando e Controllo necessarie per irrobustire l’Alleanza e renderla capace di affrontare le situazioni più pericolose.
Non si può esattamente parlare ancora di un return to basics, poiché occorre ricostituire complessi e costosi meccanismi di mobilitazione di massa, come non avviene, ormai, dei tempi della Guerra Fredda.
Un ulteriore esempio può essere la creazione di nuove strutture della NATO Command Structure e nella Force Structure per irrobustire la postura alleata per far fronte alle minacce più pericolose.
I rischi
Naturalmente, qualsiasi impresa non è immune da rischi. Anche la NATO – che è l’alleanza più longeva della storia, uscita vittoriosa dalla Guerra Fredda – deve mantenere la propria rilevanza e la propria utilità reale e percepita, riuscendo a ridurre i rischi interni e a superare quelli esterni.
I primi rappresentano minacce esistenziali per la NATO, che verrebbe percepita come irrilevante o, peggio ancora, inefficace qualora non venissero tenuti sotto controllo. Un esempio è la complessità dei meccanismi decisionali, conseguenza diretta del costante aumento del numero dei Paesi, che ridurrebbe l’efficacia e la tempestività delle risposte alle minacce. Tale rischio potrebbe, al limite, condurre alla paralisi decisionale, qualora non si superassero le divergenze, con conseguenze gravi sulla tenuta dell’Alleanza.
Un ulteriore rischio potrebbe essere rappresentato dallo snaturare il carattere della NATO, istituita come alleanza politica e militare per difendere l’integrità dello spazio euroatlantico (quindi a connotazione regionale), ricercando un ruolo più globale. Questo potrebbe comportare una perdita di efficacia, qualora non fosse accompagnato da un profondo ripensamento dei termini del Trattato del Nord Atlantico e degli end, ways e means che un’azione globale implicherebbe.
Infatti, non basterebbero per far fronte a compiti e ambizioni globali gli obiettivi del 2% del rapporto Budget Difesa/Pil e 20% come quota di spesa dedicata agli investimenti in nuovi equipaggiamenti, se si tiene conto dell’impennata nelle spese militari da parte di Russia, Cina, India e molti altri Paesi.
Questo non vuol dire ignorare il ruolo assertivo assunto da Russia e Cina, quanto, piuttosto, affrontare in maniera coordinata (e il più possibile unitaria, senza procedere in ordine sparso) i rischi che hanno un impatto sulla sicurezza dell’area Euro-Atlantica, ricercando sinergie e cooperazioni con altre organizzazioni territoriali. La storia è piena di esempi di imperi forti che si sono sfaldati perché troppo estesi (Alessandro Magno, Impero Romano, Impero Mongolo).
I rischi esterni potrebbero derivare dalla difficoltà di adattarsi al mutare delle situazioni, prima di tutto, dal punto di vista tecnologico, perdendo il vantaggio sinora mantenuto rispetto a potenziali avversari. Poi sul piano sociale, potrebbe derivare dal non capire i cambiamenti in atto nella società civile, giungendo, ad esempio, alla perdita del consenso. Scelte errate in campo economico minerebbero il benessere stesso dei Paesi. Infine, non si può ignorare il settore informativo, in cui il rischio maggiore è la riluttanza a condividere le informazioni, essenziale per affrontare efficacemente le nuove minacce e sfide.
Sarà importante, quindi, che molte risorse – intellettuali e materiali – siano investite, oltre alla volontà di mettere assieme il proprio destino come Nazione a quello di altri Paesi per far sì che le risposte siano efficaci e abbiano un peso tale da controbilanciare le spinte di attori critici come la Cina e l’India.
Appare quindi evidente come rischi interni ed esterni siano concatenati tra loro e come i meccanismi di risposta debbano a loro volta essere unitari e articolati per risultare efficaci. Difficilmente misure applicate in maniera incerta o su scala locale possono avere una portata efficace e ampia, tale da arginare i problemi. Analogamente, misure ampie e globali necessitano di meccanismi di cooperazione e di creazione di consenso e di un impegno allargato che solo il coinvolgimento di tutti gli attori internazionali riesce a generare.
Le opportunità
La revisione del Concetto Strategico presenta anche numerose opportunità.
La prima è rappresentata dalla possibilità di attualizzare la definizione di difesa collettiva, specie in alcune aree come la difesa cibernetica, in cui gli attacchi possono avere conseguenze non meno nefaste che nei domini classici.
Altro settore è lo spazio, in cui talune azioni possono seriamente compromettere la condotta di operazioni e la prosperità economica di una o più nazioni. Parliamo, ad esempio, della distruzione di satelliti in orbite strategiche per opera di missili lanciati da terra, laser, ovvero attraverso altri interventi, cinetici e non, condotti a partire da un altro satellite. Certo, il compito non sarà facile, se si considerano le difficoltà nell’attribuire la responsabilità di attacchi cibernetici o di azioni ostili nello spazio. Tuttavia, bisogna avviare la riflessione al più presto su queste tematiche e il nuovo concetto strategico potrebbe definire alcuni elementi e linee guida iniziali, da approfondire con documenti dedicati.
Inoltre, il nuovo concetto strategico potrebbe servire a rilanciare la tematica dei partenariati, rimasta “congelata” a causa delle mutate relazioni con alcuni Paesi considerati un decennio fa come potenziali partner (Russia e Bielorussia in primis), i quali hanno mutato radicalmente il proprio atteggiamento verso l’Alleanza.
La sicurezza cooperativa si basa sui partner, per cui, ridurre le attività con essi, vuol dire automaticamente rinunciare a svolgere uno dei core task. Quindi i Paesi posti ai confini dell’Alleanza assumono un’importanza di rilievo ai fini della sicurezza. Occorre chiedersi se sia opportuno mantenerli come partner o se ammetterli come Paesi Membri: ma fino a quando la NATO potrà continuare a assimilare altri Paesi?
Occorre riflettere attentamente sull’allargamento della NATO e sulle percezioni che genera in altri Paesi, considerando il reale incremento della sicurezza/stabilità della regione. probabilmente, la NATO dovrebbe perseguire un partenariato efficace ai propri confini, cercando di costruire solide relazioni diplomatiche che alimentino la reciproca fiducia. Una nuova strategia verso i partner, basata su un dialogo aperto e sulla ricerca di punti comuni sarebbe, dunque, un auspicabile elemento di novità del Concetto Strategico.
Infine, sarebbe veramente imperdonabile se non si riuscisse a stabilire una collaborazione efficace con l’Unione Europea, basata sugli interessi e sulle prospettive comuni. Continuare a evidenziare le differenze servirebbe a fare il gioco di quanti cercano la divisione tra europei, e tale divisione, oltre che tra NATO e UE, avrebbe conseguenze negative anche all’interno della NATO stessa. Sinora sono prevalse soprattutto le differenze di vedute tra le due organizzazioni e la mancanza di impegno operativo in ambito UE. Tuttavia, l’UE dispone di strumenti eccezionali per affrontare in maniera più completa le crisi e per dare corpo a partenariati in grado di agire su più livelli.
Un rinnovato impegno verso le tematiche della difesa e della sicurezza che passa attraverso la definizione dello Strategic Compass potrebbe testimoniare un chiaro segno di cambiamento verso la volontà dei Paesi del Vecchio Continente di essere artefici del proprio destino.
Continuità, cambiamento e consistenza
Il quadro sopra delineato risulta molto complesso e non privo di insidie. Non si può lasciare tutto invariato – business as usual – se non altro per cercare di cambiare quello che non ha funzionato come ci si attendeva (es. Afghanistan), pur riconoscendo la validità di molti elementi del Concetto Strategico di Lisbona.
La continuità, a nostro avviso, vale soprattutto nei principi di base: difesa collettiva che resta il cemento dell’Alleanza, legame transatlantico, richiamo ai valori di riferimento. La difesa collettiva sarà un elemento centrale del Concetto Strategico 2022 e della strategia militare discendente.
Da diverse parti si fa appello urgente al cambiamento (non solo nei confronti di Russia e Cina) per rispondere a chi, come l’ex presidente USA Trump o il presidente francese Macron, aveva sollevato dubbi sulla rilevanza della NATO di fronte alle nuove minacce.
Il cambiamento, però, come abbiamo visto, può esporre a rischi anche seri, come quello di darsi degli obiettivi troppo globali o difficili da definire e da conseguire. Cosa vorrebbe concretamente dire difendere i valori democratici quando all’interno della NATO non vi è una visione omogenea su questo tema? Si rischia di fare un buco nell’acqua e di mettere a repentaglio la coesione che è il valore più alto della NATO.
Da qualche parte si è parlato anche di un quarto core task legato alla stabilità, con un seguito di compiti e missioni legate alla tutela dei valori democratici. Si tratta di una proposta interessante da un lato e molto difficile da attuare e insidiosa dall’altro, richiedendo, quindi, una particolare attenzione nella formulazione e nella definizione dei compiti che ne derivano.
Come abbiamo visto, una maniera efficace di valorizzare la stabilità passerebbe dalla revisione del meccanismo dei partenariati, da adattare singolarmente alla situazione di ciascun Paese, incentivando e premiando comportamenti virtuosi, allargando l’accesso a programmi più ampi e ambiziosi man mano che si consolida la reciproca fiducia e collaborazione, con benefici da entrambe le parti. L’effetto dei partenariati sarebbe quello di incrementare la stabilità ai confini dell’Alleanza – attuando concretamente i meccanismi di proiezione della stabilità già definiti anni fa – senza dover necessariamente passare per successivi allargamenti.
L‘aspetto su cui occorrerà concentrare l’attenzione sarà la consistenza, intesa come la capacità di adattamento, di affrontare e superare le sfide in maniera compatta (resilienza) e di conseguire i propri obiettivi (concretezza) come avvenuto sinora.
Un’alleanza debole o inadatta allo scopo in breve tempo si sfalderebbe, nonostante gli sforzi e gli ideali politici. Il Concetto Strategico che vedrà la luce a giugno prossimo dovrà porre le basi per un’alleanza forte politicamente e militarmente, in grado di operare scelte equilibrate, mantenendo un dialogo intenso e continuo tra i suoi membri e con le altre organizzazioni internazionali (UE in primis).
Starà poi, in ultima istanza, ad ogni Paese di assumere la propria parte di responsabilità e oneri (c.d. burden sharing), investendo risorse finanziarie, umane, diplomatiche e politiche nell’attuazione della strategia che ha contribuito ad elaborare. Si, perché la sicurezza e la stabilità dell’Europa e dei singoli Paesi deve essere basata su capacità di deterrenza e difesa non solo ipotetiche ma concrete e pronte a essere messe in campo rapidamente, qualora necessario.
1 Anche in questo la versione 2022 segna un cambiamento. Il Segretario Generale infatti, guida la scrittura del concetto, attraverso un processo di consultazione interna ed esterna, che ha visto lo svolgersi di consultazioni con le capitali, l’ascolto di esperti (rapporto NATO 2030) e di rappresentanti del mondo giovanile e del settore privato.
2 Dei 30 membri NATO, 21 fanno anche parte della UE.
3 Oltre ai Paesi baltici, anche la Romania ha chiesto lo schieramento di truppe NATO sul proprio territorio, a seguito della guerra in Ucraina.
4 Inizialmente è stata l’Italia a chiedere, in maniera quasi isolata, maggiore attenzione alle minacce e sfide provenienti da sud. Peraltro, l’Italia ospita a Napoli il c.d. Hub for the South che si occupa di affrontare tali sfide securitarie. Tuttavia, manca ancora un vero e proprio “Piano per in Sud” che affronti in maniera unitaria temi quali l’immigrazione clandestina, il terrorismo, il traffico di esseri umani, la sicurezza marittima, ecc.
Per approfondire
Verso un nuovo Concetto Strategico NATO - Parlamento
Il futuro del Concetto Strategico della NATO
Defensenews - NATO needs-a new core task
Atlantic council - The EU Strategic-compass is a defini ng moment for European defense
La bussola strategica puo avvicinare la vera difesa comune UE
Foto: NATO